THE CITY AS A PROJECT: The Economic Teotihucan Metropolis
Un nuovo capitolo del libro The City as a Project per provare ad usare la scrittura come spunto di riflessione, dalle annotazioni spesso nascono altri progetti.
The public frame:
The Economic Teotihuacan Metropolis
Fernando Donis
di Gianfranco Bombaci
La città di Teotihuacan è la protagonista del testo di Fernando Donis che apre la pubblicazione di The city as a Project. Inoltre la sua planimetria, ripiegata in A4, ne costituisce l'involucro della copertina. Non sono mai stato a Teotihuacan, ma sono sempre stato affascinato dalle sue architetture a gradoni e dalla sua struttura urbana, motivo per il quale, immagino, Luca abbia scelto me per commentare questo saggio.
L’argomento esplicitato dal titolo fa, inoltre, supporre che la ricerca sulla “ragion d’essere” politica e sociale della città, coordinata da Aureli, abbia dato una certa importanza al tema dello spazio pubblico.
Sin dalle prime righe, il testo si presenta scorrevole ma impegnativo: Donis parte dal libro di Oswald Spengler, The decline of the West, scritto alla fine della prima guerra mondiale e in cui l’autore prefigurava il declino della cultura occidentale capitalista e del relativo modello di sviluppo, basato su una struttura centralizzata e gerarchica. In alternativa Spengler proponeva una sorta di “rivoluzione copernicana”, un modello economico universale capace di considerare le specificità culturali dei differenti paesi: una deprogrammazione dell’essenza culturale della città, finalizzata a una crescita e a uno sviluppo in divenire dato dalla dimensione collettiva della città.
Qui Donis, facendo sponda sempre sul testo di Spengler, approfondisce il senso stesso della parola frame, come intelaiatura o ossatura pubblica della città, approdando, in maniera forse pindarica, a una riflessione sulla cultura Messicana, o meglio mesoamericana, come archetipo di un approccio alla città alternativo a quello sviluppato in Europa e, successivamente, in nordamerica.
La città di Teotihuacan viene quindi presa in analisi come prototipo di un centro urbano sperimentale per i contenuti sociali e religiosi che ha espresso: la creazione di una società devota non a un re divino o a un'aristocrazia fondata su gerarchie militari, come nelle coeve civiltà classiche in Europa.
Qui Donis, facendo sponda sempre sul testo di Spengler, approfondisce il senso stesso della parola frame, come intelaiatura o ossatura pubblica della città, approdando, in maniera forse pindarica, a una riflessione sulla cultura Messicana, o meglio mesoamericana, come archetipo di un approccio alla città alternativo a quello sviluppato in Europa e, successivamente, in nordamerica.
La città di Teotihuacan viene quindi presa in analisi come prototipo di un centro urbano sperimentale per i contenuti sociali e religiosi che ha espresso: la creazione di una società devota non a un re divino o a un'aristocrazia fondata su gerarchie militari, come nelle coeve civiltà classiche in Europa.
Peculiarità di Teotihuacan era, difatti, l’assenza di una distinzione sociale negli alloggi. I diversi quartieri e compound offrivano un'organizzazione non gerarchica, dove la coabitazione non seguiva logiche di classe o di etnia. Lo sviluppo stesso della città sembra anticipare le dinamiche di uno sprawl tenuto insieme dalle forze gravitazionali dei principali luoghi di culto e dall’asse costituito dal Viale dei Morti. Il progetto di una città pensata in funzione del rito, della processione, della "riflessione su un ordine soprannaturale che ha dissolto la dicotomia tra individuo e collettività", permettendole di integrare culture diverse e di gestirne l'espansione, garantendo sicurezza e prosperità, per otto lunghi secoli, a una città dove gli uomini diventavano dèi.
Nel periodo di massimo splendore Teotihuacan ha esercitato un potere paragonabile alla Roma imperiale, ma senza alcuna difesa fisica, senza mura o torri di avvistamento, non essendo concepita come la capitale di un potere militare, bensì come un centro economico basato sulla spiritualità. Il Viale dei morti e le piramidi a gradoni, del Sole e della Luna, e il Tempio di Quetzalcoatl, in stile talud-tablero, che vi sorgono ai lati, costituiscono il palinsesto pubblico (il public frame) di una città non originata, quindi, da esigenze militari, a differenza delle città di fondazione nate sulla struttura dei Castrum romani. Se confrontiamo le planimetrie di Teotihuacan e della romana Timgad in Algeria, è evidente come le due culture partissero da presupposti agli antipodi. In una, l’idea di una qualità politica della città che risiede nella sua irriducibile dimensione collettiva, nell’altra il fondamento di una tradizione occidentale dove la politica si manifesterà nell’idea stessa di conflitto e della sua gestione.
Pur nella diversità dei riferimenti, e non solo per le analogie di natura formale, tornano alla mente alcune riflessioni che, dalla fine degli anni ’60 in Italia, hanno caratterizzato quelle esperienze di ricerca che hanno messo in discussione un modello di società capitalistica basato sul consumo di oggetti. L’innesto di considerazioni antropologiche e spirituali nel progetto, tentato allora, ha aperto scenari di un’architettura e di un design legato più al comportamento, al rituale, alle differenti spiritualità dei cittadini, piuttosto che alla funzionalità meccanica modernista. Oggetti e spazi per cerimonie condivise che richiedono luoghi in cui percepire che “l’unica architettura sarà la nostra vita”.
Lo spazio pubblico di Teotihuacan offre l’occasione di rileggere un sistema urbano ed economico alternativo ad un modello occidentale ormai esaurito. Un modo di concepire la città talmente unificante e flessibile da poter essere considerato un vero e proprio archetipo di un progetto urbano capace di includere la differenza senza alzare recinzioni. Un completo rovesciamento degli equilibri raggiunti tra sfera privata e dominio pubblico, anche dal punto vista economico, valorizzando gli spazi della condivisione degli innumerevoli rituali e cerimonie che strutturano i comportamenti umani.
Una città basata più sulla natura antropologica dello spazio che sull’organizzazione razionale delle sue attività.
Una città basata più sulla natura antropologica dello spazio che sull’organizzazione razionale delle sue attività.