FLAPPERS' & HIROO'S
Hiroo's
(8th prototype) n.0
Flappers'
(7th prototype) n.0
La cosa
più bella dei libri è che sono sempre collegati ad altri libri, in una sorta di
mappa infinita, che non porta in nessun luogo specifico o forse ci conduce in
tutti luoghi.
La prima
volta che ho letto dei fratelli Collier (1) è stato su una rivista per smart phone pensata da Stefano Mirti con la collaborazione di alcuni amici che nei diversi numeri o meglio prototipi di n. 0 lo hanno supportato, Luca Diffuse, Giulia Ferrari, Gioia Guerzoni, Adelaide Testa, Antonio Scarponi.
Devo dire i numeri 0 sono stati tanti, il nome cambiava di continuo, ed il numero di prototipi è stato di gran lunga superiore alla mia capacità di ricordare e di controllare tutti i nomi.
La
rivista era settimanale, sono stato uno dei fortunati tester, la ricevevo con
regolarità, e devo dire che mi ci ero
affezionato, anche il fatto che cambiava
nome cercandone uno stabile, penso sia stato uno degli elementi che mi
affascinava di più.
Poi come
era arrivata la prima volta, quasi per caso, è sparita dalla mia quotidianità.
Un grande
peccato perché posso dire con estrema
sincerità, che è stata la migliore trovata editoriale che mi sia mai
capitata per le mani. Un qualcosa di veramente speciale.
L'idea
era molto semplice ed oggi che gli smart phone ed i tablet sono diventati delle estensioni
del nostro corpo, ne capisco il valore intrinseco, questa rivista ci avrebbe
salvato la vita.
Guardatevi
intorno quando siete la mattina sulla metropolitana, oppure in treno mentre
viaggiate e noterete che tutte le persone che vi circondano hanno in mano un
telefono o un tablet, e nervosamente (io purtroppo faccio lo stesso) controllano
messaggi, mail, e social network. Non abbiamo più rispetto per quel tempo morto
che disegnava le nostre vite prima, quei momenti di vuoto che davano forza e
significato al pensiero che veniva dopo o che li precedeva.
L'idea di Mirti era
semplice e geniale, creare una rivista, con notizie brevi, non so qualcosa che
poteva leggersi tra una fermata e l'altra di un tragitto della metropolitana,
un po' come dilatare le news che aprono molte delle riviste di architettura
moda e design. E nelle news io ho sempre scoperto tracce interessanti. La notizia breve sarebbe diventata con l'idea di Mirti e dei suoi amici, un genere
letterario e allo stesso tempo uno strumento di approfondimento. Insomma Mirti e il suo gruppo
non inventavano ma codificavano qualcosa che già esisteva e lo facevano
diventare qualcosa di completamente nuovo.
Tra il
blog e il social network, prendeva il meglio da entrambe e restituiva valore
all'autore. Insomma su queste riviste si ritrovavano tanti frammenti, che
poi restavano intatti nella nostra memoria.
Tra
questi frammenti la storia dei fratelli Collier è stata una scoperta perché mi ha portato un po' a pensare ad una mia tendenza, forse
sono afflitto dalla stessa sindrome ad accumulare frammenti e non solo, la mia
cantina trabocca di oggetti apparentemente inutili, macchine da scrivere,
pacchi di zucchero che gli americani distribuivano dopo la liberazione
1945(trovati in un armadio di mia nonna) e tante altre cose, ma che messe una accanto all'altra disegnano una mappa
della mia vita e di quella della mia famiglia. (Ma questa e un altra storia).
La storia
di questi eccentrici fratelli è ritornata recentemente
attraverso le pagine del libro di Italo Rota che riflette sui significati dello
spazio interno.
Nella
città contemporaneo infatti è lo spazio interno a dover restituire significato allo
spazio urbano,nella sua ricerca e in quella di tanti architetti contemporanei, è fondamentale ripartire e ricostruire il mondo attraverso
un nuovo punto di vista, un punto di osservazione privilegiato che guarda
fuori, riscoprendo il valore del dentro, come luogo intimo, come spazio della
riflessione, o come recentemente ha scritto Aureli (2) uno spazio capace di
definire nuove forme di Ascetismo. La versione della Casa dei fratelli
Collyer sulla quinta strada è proprio questa versione
estrema di un interno aperto al mondo, in cui non è la forma dello spazio a definire la linea precisa tra due
condizioni, il dentro e il fuori, ma uno spazio capace di addensare al suo
interno pezzi di mondo una raccolta
ossessiva di oggetti, progetto di crescita o accatastamento compulsivo. In
cui non esiste nessun tipo di funzionalismo anzi è lo spazio antifunzionale che
da la possibilità all'individuo di ritrovare la
sua posizione la sua libertà, che deriva dalla costrizione
dalla capacità dell'individuo di isolarsi ma
di rimanere allo stesso tempo legato al mondo che lo circonda, un legame fatto
di oggetti o meglio di pezzi di questi oggetti, che perdono il loro significato
primario e ne acquistano un altro, fatto di memoria e capacità di rifiuto. Vivere in
quest'interno significa prima di tutto trovare il proprio spazio in cui
isolarsi. Tutto
questo immaginario nasconde un progetto.
La storia dei due fratelli è tragica ed affascinante insieme, e racchiude la spontanea
reclusione, l'isolamento, il degrado, ma anche il mistero, la follia e forse
persino il genio. La scelta di vita fatta da Homer e Langley sfiora la demenza,
ma allo stesso tempo esalta l'idea di libertà.......una libertà tutta da scoprire.
Io forse
l'ho scoperta grazie a Stefano Mirti, Italo Rota e all'autore del Romanzo Homer
& Langley Edgar L.Doctorow, che hanno lasciato traccia delle loro storie e
dei loro progetti a volte incompiuti, ma proprio per questo carichi di
significato.
Homer Lusk Collyer (New York, 6 novembre 1881 –
21 marzo 1947) e Langley Collyer (New York, 3 ottobre 1885 –
marzo 1947) sono stati due fratelli statunitensi noti per la loro natura
ossessivo-compulsiva, nota anche come disposofobia o "sindrome dei
fratelli Collyer".
Nati da una ricca famiglia, a seguito del divorzio dei
genitori iniziarono a rinchiudersi in loro stessi, rifiutando ogni contatto con
il mondo esterno, senza mai uscire per decenni dalla loro abitazione di Harlem.
Negli anni '40 furono rinvenuti cadaveri; una chiamata anonima avvisò
la polizia della presenza di un cadavere in quell'edificio, e le forze
dell'ordine si trovarono di fronte ad una casa piena di trappole contro gli
intrusi, immondizia, e qualunque tipo di oggetto.
I fratelli Collyer nascono da Herman Livingston Collyer
(1857-1923), un ginecologo di Manhattan che lavora al Bellevue Hospital, e
Susie Gage Frost (1856-1929); hanno una sorella, Susan, che muore ancora
bambina nel 1880. Le origini della famiglia possono essere fatte risalire ad
una comunità giunta in
America in nave presumibilmente solo una settimana dopo la Mayflower; la
famiglia dei fratelli Collyer, in particolare, trae discendenza dall'antica e
rispettabile famiglia Livingston di New York. Frequentano scuole prestigiose,
ed entrambi si iscrivono alla Columbia University, appena trasferita presso
l'attuale sede di Morningside Heights, distante solo 20 minuti di cammino dalla
casa dei Collyer. Homer si laurea in diritto di navigazione, e Langley in
ingegneria (la Columbia University, tuttavia, afferma che non ci sono tracce
della partecipazione ai corsi), nel tentativo di diventare un inventore.
Langley suona anche il piano e diventa presto un musicista dall'aspetto
singolare: la sua lunga chioma fluente è di certo una
rarità
per l'epoca. Nel corso degli anni l'eccentricità di entrambi i
fratelli si fa sempre più evidente.
Langley si cimenta con diverse invenzioni, tra cui un apparecchio per aspirare
l'aria all'interno dei pianoforti e una Ford modello T modificata per produrre
elettricità.
(2)
Less is Enough: On Architecture and Asceticism