L'ETERNO RITORNO DELL'ARCHITETTURA RADICALE



Giovedì 12 Febbraio alla Fondazione Volume Angela Rui, in occasione di una serie di incontri sulla narrazione tra arte fotografia e architettura curati da Emilia Giorgi, ha raccontato la mostra da lei curata attualmente  alla Triennale di Milano su Ugo La Pietra.
La Pietra è un personaggio difficile da definire, il suo lavoro è una narrazione continua che attraversa discipline diverse, arte architettura e design dialogano tra di loro in una definizione spaziale radicale e disturbante, che non da soluzioni ma pone questioni fondamentali sull'abitare e sulle ragioni più profonde del progettare. Prima di scrivere sul catalogo e provare ad interpretare questa sua visione del mondo. Ripropongo il testo di Manuel Orazi apparso sull'ultima edizione di pag.99 del 3 gennaio, che riflette sull'attualità dell'Architettura Radicale spiegando indirettamente le ragioni sul perchè oggi è impossibile essere radicali.









Ugo La Pietra ovvero l'eterno ritorno del'architettura radicale 
di Manuel Orazi

La grande mostra antologica appena inaugurata alla Triennale di Milano, Ugo La Pietra. Progetto disequilibrante a cura di Angela Rui e aperta fino al 15 febbraio, è solo l'episodio culminante dei tanti revival che l'architettura radicale ha conosciuto anche lo scorso anno. Dall'omaggio che Rem Koolhaas ha voluto fare ai Superstudio nella sua Biennale di Venezia, ospitando a giugno la ricostruzione di una loro installazione del 1978 e producendo un volume in tiratura limitata curato da Gabriele Mastrigli, Superstudio. Vita segreta del monumento continuo, al ciclo estivo Radical tools promosso dalla galleria Base di Firenze su iniziativa di Maurizio Nannucci fino alla mostra presso la Lace Gallery di Los Angeles, Beyond environment, a cura di Emanuele Piccardo e Amit Wolf, più incentrata sul lavoro dell'artista, critico e curatore Gianni Pettena. 



Nonostante tutto questo clima rivalutativo la mostra antologica di La Pietra è la prima che la sua città gli dedica pur essendo di fatto l'unico radicale milanese storico, e come sempre dopo averne avute più di una in Francia, l'ultima cinque anni or sono dal Frac Centre di Orléans (Ugo La Pietra. Habiter la ville, HYX 2009). 



La sua biografia artistica, pur unica, riflette quella degli altri architetti radicali sia per analogia sia per differenze. Nato nel 1938 vicino Pescara da una famiglia originaria di Arpino, nel frusinate, emigra presto a Milano dove si laurea in architettura nel 1964 pur muovendo i primi passi in pittura sulla scia di Lucio Fontana e in musica grazie al suo complesso jazz dove suona il clarinetto - attività portata avanti ininterrottamente da allora. È il clima di sintesi delle arti o meglio di sinestesia come lo definisce La Pietra quello che caratterizza il suo debutto, così come Adolfo Natalini veniva dalla scuola pittorica di Pistoia, Cristiano Toraldo di Francia dalla fotografia e Lapo Binazzi degli UFO dalla musica. 




La principale originalità di La Pietra consiste insomma nel fatto di essere un solitario: in un paese in cui gli intellettuali amano da sempre muoversi in gruppo come notò già Gramsci, i radicali non facevano eccezione: i fiorentini Archizoom, Supertudio, 9999, UFO, Zziggurat, i torinesi Strum e altri. Da soli e in disparte erano attivi solo Riccardo Dalisi a Napoli e La Pietra a Milano - anche Sottsass a dire il vero, ma è un discorso a parte. E allora non sarà un caso se i primi lavori di La Pietra sono oggettivamente più vicini ai lavori dei radicali austriaci che a quelli degli italiani: la serie delle immersioni come L'ambiente audiovisivo (1968) sono prossime ai lavori appena precedenti di Coop Himmelb(l)au così come Nel vento (1970) è prossimo a quelli di Haus-Rucker-Co. 



Dopo la grande e fin troppo mitizzata mostra del MoMA Italy the new domestic landscape curata da Emilio Ambasz nel 1972, in cui peraltro erano presenti architetti, critici e designer di tutti i tipi, avvenne una fisiologica diaspora radicale: Andrea Branzi ad esempio, coetaneo di La Pietra, l'anno seguente si trasferisce a Milano, la città della Triennale, così vicina al più grande distretto del mobile d'Italia, quello brianzolo. Ed è proprio a Milano che avviene il ripiegamento radicale sulla produzione degli oggetti e quindi la resa al sistema di produzione di massa capitalistico così tanto osteggiato o sbeffeggiato con ironici fotomontaggi. Nel 1966 Pier Paolo Pasolini aveva in qualche modo previsto tutto questo pubblicano un saggio dal titolo La fine dell'avanguardia. La sua critica infatti non era rivolta verso le avanguardie storiche, bensì verso le neoavanguardie letterarie appena fiorite, i Novissimi o il Gruppo 63 dei vari Eco, Sanguineti, Arbasino a cui i radicali in fondo sono accumunabili (Eco peraltro allora insegnava semiotica alla Facoltà di architettura di Firenze invitato da Leonardo Ricci).


Tra le cause che hanno indotto la fine dell’avanguardia Pasolini insiste sull’evidente incapacità di quest’ultima di divincolarsi dall’ambito piccolo-borghese risolvendosi, di fatto, in un implicito consenso al sistema. Solo il cinema poteva essere lo strumento di comunicazione che permetteva di non rassegnarsi ad «essere fatalmente omologhi nella propria opera alla società piccolo-borghese», perché il cinema per la sua natura si rivolgeva all'umanità intera attraversando qualsiasi struttura sociale. Ed è sotto questa luce che possiamo rivedere i vari mediometraggi di La Pietra degli anni settanta, a tratti spassosi come La grande occasione (1973), Per oggi basta! (1974), La riappropriazione della città (1977) ed altri tutti pervasi da un umorismo compassionevole verso le nuove periferie milanesi degli immigrati per certi versi paragonabili ai primi film di Maurizio Nichetti come Rataplan (1979), altro architetto di formazione che a La Pietra somiglia persino fisicamente. 




La comunicazione e la partecipazione sono insomma i temi principali del lavoro degli anni settanta anche per La Pietra, vedi ad esempio il visionario Cicerone elettronico o il Videocomunicatore (entrambi del 1971) sorta di buffe precognizioni di internet così come l'artigianato e la riscoperta di materiali senza tempo come la ceramica sono l'oggetto del lavoro di La Pietra dagli anni '80 in poi. In un certo senso si tratta di un ritorno alle origini ovvero a Gio Ponti, gran cerimoniere dello sposalizio fra ceramica e modernismo nonché fondatore di quel Dipartimento di architettura d'interni (che è altra cosa rispetto al design) presso il quale La Pietra si era laureato e al quale collaborò insieme con Vittoriano Viganò che pochi ricordano come invece originale progettista d'interni. E non è un caso che il primo studioso al mondo che dedicò una monografia a Ponti, non amato in quanto architetto borghese per eccellenza dalla storiografia di sinistra, sia stato proprio La Pietra nel 1988 per un piccolo editore. Dopotutto Ponti fu il primo ad ospitare i radicali sulla sua Domus e così il cerchio si chiude, mentre continua invece la linea di ricerca immaginifica e visionaria di La Pietra verso il nuovo secolo fedele al motto situazionista che da sempre lo accompagna, «Abitare è essere ovunque a casa propria».