IMPARARE DA LAS VEGAS
Imparare da Las Vegas è un libro incredibile, per due ragioni fondamentali, la prima perchè dimostra come sia possibile fare teoria attraverso la didattica, non dimentichiamoci che questa era una ricerca ed un analisi della città americana fatta sul campo da un gruppo di studenti guidati dai loro professori, la seconda perchè dimostra come una città possa diventare una sorta di modello di lavoro attraverso il quale pensare il progetto, non solo attraverso la sua costruzione ma attraverso l'osservazione di fenomeni diversi.
E' stato uno dei primi testi teorici tradotti da Quodlibet, ed alla sua terza edizione dimostra che esiste un mercato per i libri d'architettura.
Benvenuti nel favoloso Imparare da Las Vegas
di Giovanni Bartolozzi
Quodlibet - terza edizione 2015
La casa editrice Quodlibet, sotto la cura di Manuel Orazi, propone la terza riedizione italiana di uno dei libri più problematici e controversi degli anni settanta: lo storico “Imparare da Las Vegas”, prezioso volume di Robert Venturi, Denise Scott Brown e Steven Izenour. Risulterebbe fine a se stessa la riedizione di un libro che ha acceso dibattiti negli anni della sua prima edizione, nel 1972, se non avesse la capacità di innescare nuovi canali di discussione; tale scelta rappresenta una indicazione forte che non deve esaurirsi sul terreno critico-letterario, ma sensibilizzare le coscienze di quanti sentono una responsabilità nei confronti dell’architettura e del suo insegnamento.
Anzitutto questo libro non nasce per esser tale, esso è il risultato di una esperienza scientifica, progettuale e didattica, che trova nel libro una sorta di combinazione perfetta ed inscindibile. Da queste tre esperienze è possibile trarre tre spunti di riflessione: il primo riguarda la messa a punto di un’analisi specifica utilizzata come strumento progettuale; il secondo consiste nel metodo ovvero nell’approccio scientifico al tema di ricerca; il terzo riguarda l’insegnamento dell’architettura come occasione di ricerca applicata. Tre spunti preziosi per il progettista e per la disciplina: analizziamoli con ordine.
L’analisi come strumento progettuale. Gli autori si impossessano del luogo in esame e ne traggono materiale fresco, di prima mano, considerazioni e osservazioni progettuali che se appaiono attuali oggi, dovevano sembrare azzardate negli anni della sua pubblicazione. Venturi e Scott Brown decidono di analizzare un fenomeno nel suo stesso compiersi o comunque nell’immediato, quindi vi partecipano attivamente e con la loro indagine decretano per primi l’originalità del fenomeno Las Vegas. Un decennio dopo, la Strip ha già cambiato il suo aspetto, ha consumato, ha metabolizzato quelle caratteristiche, quei dati distintivi che gli autori avevano colto come consequenzialità estetiche e figurative di un sistema complesso, ma comunque governato da regole proprie. Una città è un modello di attività interconnesse tra loro che creano un determinato modello sul suolo urbano. La Strip di Las Vegas - spiegano gli autori - non è un caotico sprawl, ma un complesso di attività la cui struttura, come in altre città, dipende dalla tecnologia di movimento e di comunicazione e dal valore economico del suolo. Lo chiamano sprawl perché costituisce un nuovo modello che non abbiamo ancora capito: per noi progettisti, lo scopo qui è quello di raggiungere la comprensione di un nuovo modello.
Venturi e Scott Brown conducono un’analisi rigorosa ed esemplare, eleggono la Strip di Las Vegas come tema di studio, un modello urbano considerato deteriore, eccessivo, caotico, privo di alcuna qualità. Intravedono in questa autostrada urbana dell’eccesso un elemento unitario in grado di costruire un sistema in tutti i sensi trasversale alla città e, attraverso una coscienza storico-critica non comune, dimostrano quanto questo modello urbano abbia delle leggi, delle regole proprie e risponda a determinate esigenze.
Gli autori mettono in luce la
corrispondenza che sempre vi è tra un epoca storica e il modello insediativo
che produce in un determinato contesto urbano. Indagano le tipologie degli
edifici che si attestano sulla Strip, ne comprendono le gerarchie, i rapporti
spaziali e volumetrici in base agli usi e ai tempi di percorrenza. Decifrano e trascrivono
le leggi che governano la realizzazione e il posizionamento delle monumentali
insegne luminose, autentiche protagoniste del nuovo paesaggio urbano, cui è
affidato il compito di calamitare avventurieri e viaggiatori. Ne rilevano una
vera e propria architettura che tiene conto di una complessità di fattori e che
fino a quel momento nessuno aveva valutato con la giusta attenzione: quella complessità
che adesso è sintetizzabile nella parola “comunicazione”.
Per trascrivere gli esiti di
quest’analisi reinventano un metodo di rappresentazione specifico ed
appropriato. La loro volontà di innovazione analitica, coadiuvata dalla
presenza di due grafici all’interno dell’equipe di studio, conduce alla messa a
punto di una nuova rappresentazione diagrammatica dell’analisi percettiva e
tipologica svolta sul campo. Con una grafica accattivante e pioneristica, elaborano
diagrammi comparativi, piccole e mirate sequenze fotografiche, schemi
esemplificativi, schizzi critici, analisi tipologiche comparate tra gli
edifici, racchiuse in agili diagrammi e planimetrie in negativo, invertite per
letture mirate e specifiche: tutti strumenti analitici che divengono input
progettuali, poiché consentono di gestire la complessità di un fenomeno urbano
a grande scala.
Il metodo. Basta scorrere l’indice del libro per comprendere l’articolazione di un ragionamento condotto dagli autori con una pregnante capacità critica, caratterizzata da scatti sequenziali volti a validare un concetto molto semplice, sintetizzabile nel sottotitolo della seconda edizione “il simbolismo dimenticato della forma architettonica”.
Alla riscoperta dei codici nascosti e ancora di più, alla legittimazione di tali codici - tipologici e simbolici - utili per la costruzione di parametri di lettura coerenti e appropriati, per certi versi universali perché sempre deducibili dall’insediato. Tale operazione dimostra quanto sia importante e complessa la lettura dei codici genetici di un luogo, anche di un luogo “evidente” come Las Vegas. Lapidarie alcune considerazioni di Venturi: “Noi pensiamo che l’usuale e l’esistente, non l’eroico e il megatecnico, siano i veri strumenti dell’architettura della nostra epoca. Possiamo ricontestualizzare sia il linguaggio tradizionale che quello moderno grazie ad una percezione critica della storia. Le nostre sono predizioni, non descrizioni letterali: espressioni schizzate ma evocatrici, indeterminate ma generatrici di dettagli, flessibili ma durevoli. Non si tratta di un’architettura definitiva e raggiunta, ma di una matrice di flessibilità per futuri utilizzatori.”
Straordinaria la loro capacità di inquadrare il fenomeno insediativo a cavallo della Strip di Las Vegas in un’ottica storica e rilevarne l’importanza in termini di spontaneo e repentino sviluppo urbano, per darle lo stesso peso di un fenomeno storicizzato. I continui rimandi presenti nel testo tra alcuni sistemi della Strip e le più riconosciute strutture urbane classiche, sono il frutto di una disinvolta coscienza storica, tanto libera da pregiudizi da rilevare i nessi tra pubblico, vocazioni economiche e territoriali di un contesto rumoroso e dissonante come quello di Las Vegas.
La loro lettura in chiave simbolica costituisce a tutti gli effetti una teoria sull’architettura, che non solo trae spunto da un’analisi concreta sulla Strip e sintonizza con le esperienze artistiche di quegli anni, ma è anche misurata su un’opera di architettura costruita dagli autori, che diviene il pretesto per una rigorosa lettura critica: la Guild House a Filadelfia, una casa per anziani progettata pochi anni prima della pubblicazione del libro. Questa opera, che costituisce un risultato al limite del postmodern, discutibile nei principi e nei valori di cui si fa carico, testimonia la circolarità, la coerenza dell’operazione teorica che Venturi e Scott Brown tentano con questo volume.
E al confronto con la scena attuale, in cui non esiste alcun legame, alcuna consequenzialità tra struttura analitica, ricerca progettuale e attività didattica, questo volume, tra gli altri pregi specifici, ha principalmente quello di dimostrare quanto sia importante costruire una ricerca che in tutte le sue sfaccettature sia espressione di un nucleo teorico solido. Questo è il messaggio più significativo che si può trarre oggi da questo volume.
L’insegnamento dell’architettura come occasione di ricerca applicata. Va sottolineato, infine, che questo volume nasce da una esperienza di ricerca universitaria compiuta nel 1968 presso la School of Art and Architecture della Yale University. Esso è quindi il frutto di un corso di studi che ha visto la partecipazione attiva di docenti e studenti su un tema comune di ricerca. E fin dalle prime pagine gli autori ne chiariscono questo rilevante aspetto e aggiungono: “alcuni dei punti importanti per il corso sono stai tralasciati in questo libro: ad esempio il nostro interesse pedagogico nel trasformare un tradizionale «corso» di architettura in un nuovo modo di insegnare tale materia, come pure il nostro particolare interesse nell’elaborare strumenti grafici più adatti di quelli attualmente usati da architetti e urbanisti, per descrivere quel modello di sviluppo urbano, ovvero lo sprawl, e, nello specifico, la strip commerciale.”
Alla riscoperta dei codici nascosti e ancora di più, alla legittimazione di tali codici - tipologici e simbolici - utili per la costruzione di parametri di lettura coerenti e appropriati, per certi versi universali perché sempre deducibili dall’insediato. Tale operazione dimostra quanto sia importante e complessa la lettura dei codici genetici di un luogo, anche di un luogo “evidente” come Las Vegas. Lapidarie alcune considerazioni di Venturi: “Noi pensiamo che l’usuale e l’esistente, non l’eroico e il megatecnico, siano i veri strumenti dell’architettura della nostra epoca. Possiamo ricontestualizzare sia il linguaggio tradizionale che quello moderno grazie ad una percezione critica della storia. Le nostre sono predizioni, non descrizioni letterali: espressioni schizzate ma evocatrici, indeterminate ma generatrici di dettagli, flessibili ma durevoli. Non si tratta di un’architettura definitiva e raggiunta, ma di una matrice di flessibilità per futuri utilizzatori.”
Straordinaria la loro capacità di inquadrare il fenomeno insediativo a cavallo della Strip di Las Vegas in un’ottica storica e rilevarne l’importanza in termini di spontaneo e repentino sviluppo urbano, per darle lo stesso peso di un fenomeno storicizzato. I continui rimandi presenti nel testo tra alcuni sistemi della Strip e le più riconosciute strutture urbane classiche, sono il frutto di una disinvolta coscienza storica, tanto libera da pregiudizi da rilevare i nessi tra pubblico, vocazioni economiche e territoriali di un contesto rumoroso e dissonante come quello di Las Vegas.
La loro lettura in chiave simbolica costituisce a tutti gli effetti una teoria sull’architettura, che non solo trae spunto da un’analisi concreta sulla Strip e sintonizza con le esperienze artistiche di quegli anni, ma è anche misurata su un’opera di architettura costruita dagli autori, che diviene il pretesto per una rigorosa lettura critica: la Guild House a Filadelfia, una casa per anziani progettata pochi anni prima della pubblicazione del libro. Questa opera, che costituisce un risultato al limite del postmodern, discutibile nei principi e nei valori di cui si fa carico, testimonia la circolarità, la coerenza dell’operazione teorica che Venturi e Scott Brown tentano con questo volume.
E al confronto con la scena attuale, in cui non esiste alcun legame, alcuna consequenzialità tra struttura analitica, ricerca progettuale e attività didattica, questo volume, tra gli altri pregi specifici, ha principalmente quello di dimostrare quanto sia importante costruire una ricerca che in tutte le sue sfaccettature sia espressione di un nucleo teorico solido. Questo è il messaggio più significativo che si può trarre oggi da questo volume.
L’insegnamento dell’architettura come occasione di ricerca applicata. Va sottolineato, infine, che questo volume nasce da una esperienza di ricerca universitaria compiuta nel 1968 presso la School of Art and Architecture della Yale University. Esso è quindi il frutto di un corso di studi che ha visto la partecipazione attiva di docenti e studenti su un tema comune di ricerca. E fin dalle prime pagine gli autori ne chiariscono questo rilevante aspetto e aggiungono: “alcuni dei punti importanti per il corso sono stai tralasciati in questo libro: ad esempio il nostro interesse pedagogico nel trasformare un tradizionale «corso» di architettura in un nuovo modo di insegnare tale materia, come pure il nostro particolare interesse nell’elaborare strumenti grafici più adatti di quelli attualmente usati da architetti e urbanisti, per descrivere quel modello di sviluppo urbano, ovvero lo sprawl, e, nello specifico, la strip commerciale.”
A chiusura della prima parte analitica, ovvero nel cuore del volume, si trova un piccolo capitolo intitolato “Note per il corso di progettazione architettonica”, che riporta i nomi degli studenti e che fin nell’intestazione del corso anticipa “Un significato per i Parcheggi A&P ovvero…imparare da Las Vegas: un problema di ricerca per un corso di progettazione”.
Il libro è dunque l’evoluzione di una ricerca universitaria e pure nella sua costruzione fisica, la didattica è una centralità. Il capitolo si configura come raccolta di note, di considerazioni, appunti di viaggio, calzanti citazioni di esperti, storici e studiosi che costruiscono un humus comune, un ambito di idee e sentori condivisi. Gli studenti diventano parte attiva e riconosciuta di una indagine percettiva e progettuale, ed alcuni estratti delle loro riflessioni sono riportate all’interno del medesimo capitolo. Si costituiscono piccoli gruppi di lavoro tra studenti ed esperti, si svolgono inchieste, interviste e ad ogni studente è affidata l’indagine e l’analisi delle tipologie di studio presenti sulla Strip: le stazioni di servizio, i Motel, i parcheggi, la regolazione delle insegne, gli accesi agli hotel e tanto altro. Tutto il materiale che viene raccolto costituisce quel patrimonio comune, fresco e inedito che ogni corso che si rispetti dovrebbe produrre e questo libro ne custodisce un esempio prezioso.
Il libro è dunque l’evoluzione di una ricerca universitaria e pure nella sua costruzione fisica, la didattica è una centralità. Il capitolo si configura come raccolta di note, di considerazioni, appunti di viaggio, calzanti citazioni di esperti, storici e studiosi che costruiscono un humus comune, un ambito di idee e sentori condivisi. Gli studenti diventano parte attiva e riconosciuta di una indagine percettiva e progettuale, ed alcuni estratti delle loro riflessioni sono riportate all’interno del medesimo capitolo. Si costituiscono piccoli gruppi di lavoro tra studenti ed esperti, si svolgono inchieste, interviste e ad ogni studente è affidata l’indagine e l’analisi delle tipologie di studio presenti sulla Strip: le stazioni di servizio, i Motel, i parcheggi, la regolazione delle insegne, gli accesi agli hotel e tanto altro. Tutto il materiale che viene raccolto costituisce quel patrimonio comune, fresco e inedito che ogni corso che si rispetti dovrebbe produrre e questo libro ne custodisce un esempio prezioso.
Abbiamo volutamente tralasciato tutti quegli aspetti che attengono alla inebriante scoperta di un nuovo paesaggio pop, attraverso il linguaggio ridondante delle giganti insegne luminose e tutte le intuizioni proposte dagli autori per legittimarne l’interesse, che costituiscono la parte più diretta del libro. L’architettura di Venturi e Scott Brown, fatte le dovute eccezioni, soprattutto dopo la pubblicazione di Imparare da Las Vegas, ha virato nella direzione del postmodern, malgrado il loro sforzo di tenere alti i valori espressi in questo libro, che assieme al precedente Complessità e contraddizioni in architettura ha influenzato generazioni di architetti.
Auguriamo a questa riedizione italiana di Imparare da Las Vegas nuova fortuna critica e nuovi riscontri sul terreno della ricerca, con l’invito a non trattare questo libro come un classico dell’architettura, come spesso oggi si dice. Significherebbe normalizzarlo. La sua forza d’urto, se compresa oggi, può esser di grande ispirazione per la ricerca di domani.
Auguriamo a questa riedizione italiana di Imparare da Las Vegas nuova fortuna critica e nuovi riscontri sul terreno della ricerca, con l’invito a non trattare questo libro come un classico dell’architettura, come spesso oggi si dice. Significherebbe normalizzarlo. La sua forza d’urto, se compresa oggi, può esser di grande ispirazione per la ricerca di domani.