5 STORIE PIU' UN CAFFE' DI PARIGI




Ecco ogni tanto mi piace davvero uscire dalle righe solite di questo blog, architettura e arte, e scrivere senza una linea precisa di altre letture, seguendo soltanto una suggestione o meglio un intuizione. In certi periodi nei libri, in tutti i libri che leggiamo cerchiamo la stessa cosa. I libri l'estate li scelgo per le storie che raccontano, ho sempre voglia di farmi portare via, in qualche altro luogo, la scrittura serve a questo, li scelgo con cura non posso permettermi di sbagliare. (anche se poi negli sbagli si trovano sempre cose inaspettate). Rimettendoli in fila sul mio tavolo oggi li ho guardati e ho riconosciuto in un attimo un flusso costante dei pensieri che hanno provocato.



Una mappa di un territorio inesplorato da cui a poco a poco si riconosce un filo rosso che li unisce tutti quanti.
Nella mia lista quest'anno il filo rosso è lo spazio della città, il perdersi per poi ritrovarsi, lo spazio nascosto tra noi e i luoghi che attraversiamo, più che altro la ricerca di quello spazio intimo che si trova in ogni città, e nei ricordi che tutto questo procura.



Naturalmente questi spazi sono ovunque, ma li riconosciamo solo nel preciso momento che li attraversiamo, camminando oppure leggendo.
Ho cominciato con una rilettura di un classico di Paul Auster, Moon Palace, e ho terminato  con  l'ultima parte di 1Q84 di Haruki Murakami. Tra i due ho inserito Città Aperta di Teju Coie, La Città e La Città di China Mieville che è un po la sintesi perfetta di tutti quanti perché si sofferma su quello spazio intimo tra finzione e realtà, che è anche il tema centrale di Racconti di qui di Davide Vargas.
La città e la città è un libro strano una grande metafora sulla contemporaneità.



Immaginate due città, separate e unite allo stesso tempo, in un punto indefinito dell'Europa. Due città sovrapposte, che condividono lo stesso spazio, ognuna con le proprie strade, i propri palazzi, i propri cittadini, la propria storia, la propria identità.
Un'anomalia spazio temporale, un capriccio tecnologico, un errore nella creazione, una scissione a un certo punto della storia? Tutto questo, o forse no.
Per un abitante di una città, il più grave reato è quello di vedere un abitante dell'altra: sono due mondi vicinissimi, eppure incomunicabili, e la punizione per chi trasgredisce è certa e impietosa. Così tutti si sono abituati fin dalla nascita a non- vedere, a sfuggire ogni forma di contatto con gli altri che pure sono lì, sotto i loro occhi e a portata di mano.

Tutto questo fino al punto in cui ci si accorge che esiste uno spazio che appartiene ad un altra realtà uno spazio tra le due città sovrapposte. Tutto questo è lo sfondo per un indagine su un omicidio avvenuto, in quale città e per quale motivo non è importante per il lettore. Ovvio che l'interesse è per le descrizioni di ciò che guardiamo e ciò su cui preferiamo non soffermarci, tutti viviamo la città, e tutti cerchiamo di non guardare ciò che non vogliamo vedere, le descrizioni dei luoghi sono memorabili, è importante quello che si guarda ma anche l'assenza quello che non ci è permesso osservare, senza compiere una violazione, scoprendo l'intersezione tra i mondi.



L'intersezione, lo spazio della violazione descritto da Mieville  non è altro che lo spazio che Davide Vargas cerca tra le cose, le tracce di un pensiero e di un luogo che é stato altro o diventerà altro. Le tracce nascondono le storie che non ci sono raccontate perché Vargas prima di tutto descrive luoghi tra presente e passato rivelando o meglio svelando il futuro inatteso che li accompagna.

In questo punto la campagna è occupata in questo punto è periferia incastrata tra due agglomerati urbani ed è materia grigia punteggiata di villette senza intonaco, palazzi, bar zeppi di ucraine, meccanici, distributori di carburanti...in questo punto bisogna arrangiarsi e piantare le viti dove è possibile e con chi è possibile. Sono interstizi, poligonali di risulta come stanze e dentro i contadini costruiscono con pali e fili altre stanze, gioco di simulazioni necessario alla sopravvivenza.

Lo sa bene Paul Auster, che si perde a New York, raccontando la vita di MSF alla ricerca di un'identità e di un passato, per riuscire a vedere un futuro.
Auster ci accompagna in un viaggio nello spazio, tra i grattacieli e la natura di Central Park dove ci si immerge come nel deserto dello Utah, fino all'Oceano Pacifico, per raccontare in realtà il tempo che passa dentro di noi, non la città che si contrappone al paesaggio, ma la giovinezza e la maturità che si alternano, la ricerca ossessiva di una disciplina che gli restituisca una coscienza di se. Un inoperoso perdersi nella natura di Central Park in attesa di essere salvato, fino all'isolamento volontario in una caverna in mezzo al paesaggio selvaggio ed inospitale dove l'unica salvezza è cercando risposte dentro di se, risposte da dipingere e scrivere sui suoi taccuini.

Dopo due e tre settimane di simile nuova vita e disciplina, gli tornò la voglia di dipingere. Una sera, mentre era seduto con la matita in mano, intento a scrivere la breve relazione circa le attività della giornata, sulla pagina opposta cominciò ad abbozzare lo schizzo di una scena montana.....lavorava sotto la spinta di una doppia coazione, che si combinava ad aiutarlo in diversa maniera. Anzitutto veniva la considerazione che questi suoi dipinti non li avrebbe mai visti nessuno...lavorava per se stesso, senza diversi, senza doversi porre il problema del giudizio altrui, condizione che si rivelò sufficiente a produrre un cambiamento fondamentale nel suo modo di accostarsi all'arte.......

C'è poi la luna, come nome, immagine e concetto, una presenza costante in tutto il romanzo, e sembra essere  proprio lei a guidare le gesta di un protagonista apparentemente (o forse veramente) sprovvisto di volontà propria. La stessa luna appare e fa da guida tra i due mondi, entrambi molto reali, descritti da Murakami. Una luna che si sdoppia quasi  a sottolineare la presenza di due realtà  parallele  ricomposte attorno ai nostri desideri

Nel cielo splendevano due lune. Una piccola e una grande. Erano sospese in aria, luna accanto allaltra. Quella grande era la solita luna di sempre. Quasi piena, gialla. Ma accanto ce nera unaltra, diversa, con una forma inconsueta. Era un po deforme, e anche il colore era strano, verdastro, come se sulla superficie fosse cresciuto un leggero strato di muschio.


Una sottile linea separa 1984 dal 19Q4, sta a noi scoprirla e poi a superarla, ma per farlo dobbiamo esplorare le nostre ossessioni per dare vita a un mondo del tutto personale, onirico e malinconico, in cui nessuna realtà parallela ripaga per la nostalgia di un’amicizia d’infanzia, per un amore mancato. Anche in Murakami c'è questo desiderio di isolarsi, di diventare un prigioniero volontario, di dare una regola e una disciplina alla propria vita, Aomame si rifugia in un'appartamento, in cui trascorre mesi senza uscire o incontrare qualcuno, se non i fantasmi del suo passato, Tengo trascorre giornate intere dialogando con un padre in coma, anche lui prigioniero volontario di un passato, ma che cerca di affrontare e superare. Le due lune, lo sdoppiamento della realtà accompagnano i protagonisti, fino alla fine della storia alla scelta del posto in cui stare. Tutti i personaggi di questi libri camminano, senza una ragione precisa, il camminare è un atto creativo un medium attraverso il quale attraversare le proprie paure e i propri fantasmi, così in una Tokyo labirintica si entra e si esce attraverso una scala di sicurezza di un'autostrada urbana. In una New York meno onirica di quella di Auster, Teju Coie si ferma grazie ai personaggi che incontra per caso, e che magicamente lo riportano nell'Africa della sua infanzia. Ma qui l'autore non vuole ricordare oppure ci dice che non è importante farlo, la cosa importante è dare spazio a ciò che a volte sembra interrompere il nostro cammino sicuro, seguire le voci.



E cosí quando lo scorso autunno avevo cominciato a fare le mie passeggiate serali, mi ero reso conto che Morningside Heights è un buon punto di partenza per esplorare la città. La stradina che scende dalla cattedrale di Saint John the Divine e attraversa Morningside Park è a un quarto d’ora da Central Park. Nella direzione opposta, andando verso ovest, Sakura Park è a dieci minuti, mentre a nord si arriva ad Harlem costeggiando l’Hudson, anche se il traffico al di là degli alberi copre il rumore del fiume. Quelle camminate, un contrappunto alla frenesia delle giornate in ospedale, pian piano si erano allungate, portandomi sempre piú lontano, tanto che a volte, di notte, dovevo tornare a casa in metropolitana. È cosí che, all’inizio dell’ultimo anno di specializzazione in psichiatria, New York si era fatta strada nella mia vita passo dopo passo.


Lo so in questi frammenti non si riconoscono le storie (per quello i libri vanno letti perché è necessario che ognuno trovi le sue) ma a me interessa scoprire come tanti libri possono per caso mostrarci la necessità di seguire la voglia di perdersi, per poi ritrovarsi, e camminare attraverso a scrittura.


Scrivere significa collegare le parole con le idee. C'è una certa frase che meglio contiene un certo pensiero, e il mio lavoro quando mi siedo a scrivere è quello di tenere al sicuro questo pensiero, un ricordo o un'invenzione. Quando scrivi qualcosa - usando le parole giuste, le migliori parole - dai a quella cosa una casa. Anche se era solo una osservazione fugace, l'hai salvata dall'oblio. Si potrebbe dire che la scrittura sia un modo di preservare per il futuro.



Durante la scrittura di queste poche righe, ho finito un altro piccolo volume riapparso sul mio tavolo da poco tempo, siamo a Parigi Nel caffè della gioventù perduta (1) di Patrick Modiano che con una precisione maniacale per i dettagli topografici, ci fa perdere per le strade di Parigi, ho davvero ripercorso con lui tutti i luoghi che descrive, mentre ci narra la storia di una ragazza, Louki, frequentatrice del caffè parigino Le Condé, in quell'istante della vita in cui la grazia della prima giovinezza lascia il posto inspiegabilmente al senso di smarrimento che sempre accompagna l'età matura. Non siamo di fronte all'incessante corsa tra le invenzioni narrative (anche un po' forzate di Auster) ma seguiamo quattro voci che raccontano la stessa cosa da punti di vista e tempi diversi, e ci fanno vedere la Louki che tutti abbiamo almeno una volta conosciuto e amato, la ritroviamo se non realmente almeno nei luoghi che ha vissuto.








(1)  Il titolo del libro è preso in prestito da una frase di Guy Debord, fondatore del situazionismo: Nel mezzo del cammino della vera vita, eravamo circondati da una malinconia oscura, che tante parole tristi e beffarde hanno espresso, nel caffè della gioventù perduta. La frase sta nel libro In girum imus nocte et consumimur igni (Mondadori, 1998)