UN RITRATTO PRIVATO

Questo libro non ho ancora fatto in tempo a leggerlo, quando ho letto su pagina 99 il testo di Manuel Orazi, ho pensato di riproporlo è un modo per rendere lo sguardo di the booklist un pò più ampio, un modo per avere più voci che raccontano i libri. Ringrazio Manuel per la sua disponibilità.


















Claire Beck, 
Adolf Loos. Un ritratto privato
Castelvecchi 2014


di Manuel Orazi


L'anno scorso Antonio Gnoli, andando a intervistare Roberto Calasso per i cinquant'anni dell'Adelphi lo sorprese mentre rovistava nella sua libreria personale alla ricerca di un libretto, «È una biografia che Claire Loos scrisse con l'intento di tirare su un po' di soldi per la tomba del marito. Un libro delizioso, ricco di fotografie e di piccoli fatti. Diceva Josephine Baker che Adolf Loos era il miglior ballerino di charleston in tutta Parigi». E quindi Gnoli chiosò su Repubblica: "Sublime aneddotica che esce fuori da un gesto casuale come è quello di ritrovare senza volerlo un libro creduto perso". La domanda infatti sorge spontanea: come mai questo libro non lo ha pubblicato prima Adelphi? Adolf Loos è infatti una delle icone viennesi della casa editrice milanese, e uno dei pochissimi autori di titoli di architettura del suo catalogo, quella raccolta dal titolo autoironico Parole nel vuoto ma dal contenuto serissimo, un vero e proprio manuale di stile: che cos'è l'eleganza maschile, come ci si deve tagliare i capelli e soprattutto, come si tagliano le zucchine? E in ogni caso Vienna, la capitale dell'Impero asburgico, è un luogo incivile perché i cucchiaini delle saliere dei suoi caffè sono completamente sbagliati. 
Invece il libro dell'ultima signora Loos, Claire Beck, Adolf Loos. Un ritratto privato (traduzione di Ilenia Gradante) è uscito quest'anno da Castelvecchi, casa editrice romana del gruppo Lit che sta subendo una mutazione genetica grazie alla direzione di Felice Di Basilio. Per fortuna sono ormai lontani gli esordi "cannibali" e pulp a volte sconfinanti nel pecoreccio legati al fondatore Alberto Castelvecchi, ora approdato ad altri lidi. Nella collana "Ritratti" sono ora ospitati altri grandi viennesi come Stefan Zweig (ben sei titoli) o Alma Mahler, prendendo così di petto uno dei generi più bistrattati dalla saggistica italiana vale a dire la biografia.



Le idee camminano sulle gambe degli uomini, si sa, e dunque la biografia è spesso l'unico modo per dare alle idee una dimensione quasi tattile, insomma una profondità. Forse perché l'Italia è uno dei paesi più ideologici del mondo, le biografie sono state scritte magari facendo a meno dell'abilità letteraria di Zweig o magari abusando di determinismo crociano o marxista rendendole in fin dei conti oziose - tra le poche eccezioni gli inarrivabili Uomini del Novecento di Geminello Alvi, sempre da Adelphi neanche a farlo apposta. E invece questa di Loos è spassosissima, benché l'autrice non sia particolarmente dotata sul piano letterario. Dietro gli atteggiamenti, i colpi di testa o le idiosincrasie quotidiane del grande architetto ritroviamo la forma plastica delle sue idee spesso in modo imprevedibile come quando, sepolto fra i quotidiani in diverse lingue, è talmente assorto che li studia più che leggerli, aggiungendo: «Studiare gli annunci pubblicitari è importante quanto leggere la cronaca politica. Da lì si capiscono necessità ed eccessi di una nazione». Dopotutto Loos, su imitazione del suo unico vero amico Karl Kraus, aveva pubblicato una rivista che scriveva e impaginava interamente da solo, "Das Andere", in cui anche le pubblicità (quasi tutte dei suoi sarti Goldman & Salatsch) erano parte integrante del progetto che come sottotitolo recava: "periodico per l'introduzione della civiltà occidentale in Austria". E la sobrietà inglese e soprattutto americana - dove aveva trascorso tre anni fondamentali per la sua formazione fra il 1883 e il 1886 - era appunto il valore supremo che Loos applicò a modo suo all'architettura e al suo stile di vita a cominciare dal rapporto con il "drago ornamento". 




Loos insomma amava soprattutto gli artigiani, cioè di chi ha rispetto dei materiali e del loro uso parsimonioso. Dopotutto era figlio di uno scalpellino boemo e insieme con Kraus, boemo pure lui, formò la coppia che ancora oggi siede sulla vetta dello snobismo che, al contrario di ciò che si crede, ama ciò che sta più in basso come appunto gli artigiani e che ha orrore dei fagiani farciti e decorati della corte asburgica, «Io mangio il roast-beef». Loos era talmente snob da dichiararsi comunista, anche se a modo suo: «L'unica differenza fra me e un bolscevico è che io vorrei far diventare tutti aristocratici, mentre quello vorrebbe tutti proletari».