UNA GRANDE LEZIONE DA UNE PETITE MAISON






Ringrazio Raffaele Cutillo per questo suo scritto che mi ha inviato subito dopo il post relativo alla mostra del maestro svizzero al MAXXI di Roma lo condivido con voi e ringrazio Raffaele.







LE CORBUSIER - Une petite maison (1954)
Biblioteca del Cenide,  2004
di  Raffaele Cutillo



Assolutamente stringato nella scrittura, generoso di immagini dove la didascalia diventa reale esplicitazione del testo. Quasi un racconto intimo, come fatto solo a se stesso ma, in realtà, di grande impatto comunicativo. Un susseguire di brevi riflessioni. Poche, nette, immediate, dirette. E’ il Le Corbusier della maturità che ritorna, come ha fatto spesso, sulla sua architettura. Per ridescriverla, rivisitarla. Per ritrovarvi, ossessivamente, una ulteriore traccia della ricerca paziente della certezza del progetto. Qui, sul lago Léman, dopo trenta anni, vi trova un tema forse ancora incompiuto. Ancora modificazione. Ancora correzioni da apportare ma conferma dei principi fondatori della Architettura per questa densa e petit maison: misura, tecnica, improvvisazioni spaziali, dialogo con il luogo assoluto. Un invito alla essenzialità. L’uomo resta il centro di tutte le cose, l’ attenzione prioritaria. Questa casa è un progetto per l’abitare. Forma, funzione, materiali, orientamento, dettagli, colori, arredi, insieme concorrono solo alla sua buona riuscita, alla tranquillità del risiedere. Trasuda passione e rispetto per questo fine ultimo che orami, da tempo, nella cultura architettonica contemporanea soggiace al dominio della pura forma, alla esaltazione della sospinta originalità del segno, all’abbandono del fine sociale della architettura, alla grandeur delle evoluzioni mediatiche. 





 Qui, invece, la pianta, lo studio dei fronti, le sezioni, si fanno costruzione. Il progetto è una sorta di menabò utile alla immediata realizzazione, alla tangibile architettura per la gioia dei suoi abitanti ultimi. I tratti degli schizzi che accompagnano l’idea originaria della casa contengono in sé la sua concretizzazione. Costruzione, quindi. Estrema ricerca collaudata ma in continua evoluzione. Tutti i disegni di Le Corbusier conservano l’idea del costruire. Non sono solo l’idea del progetto. Presuppongono la materia che sarà plasmata da altre mani per definire spazi finiti, reali, fruibili, concreti. E’ la disinvoltura grafica, che lascia inquieti. E’ la familiarità con il mestiere che spiazza il lettore. E’ la capacità di sintesi teorica trasformata in materia, che induce alla riflessione. 




Il linguaggio non lascia spazio se non alla applicazione del pensiero. Esperienza. Modello teorico trasferito in laboratorio, sperimentato e, poi, applicato. Come Leonardo. Come Galileo. L’idea della Architettura previene il Luogo e “…con la planimetria in tasca abbiamo cercato il terreno per molto tempo. Ma un giorno, dall’ alto delle montagne, scoprimmo il vero terreno” e così “la planimetria viene inserita sul suo terreno: vi entra come la mano in un guanto”. 







L’anticipazione della Architettura sulla Natura. La certezza dell’adattamento successivo del suolo alla costruzione, la consapevolezza di ritrovare sicuramente un luogo adatto alla sua architettura; a quella costruzione che possiede intrinsecamente il buon risultato, prescindendo, apparentemente, dal contesto. Come se avesse in sé già tutti i luoghi, come se fosse padrona, a priori, del loro spirito. Summa assoluta del Luogo. Il dominio del razionale sull’imprevedibilità, della Scienza sulla Natura. Ma il luogo, nel tempo, dopo aver fatta propria la costruzione, dopo averla accettata, la sottopone all’inevitabile adattamento. Modificazione continua, mouvence della architettura, come del paesaggio. E, allora, ecco il rincorrere affannoso della tenuta della casa all’inesorabile corso del Tempo, all’adattamento continuo alla ciclicità vitale del suolo. Inesorabile, rimane, l’usura della costruzione avvolta dalla Natura e la sua continua difesa. Il destino ha condotto alla fusione con la Terra quella architettura che sembrava nascere, come algida sostanza, da una provetta di vetro. Il Paesaggio è porzione della Costruzione, è lo sfondo della finestra, “attore primordiale” della casa. Inaspettato come nel parigino attico de Bestegui: passaggio immediato ed improvviso dall’ artificio della costruzione che sembra dettare le regole, alla immanenza esterna della natura. Il lungo muro bianco lascia disvelare d’improvviso, dopo averlo celato, il panorama troppo invadente del lago e delle montagne al contorno. Natura artificiata, combattuta. E, da qui, diventa ossessivo il ricorso, nel breve testo, a espressioni quali “strappare”, “togliere”, “tagliare” riferito ai rami che incombono troppo sulla costruzione, agli alberi che periodicamente vengono sostituiti nel tempo, al manto erboso che, incolto e indomabile, domina il tetto-giardino. Tetto verde sulla natura verde. 




 Una piccola casa che nulla ha da invidiare alle grandi realizzazioni. Il fattore di scala che prescinde dalla qualità. La scienza applicata all’estremamente minuto degli arredi, al tendaggio che sfiora il davanzale, al lucernario che coglie il sole dell’alba, alla ripida scala che conduce al terrazzo, al rivestimento in lamiera della parete, alla cura della sezione strutturale che accompagna la modificazione naturale del sottosuolo. Le Corbusier, commentando una sua architettura, diceva spesso ai suoi collaboratori: “importante è che sia bella”. E qui il bello non è puro disincanto, ma meccanismo funzionante, utilitas: “…Delle funzioni precise con delle dimensioni specifiche che possono raggiungere un minimo utile: un funzionamento economico ed efficiente che realizzi le contiguità efficaci”. Controllo delle parti e semplicità. Lascia sicuramente una traccia indelebile questo minuto libro, asciutto nella comunicazione del Pensiero e della sua traduzione in cosa tangibile. Denuncia fermezza e rigore. Il racconto di questa piccola casa è una grande lezione, un inaspettata pietra nel caos stagnante di questi anni.