FOTOGRAFARE IL MONDO




Si può misurare la presenza di un grande fotografo attraverso la sua assenza. Impossibile guardare questa mostra senza pensare all'unico grande escluso Lewis Baltz. Oggi questa assenza si sente ancora di più. Baltz ha guardato e raccontato il limite  tra le cose, natura e architettura si confrontano sempre su questo limite. 
Lo ha fotografato, lo ha descritto egregiamente attraverso i suoi testi.
Ecco forse il modo migliore per rendergli omaggio è di rileggere il suo Too old to Rock, Too young to die. La fotografia americana degli anni settanta, prima di sfogliare questo catalogo e visitare questa mostra al Barbican Center, per capire a fondo la fotografia di architettura.

















Constructing Worlds
Prestel 2014
Curated by Elias Redstone and Alona Pardo.
Exhibition at the Barbican Art Centre,
Exhibition design by  Office KGDVS.




I fotografi da sempre osservano il mondo, questo guardare si fonda sul rapporto tra il tempo dello sguardo e il tempo narrato. Due momenti che non sempre coincidono.
18 grandi fotografi sono stati scelti per questa ragione, perché le loro immagini sono diventate paradigmatiche per noi che le osserviamo, sono immagini in cui i tempi coincidono magicamente.



Installation images at the Barbican Art Gallery. © Chris Jackson / Getty Images

Berenice Abbott, Iwan Baan, Bernd and Hilla Becher, Hélène Binet, Walker Evans,
Luigi Ghirri, Andreas Gursky, Lucien Hervé, Nadav Kander, Luisa Lambri, Simon Norfolk, Bas Princen, Ed Ruscha, Stephen Shore, Julius Shulman, Thomas Struth, Hiroshi Sugimoto, Guy Tillim
Un solo grande assente, Lewis Baltz, che dagli anni settanta ha documentato con estrema attenzione la trasformazione dei luoghi industriali, abbassando lo sguardo sulle tracce lasciate sul terreno. Baltz inventa un nuovo paesaggio che fino a quel momento era rimasto nascosto, l'architettura é presente nelle sue foto attraverso l'assenza. Il suo austero silenzio infatti, non dice ne nasconde, ma indica.


 Installation images at the Barbican Art Gallery. © Chris Jackson / Getty Images


Le sue aree industriali sono l'esempio su cui si sono formati molti dei fotografi in mostra.
Al centro di questi sguardi l'architettura gioca un ruolo fondamentale, come lo giocano gli approcci molto diversi tra di loro.
Nel corso degli anni, le prime fotografie sono datate 1930 le ultime 2011, sono cambiate molte cose, anche la tecnica digitale ha sostituito in parte il lavoro su pellicola, e quindi anche le modalità di lavoro dei fotografi. Ma il grande cambiamento lo misuriamo dal tempo del consumo dell'immagine stessa. Alcune restano nella loro immortalità, altre pur segnando la storia dell'arte forse le dimenticheremo.
La mostra è arricchita da un bell'allestimento di Office; Kersten Geers, David Van Severen.


Installation images at the Barbican Art Gallery. © Chris Jackson / Getty Images

L'allestimento separa nettamente la cronologia in due momenti. Segnando anche spazialmente il passaggio dalla fotografia come sistema di documentazione, alla fotografia come forma interpretativa della realtà osservata.
Al primo piano un sistema continuo di stanze segue fedelmente lo spazio espositivo esistente, al piano terra dei grandi volumi dalla geometria semplice, intersecati tra di loro, individuano altrettante stanze la cui forma è direttamente collegata al materiale esposto, cambia la scala delle immagini (i fotografi lavorano con formati di stampa molto grandi) ma cambiano anche le caratteristiche spaziali dell'architettura che le ospita. Lo spazio si dilata la visione si modifica, l'immagine da intima diventa monumentale, questi spazi hanno bisogno di qualcosa che va oltre lo sguardo. Nell'unica stanza circolare le dimensioni si riducono di nuovo, è lo sguardo leggero di Luigi Ghirri. La sua è un'arte ricombinatoria dove un’apparente semplicità nasconde sempre significati più complessi che nascono dalla stratificazione e dal montaggio, i frammenti sembrano essere pensati per costruire una sequenza che passa dall'interno all'esterno degli edifici.


Walker Evans, Billboards and Frame Houses, Atlanta, GA 1936

Berenice Abbott, Rockefeller Center, New York City, 1932. © Berenice Abbott, 

Berenice Abbott, Encampment of the unemployed, New York City, 1935

Il percorso inizia inizia con Berenice Abbot e Walker Evans a New York mentre la prima si lascia affascinare dalla metropoli e la descrive come emblema della modernità, Evans vive le sue immagini in modo diverso cercando di rappresentare una catalogo dell'architettura vernacolare del profondo sud, grazie al suo lavoro per la Farm Security Administration.
Il suo approccio documentario, influenzerà tutta la fotografia degli anni 60 e 70, Ed Ruscha, Bernd and Hilla Becher, Stephen Shore.
La figura di Ruscha poi è un altro ponte con la generazione degli anni 80 affascinata dall'uso della fotografia come strumento di rappresentazione concettuale e non come semplice strumento di registrazione del reale e delle sue forme.
La vita di ogni giorno è invece al centro del lavoro di Stephen Shore i sui Uncommon Places, raccontano la storia di un paese investito dal cambiamento e dalla crescita, raccontano la città, l'architettura è sfondo.


Ed Ruscha, 5000 W Carling Way, 1967/1999 (Los Angeles) 

Ed Ruscha, Dodgers Stadium, 1000 Elysian Park Ave., 1967/1999


È alla fine degli anni settanta che diventa importante capire e definire il rapporto tra figura e sfondo, è questo il momento in cui l'architettura acquista un valore diverso che vuole essere il centro della rappresentazione, Ghirri, Luisa Lambri, e Hiroshi Sugimoto adottano una posizione molto radicale nei confronti degli edifici osservati, cercano di comprenderli gli girano attorno, cercano di interpretare piuttosto che documentare.
Così Sugimoto sfoca i contorni dei suoi soggetti, che ancora si riconoscono. Luisa Lambri si interroga sugli abitanti di edifici moderni e cerca di estrarre dettagli ed atmosfere, lo spazio scompare attorno a dei tagli di luce.



Nadav Kander Chongqing XI, Chongqing Municipality, 2007


Ma è con Andreas Gursky che le fotografie diventano monumentali, il formato compete con gli edifici rappresentati, come se la fotografia volesse prima di tutto misurare la grandezza. È anche il momento in cui la manipolazione digitale offre nuove possibilità espressive.
Rispetto al passato i fotografi più giovani cambiano sguardo sono attratti dalle relazioni dell'architettura con il paesaggio, dai significati che queste relazioni mettono in campo, il fotografo non è più parte integrante della fotografia ma sta dietro come un outsider, è uno degli spettatori che guardano stupiti il mondo che cambia. Nadav Kander è il rappresentate di questo gruppo, il suo sguardo è quello delle piccole figure perse mentre guardano il futuro.
Guy Tillim esplora il potere dell'architettura e il sogno utopico attraverso il disfacimento dell'architettura, l'utopia sembra consumata, diventa all'improvviso paesaggio. Queste architetture riportano in modo stupefacente ai paesaggi consumati del grande assente Lewis Baltz, l’architettura si sostiuisce alla terra.
Si continua con la guerra e un paese martoriato, l’ Afghanistan attraversato lentamente dal 2001 al 2010 da Norfolk. Si ritorna nelle pieghe delle nostre città con Bas Princen.
E si chiude il cerchio cominciato nel 1930, con la documentazione della Torre David di Iwan Baan con il rischio di arrivare ad estetizzare l'architettura spontanea di questa comunità.
Ma il problema di questa estetizzazione purtroppo, non è nell'occhio del fotografo che documenta, ma nella perdita di ogni capacità di valutazione di chi oramai si è abituato a consumare immagini senza nessun limite.


Guy Tillim, Apartment Building, Avenue Bagamoyo, Beira, Mozambique, 2008