Gestus e L'infinito istante, due mondi non troppo lontani
«Jeff
Wall è un
fotografo anche se i suoi lavori "iniziano con il non fotografare"
[...] che significa affidarsi alla "forma della memoria". La realtà non è altro che la
composizione di tanti piccoli sguardi cuciti insieme per ricreare un’immagine simbolica o
una storia. Per ricreare quella che poi Wall chiama "Attualità"».
Francesco Bonami
Jeff Wall
Gestus: scritti sulla fotografia e sull'arte
A cura di Stefano Graziani
Quodlibet, Macerata 2013
Geoff Dyer
L'infinito istante
Saggio sulla fotografia
Einaudi 2007
Geoff Dyer non è un fotografo e non possiede una macchina fotografica.
Jeff Wall è
uno tra i più importanti
fotografi contemporanei.
Due narrazioni sull'arte della fotografia molto diverse tra
loro, quasi contrapposte.
La nascita dell'arte concettuale e le relazioni fra temi
oggetti, istanti che ritornano nel corso degli anni un modo per comprendere un
mondo ancora da esplorare, alla luce delle trasformazioni contemporanee in cui
la fotografia da forma alla realtà.
I libri sono molto diversi tra di loro L'infinito Istante è una fluida raccolta di storie,
che sono realmente o solo potenzialmente dentro fotografie famose, o
sconosciute ma che fermano la stessa immagine. Dyer era giá partito da fotografie di
Jazzisti famosi per descrivere la loro vita e la loro musica nel suo Natura
Morta con custodia di Sax-Storie di Jazz (1) libro
che apre un dialogo serrato tra discipline diverse.
Ho la sensazione che il non fare fotografie sia una
condizione per scrivere di esse...Dorothea Lange ha detto che la macchina
fotografica é
uno strumento che insegna alle persone come vedere senza la macchina. Posso non
essere un fotografo ma ora vedo il genere di fotografie che avrei potuto fare
se lo fossi stato.
Dyer racconta la fotografia dall'inizio, da quando il confronto
con la pittura ne misura le potenzialitá,
le caratteristiche espressive che cercano di raccontare, la cittá i suoi abitanti gli attimi che
si ripetono. Wall invece racconta la fotografia dall'interno, cerca di definire
i confini di quest'arte racconta il suo modo di comporre le opere, un metodo che non è affatto debitore del reportage,
del gusto dell'istantanea, del gioco di chi ama l'attimo e lo eterna. Lui
l'attimo lo inventa. Wall infatti, come un pittore, sa esattamente quello che
vuol rappresentare, lo crea con meticolosità
nelle scene da lui create. Non cerca storie e nemmeno le vuole raccontare, crediamo
di vedere una cosa e invece stiamo guardandone un'altra. La migliore risposta
possibile a Baudelaire, che credeva di poter condannare i fotografi in quanto
tecnici che non inventano niente. Qui, dentro la finzione radicale, misuriamo
quanta realtá
ci sta nel come se.
Dyer attraverso la descrizione dei soggetti fotografati,
ripercorre l'intera storia della fotografia, a volte le immagini si ripetono,
sembrano quasi essere le stesse ma poi l'autore ci spiega le differenze,
differenze che a volte dipendono dalla storia personale del fotografo delle
altre degli strumenti usati, altre ancora dalla storia di un preciso momento
storico. Sono proprio tutte queste informazioni diverse a mettere assieme un
mosaico che segna la storia della disciplina.
Per Wall scrivere è una necessità per spiegare e capire non solo il lavoro del fotografo ma anche il rapporto che esiste con altre discipline, la fotografia come strumento per l'arte concettuale. In un certo senso come la fotografia può reinventarsi come strumento di investigazione di un' idea. L'utilizzo di metodi caratteristici di una disciplina per caratterizzare la stessa, non per sovvertirla, bensì per rafforzarla con maggiore decisione nella sua area di competenza (2)
Il saggio più bello è quello su Dan Graham il suo modo di reinventare la fotografia come strumento di ricerca, capace di descrivere una realtà oggettiva che si fa rappresentazione di una struttura sociale.
Stefano Graziani (4), il curatore del volume, sottolinea come Wall non fa altro che mettere a
nudo gli aspetti patologici della vita contemporanea, la solitudine, l'ansia,
la condizione del paesaggio in quanto scena dominata dall'azione dell'uomo, e
mai inteso come esplorazione geografica o contemplazione.
Dyer fa cominciare tutto da Walker Evans che è
stato interprete ed epigono dello stile documentario per tutta una generazione
di fotografi si è
presentato il problema di come continuare a lavorare senza ripetere ciò che egli aveva reso non
superabile.
Lo stile per Dyer coincide con il desiderio di raccontare la
realtà, attimi che si
ripetono ma che vengono cercati da tanti fotografi, che si trasformano in
cacciatori di quell'infinito istante che oggi è
forse diventato un ossessione per tutti noi, sempre presi a registrare attimi da condividere sui social network.
Forse è
soltanto una stranezza autoreferenziale dovuta all'approccio e alla struttura
incerta di questo libro ma, in misura sempre maggiore, la storia della
fotografia sembra essere fatta di fotografi che hanno dato le proprie versioni
personalizzate di un repertorio di scene, soggetti e motivi. Questo repertorio
si espande e si evolve costantemente, invece di essere fisso e statico, ma un
numero sorprendente degli elementi che lo costituiscono fu stabilito fin dalle
origini da Henry Fox Talbot negli anni Quarante dell' Ottocento.
Nell'esplorare le ragioni della sua attrazione per la fotografia
Roland Barthes distingue tra studium e punctum, dove il primo è inteso come un campo omogeneo
di relazioni, di motivi di interesse vago e allargato, mentre il secondo,
quando c'è, è un particolare inquietante e
pungente, la striatura imprevista che attraversa il campo. (Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia. Torino, Einaudi, 1980.)
Dyer descrive, il campo delle relazioni Wall produce la striatura
imprevista che attraversa il campo, la linea di equilibrio che rende l'immagine rappresentazione di un momento sospeso tra realtà e finzione.
Per constatarlo basta visitare la mostra Actuality al PAC di Milano e immergersi completamente nel lavoro di questo fortografo.
(1) «Per
un po' mi sono domandato se non fosse doveroso segnalare i passi in cui
prestavo ai personaggi frasi da loro effettivamente pronunciate nella realtà. Alla fine,
attenendomi al principio che ha guidato tutte le altre mie scelte in questo
lavoro, ho preferito evitarlo. È
normale che i jazzisti si citino a vicenda nei loro assolo: avvertirlo o meno
dipende dalla nostra competenza musicale. Qui capiterà la stessa cosa. In
linea di massima considerate che quanto leggerete è stato inventato o modificato, non
riportato. Per tutto il libro mi sono proposto di presentare i musicisti non
com'erano ma come me li immagino e, ovviamente, fra le due versioni può esserci un abisso: piú che descrivere i
musicisti in azione, ho cercato di proiettare a ritroso di trent'anni - fino al
momento in cui la loro musica fu concepita - la mia esperienza di ascoltatore
contemporaneo».
Geoff Dyer, Natura morta con custodia di sax Einaudi 2013
(2) Clement Greenberg Avanguardua e kitsch, in Clement Greenberg l'avventura del modernismo Johan & Levi, milano 2011
(3) al PAC di Milano fino al 9 giugno 2013 la prima grande
retrospettiva italiana sul fotografo canadese Jeff Wall, pioniere della
fotografia concettuale o post-concettuale e fra gli artisti più innovativi degli
ultimi trenta anni.
"La sua non è
un'infarinatura di storia dell'arte, ma conoscenza approfondita, tanto da
condividere i metodi di un pittore, con macchina fotografica e computer."
(4) Stefano Graziani, 1971, graduated in architecture at the
IUAV in Venice, photographer, History and Tecnique of Photography professor at
the Architecture Faculty, Trieste University. He has worked and published different
portfolios for Domus (Yona Friedman, Le Tier Paysage, Chandigarh, Robert
Smithson), A+U (Japan), Numero Press (France), Camera Austria, Territorio, Log
(USA), Editoriale Motta, Repubblica, Cross, FlashArt Italia, Abitare, Monopol
Magazine (Berlin).
(5) Jeff Wall. Actuality Catalogo: Electa 2013