UN ATLANTE DI STORIE E DI ISOLE LONTANE



















Pocket Atlas of Remote Islands
By Judith Schalansky
PENGUIN BOOKS 2012


Fifty Islands I have not visited and never will



La fine di questo libro è un inizio che racchiude al suo interno molti significati per chi legge e chi come me ha un grande amore per le carte geografiche, ma lo è anche per il lettore che attraverso questo libro (in due formati diversi standard e tascabile, e che spero venga presto tradotto in italiano) effettua un doppio viaggio attraverso la geografia di luoghi remoti ma anche attraverso le storie che li caratterizzano.
E' arrivato il momento che la cartografia occupi una posizione tra le arti e che un Atlante venga considerato un'opera letteraria, dal momento che è più che degno del suo nome originale: theatrum orbis terrarum, il teatro del mondo.
Questo perché letteratura e geografia hanno, come ho sostenuto più volte, un legame molto particolare. Un luogo racconta storie, una carta descrive attraverso i segni uno spazio e un tempo le mappe sono allo stesso tempo astratte e concrete; nonostante contengano dati misurabili e oggettivi, non rappresentano la realtà bensì una sua interpretazione.
La narrazione di storie è un modo di interpretare il mondo, di descriverlo attraverso i suoi abitanti e gli spazi dove hanno vissuto.





L'autrice racconta di aver trascorso la propria infanzia nella Germania dell'est prima della caduta del muro, per lei l'unico modo per viaggiare era quello di andare in biblioteca prendere un atlante e sfogliarlo.
Il viaggio era il risultato di un mondo fantastico che cresceva dentro di lei attraverso la sua fantasia stimolata dalla lettura di nomi di località esotiche, sperdute nel tempo.
Così cresceva e si sviluppava dentro di lei un idea di mondo, che non superava mai i confini del soggiorno della sua casa, o della Berlin National Library.






La fantasia, la voglia di viaggiare incontra così luoghi reali li studio li isola, cerca di capirne i segreti. E' qui che prende forma  un atlante molto personale, uno strano romanzo, una selezione appunto di luoghi e storie,  dove non è solo la geografia a dare forma al testo ma un mondo dentro il mondo, quello che in realtà è nascosto dentro  le storie dei luoghi e gli uomini che li hanno abitati. Una geografia di leggende che ha trasformato una bambina in un esploratore della memoria. 





Judhit Schalansky, seleziona cinquanta isole remote e lontane da tutto, inospitali di dimensioni ridotte, con una storia non molto lunga, sparse attorno al globo e bagnate da cinque oceani diversi, dalla più piccola 0,8 kmq e quattro residenti, fino alla più grande 297 kmq completamente disabitata e coperta dai ghiacci.
Dopo averle selezionate, le disegna con semplicità con una grafica di altri tempi, forma un elenco di dati per darci la forma del suo territorio ma anche la forma delle sue possibilità e poi ne racconta la storia, con uno stile asciutto essenziale senza retorica, ne traccia il ritratto come se ognuna di esse fosse il personaggio del suo romanzo geografico.
Come in ogni romanzo che si rispetti i personaggi hanno caratteri diversi, come queste isole, ha volte crudeli a volte romantiche.
Tristan da Cuhna abitata nel XIX secolo da sette famiglie che vivevano in una microsocietà utopico-comunista o l'isola di San Peter, ricoperta di ghiaccio, visitata per la prima volta nel 1929 cento anni dopo la sua scoperta.














Ci sono gli abitanti di Pingelap che vedono solo in bianco e nero, c'è l'isola Diego Garcia, svuotata e trasformata in un set per esperiementi nucleari.
C'è il cannibalismo, gli esperimenti, una comunità di nudisti, i misteri, l'ecologia, la guerra,  un compendio della nostra storia  raccontata attraverso la storia di luoghi estremi e dimenticati, personaggi sconosciuti ai più ma riportati alla luce dalla curiosità e dall'intelligenza di una bambina cresciuta in fretta all'ombra del muro, in fin dei conti anche lei viene da un isola molto vicina a noi e cerca un posto dove trovare ancora qualcosa di essenziale e un pò di pace.






It would be a place to find peace, to find oneself, and to finally be able to concentrate on the essentials again.