UN MODELLO PER LA CITTA' SOSTENIBILE




Architettura produttiva:
principi di progettazione ecologica
a cura  di Marialuisa Palumbo
Maggioli Editore 2012


Questo libro sulla progettazione ecologica si articola attraverso una serie di saggi, affidati ciascuno ad un esperto del settore, che affrontano le tematiche di una nuova ecologia del costruire. Il volume è   curato da Marialuisa Palumbo, che ne ha ideato la traccia secondo una sua ricerca molto personale in cui si confrontano pratica e teoria per il progetto della città.
Per presentarlo vi propongo un testo scritto a quattro mani con Alberto Iacovoni, in questo testo cerchiamo di analizzare le possibilità per una Roma del futuro attraverso un' analisi del suo passato e del suo presente. 
Per noi Roma può essere considerata un modello di città sostenibile, anche se le tesi sembra alquanto impossibile da sostenere. Siamo convinti infatti che se osservata con attenzione, la città eterna nasconda al suo interno una serie di possibilità da interpretare attraverso il progetto.
Noi lo facciamo quotidianamente all'interno dei nostri rispettivi studi e siamo convinti che sia necessario provare a ripensare questa città attraverso il progetto di architettura.







Un modello per la città sostenibile, Roma.
di Luca Galofaro e Alberto Iacovoni

Un ossimoro, ecco cosa si rivela la definizione città sostenibile, se pensiamo alla natura stessa del sistema città, un organismo che necessita per sua costituzione di enormi flussi di energia e materie prime per poter funzionare, prodotti altrove e ivi trasportati; sistema divenuto ancor meno sostenibile nello svolgere dell'ultimo secolo, dal punto di vista prettamente ecologico, a causa dello sprawl a bassa densità sostenuto dalla diffusione dell'automobile, dal punto di vista sociale, con la creazione di enclaves monofunzionali depurate da qualsiasi complessità sociale le gated communities e la crescita abnorme degli slum nelle città dei paesi in via di sviluppo, e da quello economico, con la concentrazione della rendita fondiaria nelle mani dei grandi gruppi, sull'onda della finanziarizzazione dell'edilizia.
Ma la natura sostanzialmente dissipativa della città non ci esime dalla necessità di ricercare una relazione tra la sua forma e la sua performance ecologica, per quantomeno mitigare gli effetti sull'ecosistema locale il territorio su cui insiste, la collettività che la abita e globale il ciclo delle risorse che vengono incessantemente consumate ed espulse sotto forma di rifiuti e di migliorare la qualità della vita degli uomini e delle specie animali e vegetali che la popolano, e di proporre un modello attuabile nonostante e magari anche con il sostegno degli interessi finanziari sovranazionali di trasformazione del territorio; un modello morfologico, capace di tradurre l'astrazione dei dati (bilanci energetici, biodiversità, quadro sociale ed economico) in una immagine, per ridurre la complessità del sistema città e definire un campo d'azione, all'interno del quale chi progetta possa limitare il numero di variabili, indirizzare la propria azione e quella dei saperi specifici che contribuiranno ad individuare una soluzione concreta.
Ecco che allora diventa indispensabile dalla sterminata messe di studi e trattati estrapolare quelle che sono le qualità indispensabili per scongiurare il moltiplicarsi dei fenomeni dissipativi e porre le basi per una sostenibilità ambientale, sociale ed economica di una città possibile, che si riassumono qui di seguito con tre parole chiave:

1.Densità: è dimostrato che la città compatta, ad alta densità abitativa, genera le condizioni per la riduzione del consumo di suolo naturalizzato, l'efficienza trasportistica ed economica della mobilità pubblica e la moltiplicazione delle relazioni, grazie alla prossimità e al mix funzionale e sociale.

2.Intensità: esattamente come per il trasporto pubblico, esiste una massa critica necessaria per rendere sostenibili i sistemi, siano essi naturali o artificiali, raggiunta la quale i quartieri diventano più autosufficienti per quanto riguarda servizi ed attività commerciali, e le aree verdi più ricche di biodiversità.
Discendendo direttamente dalla densità del tessuto urbano, l'intensità è storicamente radicata nella qualità dello spazio pubblico (e delle sue relazioni con quello privato) e privilegia la continuità contro la frammentazione, la mescolanza contro la segregazione.

3.Capacità evolutiva: se densità ed intensità pongono le basi per degli ecosistemi urbani ricchi e vitali, la loro capacità adattativa ai mutamenti sociali ed ambientali è inversamente proporzionale alla rigidità dei sistemi di regole che li governano. E l'informalità termine con cui nei paesi anglosassoni si denotano quei fenomeni ai limiti se non del tutto al di fuori della legalità è una componente fondamentale che garantisce l'emergere di pratiche creative di appropriazione e produzione di ricchezza culturale, economica, ambientale ben prima dell'apparato normativo che dovrebbe favorirle, stimolarle e sostenerle.

Densa nelle sue parti costruite così come nelle sue aree verdi, intensa negli scambi e nelle relazioni che vi si instaurano, evolutiva nell'adattarsi continuamente ed informalmente alle opportunità e necessità che emergono dal tessuto sociale ed economico, la città sostenibile risparmia suolo, riduce l'importanza dell'automobile privata, offre alla specie umana come a quelle animali e vegetali una intensità di relazioni e scambi necessaria alla sopravvivenza (se non semplicemente ad un buon vivere) si emancipa dall'inerzia della materia di cui è fatta e delle leggi che la governano per cogliere opportunità e soddisfare i bisogni emergenti.
Una città sostenibile è una città le cui parti fisiche, politiche e sociali ristabiliscono una relazione tra di loro, comportandosi come un sistema vivente; è una città in cui i limiti non separano ma creano osmosi e possibilità, e  si instaurano rapporti retroattivi tra le parti che la compongono. 
Nonostante la latitanza di una buona pianificazione, lo strapotere dei grandi developers, che hanno disseminato negli ultimi vent'anni il suo vasto territorio di popolose isole residenziali mal progettate e non connesse tra di loro, esiste in effetti una città che in alcune sue parti, in un imprevedibile mix tra progetto ed abbandono, tra previsione ed errore, tra slanci verso il futuro e l'inerzia del passato, tra visioni e reminiscenze, possiede quelle straordinarie qualità.
Questa città è Roma, di cui si propone di ricomporre quei frammenti virtuosi i quali, ciascuno con modalità ed esiti differenti, individuano delle soluzioni complementari in una sorta di programma retroattivo per la città sostenibile.

Roma
L'errore come risorsa

Proporre Roma come modello può apparire come una provocazione, se si leggono le sue trasformazioni incontrollate e se si ripercorre la serie infinita di fallimenti provocati dagli strumenti di governo del territorio. In realtà, è proprio dalla natura imperfetta e caotica di questa città, dall'informalità di alcuni suoi processi, che emerge un possibile modello evolutivo, in cui si fondono più che in ogni altro luogo progetto ed errore, in cui gli scarti vengono continuamente riutilizzati in una ri-progettazione continua della città stessa e del paesaggio. Solo qui la visione del futuro viene aggiornata reinterpretando il proprio passato; un modello che possiamo riscontrare in alcuni luoghi specifici, ma diffusi nel suo territorio, dove si riproducono a volte inaspettatamente quelle condizioni di densità, intensità e capacità evolutiva che sono alla base di una città sostenibile.


La forza del vuoto

C'è una forza che emerge da questa città, quella del vuoto, spazio in parte progettato, in parte prodotto dal succedersi dei cataclismi che l'hanno segnata, dall'assimilazione dell'abbandono, della rovina e degli usi agricoli fin nel cuore della città.
Dal Nolli a Munoz, da Poussin fino alla realizzazione del Parco Regionale dell'Appia Antica, persiste in questa città una forza dello sfondo le piazze, i parchi, la campagna tra il costruito - rispetto alla figura l'edificio, il monumento che non ha pari in nessun'altra città.
La vocazione capitale di questa città, luogo millenario della rappresentazione del potere politico e religioso, i lunghi processi di decadenza tra le tre Rome (imperiale, papale ed italiana) che hanno decomposto intere parti in una nuova forma di paesaggio agricolo e naturale, la persistenza di emergenze ambientali ed archeologiche, lo sviluppo radiale lungo le strade consolari della città, la mancata attuazione di molte previsioni del piano, hanno fatto del vuoto un elemento strutturante, ancorché caotico, forte e qualificato, un vuoto fatto di intensità di relazioni come di ampi bacini e corridoi ambientali, di piccole e diffuse appropriazioni informali come di pratiche estese di agricoltura urbana che continua da secoli, con modalità e storie diverse.


L'intensità del pieno

A Roma hanno tardato inoltre ad affermarsi tipologie estensive di urbanizzazione, che si sono diffuse nel secolo scorso in molte città del mondo, per alcune ragioni convergenti, come il potere della rendita fondiaria che ha influito sulle normative (ad esempio nella trasformazione progressiva dalla tipologia a villino che caratterizzava molti quartieri a quella assai più densa ed urbana della palazzina, o con l'affermazione dell'intensivo[1] destinato alla media e piccola borghesia), o la morfologia ricca ed accidentata del territorio (e forse non è un caso che la vera suburbia romana, costituita da piccole ville unifamiliari con giardino sia nelle pianure verso il mare), o ancora l'alto costo dei suoli e delle abitazioni che hanno spinto molti abitanti a cercare tipologie più estensive nella costellazione di piccoli comuni che circondano la città.
Roma, nonostante l'enorme e frammentaria crescita degli ultimi quindici anni, è ancora in buona parte una città con un tessuto edilizio piuttosto denso in relazione alle tipologie insediative più devastanti dal punto di vista ambientale e sociale


Frammenti per una città modello

1 - Il paesaggio

Roma, per la sua storia e natura, appare dunque ancora oggi come un arcipelago di isole in un mare di spazi vuoti, vuoti di varia natura, alcuni già valorizzati nelle loro potenzialità, ovvero spazi restituiti alla collettività, attraversabili e percorribili, altri invece che ancora attendono di diventare parte di questo mare capace di connettere anziché separare.
[2]
In prospettiva, questo continuum di spazi verdi rappresenta una opportunità straordinaria per realizzare una rete di percorsi alternativi per attraversare tutto il territorio cittadino in contesti di grande qualità ambientale, per raggiungere una massa critica ambientale per la biodiversità, e la realizzazione di veri e propri corridoi ecologici, per una diffusione capillare dell'agricoltura urbana, ed infine per strutturare ove opportuno un sistema di spazi pubblici di relazione piazze, aree sportive tra le diverse parti di città che vi si affacciano.
Ciò che si intravede, in un modello possibile, è che si crei un sistema, una rete, e che accanto e attraverso il paesaggio urbano, possa strutturarsi un paesaggio verde altrettanto denso e vissuto.
In alcuni luoghi molte di queste potenzialità sono già state colte e realizzate in alcuni progetti specifici.



Un parco a tema nel cuore della città
l'area archeologica centrale

Un grande parco tematico nel cuore della città antica, in un contesto urbano vivo e complesso, innervato dal trasporto pubblico, parco perché costituito in gran parte di aree verdi, di grande valore paesaggistico, a tema perché la dominante è innanzitutto la storia, le vestigia di un grande passato, ma anche una ricca programmazione culturale che ne occupa gli spazi soprattutto da maggio a ottobre, con attività ed installazioni di ogni tipo, vissute e frequentate da milioni di turisti come dal moltissimi cittadini: la punta del cuneo verde che dai Castelli Romani entra fin nel cuore della città antica, ovvero l'area archeologica centrale, è un esempio perfetto di come già cento anni fa, quando la città cercava per la prima volta di strutturarsi come capitale di uno stato unitario, e diventare una città del proprio secolo, il vuoto prodotto dall'abbandono e dalla rovina sia divenuto un tema progettuale per la creazione di una forma inedita di spazio pubblico, in cui si fondono in un paesaggio inventato ex-novo l'immagine codificata da tanti pittori dei secoli precedenti (paesaggio rurale con rovine), lo spazio pubblico delle rappresentazioni collettive, il giardino novecentesco. Il cuore della città è uno spazio verde addomesticato, disseminato delle vestigia del passato, innervato di percorsi e spazi pubblici, con vaste aree dedicate alle attività collettive come ad esempio il Circo Massimo, grande vuoto multifunzionale che, liberato dalle fabbriche che lo occupavano, diventa la piattaforma per la realizzazione di una sequenza di instant-cities ante litteram.
Si tratta di uno spazio urbano ibrido nel quale lavoro, tempo libero e cultura si fondono in uno spazio multifunzionale che riassorbe nel ciclo vitale della città quei luoghi che altrimenti sarebbero delle enclaves monofunzionali del turismo, restituendogli valore. Uno spazio che re-inventa monumenti di epoche differenti, re-inserendoli nella città come oggetti e luoghi da utilizzare e non solo da guardare.
A questo innovativo esperimento di un secolo fa si può guardare come ad un modello di integrazione tra paesaggio, spazio pubblico, presenza del passato ed eventi del presente, da riprodurre altrove, in altri nodi significativi dell'arcipelago degli spazi vuoti che attraversano la città.


Agriturismi urbani
Parco dell'Appia, Parco della Caffarella, Parco Aguzzano, Parco dell'Aniene.

Fuori dalle mura, tra le vie consolari che puntano al centro storico, si inseriscono dei cunei di eccezionale valore paesaggistico ed archeologico, che si estendono fino ai limiti della città fondendosi con la campagna romana, dove è possibile trovare greggi di pecore al pascolo, piccole produzioni di prodotti tipici della cultura agricola locale, vecchi casali in rovina, e tracce di animali propri di un contesto selvatico, oltre che ovviamente ancora vestigia del passato storico della città.
Accedere a questi luoghi dai quartieri adagiati sui loro confini che li cingono come le murate di un porto, è come entrare in un'altra dimensione e in un altro tempo, con una grande ricchezza ambientale, assai meno addomesticata dell'area archeologica centrale.
Il più importante da un punto di vista storico è il Parco dell'Appia, che come gli altri brani di campagna inglobati nello sviluppo incoerente della città, possono essere interpretati retroattivamente come progetti di agricoltura urbana diffusa, pronti a fornire un contributo economico ed ecologico fondamentale per la riqualificazione della città, la valorizzazione paesaggistica delle periferie, l'attivazione delle relazioni sociali, ed infine la produzione di cibo di qualità per la città stessa.
Immaginare quindi uno sviluppo agricolo per le comunità limitrofe o per dei nuovi insediamenti, con la nascita delle relative microeconomie locali, non è un utopia ma una opportunità concreta.


Giungla tra l'asfalto: il terzo paesaggio
Luoghi vari

Nell'arcipelago di vuoti in cui galleggia la città e tra il costruito, sopravvivono dei brani di natura incolta, difficile da attraversare e da conoscere, che conservano le caratteristiche di un territorio non contaminato dalle trasformazioni urbane.
Roma è riuscita a mantenere queste zone protette, ed isolarle dalla crescita incontrollata, in modo spontaneo e non pianificato  trasformandole in una risorsa per il futuro.
Queste zone occupano la pianta di Roma senza una logica precisa. Sono ovunque, la loro dimensione varia dai pochi metri quadri dei giardini non curati, fino ad intere parti di territorio abbandonato a se stesso. Questi spazi non possono essere attraversati, sono separati da confini invalicabili che ne custodiscono intatte le proprietà. Le dinamiche interne di questo paesaggio seguono un evoluzione temporale e costituiscono una fonte inesauribile di scambio con il paesaggio pianificato. Attraverso il loro isolamento producono uninfluenza  della diversità  sulla città e favoriscono linvenzione opponendosi alla mera occupazione del suolo.



2 - I quartieri

Smembrare i quartieri dall'ecosistema urbano cui appartengono può apparire come un controsenso nel quadro dell'approccio sistemico che la sostenibilità impone. Ma una valutazione di singoli brani di costruito ci permette di estrapolare alcune qualità specifiche dello spazio abitato, nel campo soprattutto della sostenibilità economica e sociale, oltre che quella strettamente ambientale; così se da un lato il consumo di suolo ridotto, l'alta densità e multifunzionalità e la connessione alle linee ferroviarie metropolitane hanno la loro ovvia importanza, le dinamiche delle relazioni sociali, il rapporto tra spazi pubblici e privati, le opportunità di trasformazione ed appropriazione del tessuto urbano, diventano fattori fondamentali per valutare la capacità della città di sostenere la vita, non solo quella del mondo animale e vegetale, ma anche quella sociale dei suoi abitanti.

Dai quartieri ad alta densità in cui si stratificano una molteplicità di funzioni residenziali, direzionali, commerciali ben connessi ai sistemi primari della viabilità e immersi nel verde, capaci di diventare dei poli attrattivi per il resto della città, ad altri più minuti e residenziali, che però hanno una struttura che favorisce le relazioni di prossimità e la vita comunitaria, ad altri infine che plasticamente ibridano una pianificazione con la crescita dal basso, aprendosi alle nuove classi creative, attraverso lo sviluppo di microcomunità spontanee, esistono a Roma quartieri che, con caratteristiche molto differenti, riescono a produrre l'intensità delle relazioni tra pubblico e privato, facilitare l'utilizzo e l'attraversamento degli spazi, sostenere ed incoraggiare le economie emergenti.


Microcomunità: Garbatella

Tra i nodi più problematici della città contemporanea, la gestione del rapporto tra spazio pubblico e privato, si risolve in quella che un tempo veniva considerata la periferia ed oggi è già città storica, in una costellazione di corti aperte all'attraversamento e all'uso da parte di tutti, ma ben identificate con una precisa microcomunità, quella dei condomini che le cingono. Alla Garbatella una successione di spazi aperti contigui, sorta di stanze urbane ricche di verde, spazi di incontro e gioco, disseminate qua e là di piccoli orti urbani, costruisce una rete di percorsi pedonali e spazi di incontro alternativa a quella delle strade, una struttura per le relazioni sociali ed il tempo libero, nonché un parco diffuso di grande qualità ambientale.


Superquartieri: Parco Leonardo

Nel superquartiere si massimizza la densità, minimizzando il consumo di territorio,  sovrapponendo funzioni differenti ma comunicanti, condensando le attività al suolo pubblico. Qui tutte le funzioni che non necessitano di affacci diretti verso l'esterno, e danneggiano la qualità dello spazio pubblico come le automobili, o le superfici sconfinate dei centri commerciali sono nel sottosuolo, sotto un sistema di piazze e di strade liberate ai pedoni e alle relazioni sociali, su cui si affacciano, ai basamenti degli edifici residenziali e direzionali, attività commerciali più minute.
Queste le caratteristiche di un quartiere recente, Parco Leonardo, che insieme allottima accessibilità attraverso il treno metropolitano e lautostrada, la presenza di un cinema multisala a livello metropolitano, ne  fanno un modello dal punto di vista della sostenibilità ambientale, nonostante la scarsa qualità delle sue architetture.


Tessuti  creativi: il Pigneto

Se le microcomunità della Garbatella e l'alta densità di Parco Leonardo indicano due modelli possibili per la gestione tra pubblico e privato e per la riduzione dell'impatto ambientale, i tessuti creativi offrono alla città un terreno fertile alla crescita economica e culturale; sviluppatisi dentro le maglie della città sul confine con i quartieri ad alta densità dei primi del novecento, si costruiscono sulla dialettica continua tra formale ed informale, e sono il frutto di una stratificazione temporale, sociale, ed economica, della rifunzionalizzazione di edifici abbandonati, di un'appropriazione progressiva dello spazio e della continua negoziazione tra ciò che è considerato pubblico o privato.
Il Pigneto, un cuneo stretto tra i primi chilometri della Casilina e della Prenestina è uno di questi. Con una qualità urbana diffusa, che compensa l'assenza di verde pubblico con un tessuto denso di case basse spesso con giardino, il quartiere, un tempo abitato da Accattone[3] è oggi il luogo preferito di una classe creativa che ha approfittato dei bassi costi, della vicinanza al centro, della ricchezza delle relazioni sociali per abitarvi, insediarvi attività produttive, passare il proprio tempo libero.
[4]
Il Pigneto si presenta oggi come esempio sostenibile di rivitalizzazione dei tessuti esistenti in cui si bilanciano le dinamiche del mercato che seguono lo schema classico della gentrification - l'iniziativa dei cittadini gli abitanti, come i gestori delle tante microattività commerciali che sono sorte negli ultimi anni e l'intervento pubblico che ha portato ad esempio alla pedonalizzazione della via principale del quartiere.



3-  La città comune

la città è un enorme serbatoio del comune costituito non solo da fattori materiali, ma soprattutto da fattori immateriali
[5]

Lo spazio comune  è fondamentale per una città sostenibile, poiché stimola la vita, favorisce l'incontro e la mescolanza, produce spazio dilatando confini tra pubblico e privato, tra individui e comunità, ed agisce su livelli di comunicazione e coesione diversi tra i cittadini.
Nel comune il programma prende il sopravvento sull'architettura e sulla forma, e il contenuto diventa più importante del contenitore. Ma nonostante tutto, tale contenitore deve esistere, e vi sono più modi, per costruire un edificio che contribuisce a lasciare che le energie più innovative del territorio si approprino di luoghi, spazi, tempi, siano essi grandi interventi pubblici programmaticamente molto attivi, o spazi attivati dal basso attraverso pratiche di appropriazione illegale.
A Roma il comune trova spazio, nasce e si sviluppa nel momento stesso in cui gli edifici entrano a far parte del sistema città, ed oggi come nel passato è luso stesso della città che lo rende indispensabile alla sua crescita.


Contenitori programmatici: Auditorium Parco della Musica

Il connubio tra una struttura architettonica che ha dato molta importanza alla sua natura di spazio pubblico, con una programmazione che ha portato negli anni al suo interno e ai suoi bordi ogni tipo di attività, dalle piste per il pattinaggio sul ghiaccio, alle lezioni di grandi intellettuali, dai festival del libro alle mostre d'arte, hanno fatto dell'Auditorium Parco della Musica progettato da Renzo Piano uno dei luoghi pubblici più intensi e vissuti della città, uno spazio che cambia a seconda delle stagioni, degli eventi, dei modi duso mantenendo inalterate le sue caratteristiche principali.

Nella creazione di luoghi comuni questo edificio è un modello, in quanto fa della mescolanza e dell'ibridazione la ragione del suo successo sia dal punto di vista programmatico che da quello spaziale: cultura e svago vi convivono senza soluzione di continuità, in uno spazio dai limiti labili e mutevoli.
Il comune si adatta agli eventi e agli usi delledificio e determina la nascita spontanea di tutti quegli spazi che ne caratterizzano i bordi, colonizza la strada prospiciente, il vicino cavalcavia, il parco circostante.


Zone persistentemente autonome: Forte Prenestino

La pratica dellautonomia rispetto alla gestione pubblica regala alla città degli  spazi culturalmente e socialmente ricchi, spazi occupati ed autogestiti che consentono di far crescere il comune, attraverso dinamiche che coinvolgono simultaneamente il lavoro produttivo alternativo, le produzioni culturali e le pratiche sociali di coesistenza. Sono i luoghi di resistenza dove le lotte della moltitudine sono fondate su strutture organizzative condivise in cui il comune non è inteso come una risorsa naturale, ma come un prodotto sociale e come una fonte inesauribile dinnovazione e creatività.
Dei sedici forti che nella  seconda metà dell'ottocento erano stati costruiti a protezione dell'Urbe, il Forte Prenestino è uno dei centri sociali autogestiti e autofinanziati più attivi della città, luogo di produzione culturale e di azione politica che propone un modello di crescita autonomo rispetto alle dinamiche urbane più consolidate che cerca il suo nutrimento  nelle pieghe della legalità.


Nuove babilonie: ex Mattatoio  

Nella città sostenibile esistono poi dei luoghi in cui formale ed informale coesistono e si mecolano, come nell'ex mattatoio di Testaccio, uno spazio intermedio che si posiziona tra i contenitori programmatici e le zone autonome, ed ospita soggetti ed attività diversissime tra loro: spazi occupati, centri culturali autogestiti, spazi espositivi ed altre economie, che insieme formano un tessuto in divenire di relazioni sociali, di produzione e consumo.
In questi luoghi è proprio dalla dialettica tra formale ed informale, tra spinte dal basso e programmazione dall'alto, e nel quadro di incertezza che è propria di questa città, che possono generarsi e si generano continuamente - nuove opportunità e forme di spazio comune.


Con le nuove babilonie, unimmagine ripresa dal situazionista Constantin Niewenhuis, si conclude questa raccolta di frammenti che, potenzialmente, potrebbero essere utilizzati per abbozzare come in un mosaico una città sostenibile, dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.
Un modello affatto omogeneo in cui potrebbero coesistere una varietà di soluzioni differenti, in una struttura urbana capace di crescere lentamente ed evolversi con la stessa logica dei sistemi viventi, attraverso un processo di metabolizzazione delle risorse e delle energie materiali ed immateriali che ne disegnano i luoghi.
Ci auguriamo che il programma retroattivo nato da questa straordinaria città millenaria, serva non solo a fornire degli spunti per la progettazione di nuovi insediamenti, ma anche ad indicare una strada possibile per recuperare Roma, lavorando su ciò che essa può ancora offrire al mondo come modello.






Altre letture:












Lawrence Halprin, The RSVP Cycles: Creative Processes in the Human Environment, George Braziller, 1970.
O.M.Ungers, Morphologie. City metaphors, Walther König, Köln, 1982.












Gilles Clément, Manifesto del terzo paesaggio  Quodilibet, 2005.
Daniela Colafranceschi, Landscape + 100 words to inhabit it, Gustavo Gili, 2007.
















Joshua Clover, The Totality for Kids(University of California Press, 2006) on Constantin Niewenhuis



[1] Termine per definire edifici di abitazioni multipiani ad alta densità, diffusosi a Roma soprattutto nel secondo dopoguerra.
[2] C'è una immagine rivelatoria cui siamo debitori in molti, ed è una mappa realizzata nel 1995 dal  Laboratorio di Arte Urbana Stalker, che riproduce l'arcipelago Roma come un insieme di isole che galleggiano in un mare blu di spazi vuoti piazze, parchi, aree ferroviarie, frammenti di campagna romana. Un mare che il gruppo attraversava proprio quell'anno con un percorso anulare di tre giorni in tenda.
[3] Pier Paolo Pasolini, Accattone, 1961
[4] il quartiere è diventato negli ultimi anni il secondo polo audiovisivo della città
[5] Michael HArdt / Antonio Negri,  Comune oltre il privato e il pubblico, Rizzoli 2010