RIFLESSIONI IN SOSPESO FRA ROMA INTERROTTA E ROMA 20_25



The Booklist attraverso i libri ha spesso analizzato la condizione  della città di Roma, Roma per me e per tanti altri architetti che in questa città sono cresciuti è un modello di lavoro e riflessione teorica. Nel  parlare di  città ho sempre cercato il supporto e lo sguardo di autori diversi.
Tutto è cominciato con la recensione collettiva della raccolta di saggi THE CITY AS A PROJECT, è proseguito con il testo scritto a quattro mani con Alberto Iacovoni  su ROMA CITTA' SOSTENIBILE,  Léa Catherine Szacka ha descritto ROMA INTERROTTA a cui è seguita la recensione del catalogo della mostra riproposta lo scorso anno dal museo MAXXI di Roma, ho inserito alcune note sulla PERIFERIA da non ricucire ma da pensare come CITTA'.
Poi ci sono stati gli sguardi  di Stefano Ciavatta che ne ha esplorato i limiti. Oggi mi sembra importante anticipare la nuova iniziativa  lanciata dall’Assessorato alla Trasformazione Urbana di Roma Capitale e dalla Fondazione MAXXI, che si concluderà nell’ottobre 2015. Ringrazio Alessandro Toti per il suo contributo, spero di ospitarne altri perchè è sempre più urgente tornare a parlare di Città e di progetto.





Roma 2015
Riflessioni in sospeso fra Roma Interrotta e Roma 20-25
di Alessandro Toti



Afferrare una dimensione metropolitana sempre più eterogenea svelando e sviluppando le potenzialità urbane che essa contiene: è questo il tema principale del workshop Roma 20-25. Nuovi cicli di vita della metropoli. Un’area di 2500 kmq – il cui centro corrisponde al Palatino e la cui estensione supera di sei volte il lago di Garda – è stata suddivisa in ventiquattro quadrati ed affidata a ventiquattro università diverse con il compito di «produrre letture, visioni e progetti per la Roma futura». Il workshop, lanciato dall’Assessorato alla Trasformazione Urbana di Roma Capitale e dalla Fondazione MAXXI, si concluderà nell’ottobre 2015, quando le varie università esporranno collettivamente il proprio lavoro in una mostra ospitata nelle sale del grande museo romano.
Senza dubbio il principale punto di riferimento di questa operazione sembra essere Roma Interrotta, la celebre mostra che nel 1978 vide dodici architetti impegnati nell’immaginare una Roma «interrotta» nel 1748, anno in cui Giovanni Battista Nolli redasse la sua famosa Pianta. Nonostante le evidenti differenze di scala, redazione e finalità, tra Roma Interrotta e Roma 20-25 esistono almeno tre temi che aprono potenziali convergenze: la loro analisi può aiutare a comprendere meglio gli obbiettivi del workshop e a sviluppare strategie progettuali coerenti con tali finalità.

Il primo punto di contatto è la cartografia; sebbene esso sembri un argomento del tutto tecnico e marginale, proprio Roma Interrotta dovrebbe mostrare come al contrario dietro la scelta cartografica si nasconda uno dei più importanti input progettuali. Contrariamente alle indicazioni della mostra, la pianta del Nolli non è affatto la memoria storica di una Roma in grado di conservare la «relazione fra natura e storia o architettura e campagna»; tanto meno essa è solo un’immagine spazialmente e cronologicamente esatta cui fare riferimento. In realtà, la Pianta del Nolli non è un dispositivo neutro: dietro la sua impostazione scientifica di matrice illuminista si nasconde un progetto urbano chiaro e autonomo. La città disegnata da Nolli ambisce infatti ad essere uno spazio moderno e razionale, misurabile ed (economicamente) utilizzabile, in cui la definizione di alcune emergenze non inibisce la trasformazione e il consumo del resto del territorio urbano – esattamente nella direzione opposta a quella indicata dai curatori della mostra.
Nonostante la cartografia di Roma 20-25 non sia stata ancora consegnata – e già questo potrebbe essere un primo elemento di riflessione in merito al valore del dato cartografico – si possono tracciare diversi parallelismi fra essa e la Pianta del Nolli, prototipo di ogni carta moderna. Innanzitutto anche la cartografia attuale non coincide con la rappresentazione «esattissima» della realtà romana, la cui tormentata situazione urbanistica, sia legale sia illegale, non permette alcuna definizione stabile e sicura dell’esistente – nemmeno il Piano Regolatore Generale, approvato nel 2008, può dirsi completo e definitivo. In secondo luogo, come la Pianta del Nolli non corrisponde ad alcuna dimensione artistica e naturale dell’esistente, allo stesso modo la carta attuale non va presa come l’esempio opposto, e cioè come la prova della speculazione e del degrado contemporanei. Nel suo essere una raccolta tanto dettagliata quanto non esaustiva delle informazioni morfologiche, infrastrutturali e insediative, anche la cartografia in uso per Roma 20-25 è già un progetto urbano. Sulle orme del Nolli, essa presenta la città come un oggetto conoscibile e rappresentabile, in cui l’incredibile abbondanza e l’estremo dettaglio delle differenze nascondono la più assoluta omogeneità e interscambiabilità delle parti. 



Giovanni Battista Nolli, Nuova Pianta di Roma, 1748





Regione Lazio, Carta tecnica regionale, 2005.





Per questo motivo, la prima operazione di ciascun gruppo potrebbe essere quella di piegare la genericità e la specificità della mappa alla propria strategia. In questo caso, il lavoro sulla carta non corrisponde in alcun modo alla cosiddetta «mappatura» – inflazionata ricerca di significati alternativi e antagonistici non ancora cartografati; al contrario, è necessario riconoscere la natura già implicitamente politica della carta per effettuare liberamente una lettura parziale e critica del territorio studiato. Sottrarre le informazioni superflue o contrastanti e forzare – in maniera tanto astratta e artificiosa, quanto pertinente – i segni e i significati che si ritengono fondamentali è forse l’unica strada per rendere la carta un supporto coerente con la propria strategia rappresentativa e progettuale. 



Boris Mikhailov, Yesterday's Sandwich #13, 1965-1981.





Il secondo – e probabilmente più evidente – parallelismo fra Roma 20-25 e Roma Interrotta è la griglia con cui è suddiviso tutto il territorio a disposizione. Certamente la scansione in quadrati da 10x10 km offre a ciascuna università un’area enorme in cui, a prescindere dalla posizione, dalla densità o dalla qualità urbana, è possibile identificare le caratteristiche peculiari della città di Roma; tuttavia appare ovvio come questa partizione – ancor di più se letta in relazione con la fase finale del lavoro, che limita il progetto ad un quadrato di 1x1 km – indebolisca qualunque ragionamento a scala metropolitana e territoriale, isolando la città in una serie di progetti autonomi e, nel migliore dei casi, fini a se stessi. Una buona notizia arriva almeno da una venticinquesima università che vorrebbe aggiungersi al gruppo dei partecipanti; ad essa verrà affidata l’area interna al Grande Raccordo Anulare, che inizialmente si voleva escludere dal workshop. È supportando la tradizionale posizione dell’Assessore Caudo, per cui è la città esistente il vero soggetto della disciplina urbanistica, che sembra indispensabile includere anche il quadrato più abitato e più costruito, affermando che Roma metropolitana è un unico soggetto per cui centro e periferia, passato e presente hanno lo stesso valore.

Tuttavia, a prescindere dalla completezza della griglia, Roma Interrotta è il riferimento più utile per impedire qualunque revival della stagione dei grandi progetti urbani. Fu proprio la grande mostra romana il primo evento che, almeno per quanto riguarda l’Italia, tentò di porre fine alla cosiddetta «stagione eroica» dell’architettura e dell’urbanistica; fino a quel momento infatti i problemi urbani erano stati prevalentemente affrontati ad una scala territoriale, legando ricerca formale e sviluppo delle infrastrutture (si potrebbero citare l’Asse Attrezzato e la Via Imperiale come due esempi ideologicamente lontani ma architettonicamente molto prossimi di questa strategia). Roma Interrotta afferma senza alcun rimorso la fine di quella stagione, dichiarando l’architettura incapace di «nessuna progettazione urbanistica» e condannandola a «una serie di esercizi ginnici dell’Immaginazione alle parallele della Memoria», secondo le parole di Giulio Carlo Argan. Nessuna «unicità» è oramai raggiungibile: qualunque strategia urbana è costretta a confrontarsi in un contesto in cui la pluralità delle voci fa da contraltare all’ineffettualità di qualsiasi posizione ideologica. Formalismo, programma, revival, ecologia: ogni progetto è prigioniero di un placido successo al sicuro dei propri confini e di un’inevitabile impotenza per quanto riguarda qualsiasi prospettiva urbana.
La complessità della città viene così ridotta ad un insieme di celle, la cui sommatoria evidentemente non può corrispondere al totale, e tantomeno produrre alcun risultato positivo per una maggior comprensione urbana; la città quale elemento unitario, i cui frammenti sono per natura molteplici, indefiniti e indefinibili – la più ricca eredità della stagione moderna, da Piranesi a Le Corbusier – si rovescia quindi in un soggetto che è tout court molteplice e composto da singolarità autonome, progettabili e risolvibili.
Inoltre, la griglia di Roma Interrotta è una sorta di unicum: non ha nulla a che spartire con i modelli più classici di griglia, come ad esempio quella newyorkese analizzata da Rem Koolhaas – lo spazio di possibilità in cui l’incondizionata autonomia ideologica dei vari isolati è chiamata ad esprimersi e rappresentarsi. Come spiega Gabriele Mastrigli sull’ultimo numero di Log, la griglia del Pianta del Nolli non nasce da alcuna riflessione urbana ma solo dall’impossibilità di stampare l’intera pianta su un unico foglio. Tuttavia, all’interno dei progetti presentati per Roma Interrotta, è esattamente questo dispositivo arbitrario e fittizio l’unico vero progetto urbano che ha la forza di staccarsi da una condizione frammentaria e plurale per affermare la propria singolarità e la propria universalità – e cioè il proprio potenziale urbano.
Anche la griglia di Roma 20-25 si trova nella stessa condizione, non avendo nessuna relazione con la città esistente, al di là di un richiamo geografico al Palatino e alla corona di monti attorno Roma. La pluralità delle voci rischia così di trovare il proprio contraltare in un dibattito muto e incomprensibile, in cui non è possibile afferrare il problema metropolitano nella sua complessità e ci si accontenta di disegnare poche magnifiche perle nel deserto, stringendo una pericolosa assonanza con le strategie dell’ultimo piano regolatore.



Roma Interrotta, quadro d’unione dei 12 progetti, 1978.





Roma 20-25, quadro d’unione delle 25 aree, 2015.





Per evitare questo pericolo, una delle alternative praticabili sembra consistere nel contrastare sia l’idea di città come sommatoria infinita di parti, sia l’idea di parte come porzione di territorio finito e conoscibile. Il primo obbiettivo si potrebbe conseguire radicalizzando fino all’estremo l’autonomia e l’autoreferenzialità della propria area, affermando così che ogni singolo quadrato è già tutta Roma. Il secondo interpretando ogni quadrato come qualcosa di incompleto e incompletabile, leggibile non tanto da alcune particolari emergenze storico-paesaggistiche, quanto da determinate potenzialità urbane, per definizione perennemente generiche e continuamente in divenire.



Sol Lewitt, ABCD 9, 1966.



Proprio il divenire apre la terza e ultima analogia con Roma Interrotta: Roma 20-25 rischia di rappresentare l’ennesima interruzione della stagione architettonica e urbanistica che da troppo tempo – a seconda della propria indignazione si può scegliere fra gli anni ’90, gli anni ’60, o addirittura il ‘700 – distrugge la Roma «splendidamente religiosa e decorosamente laica» citata da Argan. Se è vero che il brief del workshop prova a tacere questo aspetto, e se è altrettanto vero che in ogni occasione l’Assessore Caudo si prodiga a dichiarare quanto per lui la città sia un organismo enzimatico e in divenire, è ancora più vero che il riferimento a Roma Interrotta porta con sé un’immagine morale e impegnata dell’architettura estremamente difficile da scalfire. È bastato osservare il primo dibattito al Maxxi per vedere il povero Caudo sommerso da associazioni di cittadini che chiedevano quali risposte «concrete» avrebbe portato questo workshop per il loro quartiere, ma anche – degno contraltare di questo spettacolo – alcuni dei video caricati sul web dalle università partecipanti, in cui studenti e professori, con toni fra il contrito e l’esterrefatto, si domandano il perché una città come Roma si sia potuta ridurre in «questo» stato. 



Gerhard Richter, Candle, 1982.





In realtà Roma non potrà mai essere salvata, in primo luogo dall’architettura e dall’urbanistica. L’eterno conflitto tra presente e passato, degrado e aulicità, città e paesaggio, non è riconducibile ad alcun momento storico, ma rappresenta la condizione esistenziale – in un certo senso originale e definitiva – della natura di Roma. Tali contraddizioni non vanno certo né esaltate per approfittare di un laissez-faire incondizionato, né immobilizzate per crogiolarsi in un’immagine bucolica e terzomondista; al contrario è fondamentale renderle operative, trovare al loro interno nuove forme e nuove condizioni per sviluppare, in maniera positiva e produttiva, la loro conflittualità.



Robert Smithson, Asphalt Rundown, 1969.



Da questo punto di vista si può segnalare quella che è senza dubbio la maggior novità – e, probabilmente, il miglior progresso – di Roma 20-25 rispetto a Roma Interrotta: il tempo. Vincolare un progetto che copre un’area di 2500 kmq ad un periodo di soli dieci anni può sembrare un paradosso, una scommessa, ma è il modo più concreto e realistico per intervenire sulla città esistente. Un decennio è una frazione di secondo in termini architettonici e urbanistici, in particolare in una città come Roma dove solo per il realizzare un edificio come il Maxxi ci sono voluti 12 anni. Parlare del 2025 significa spostare l’attenzione dal disegno della «Roma futura» al confronto con la Roma presente, vincolarsi ai suoi problemi e alle sue contraddizioni senza mediazioni e soprattutto senza alcuna aspettativa teleologica ed escatologica.

Bisogna dire che con questa scelta l’Assessorato alla Trasformazione Urbana e il Maxxi provano anche a disinnescare due grandi fratture della cultura architettonica italiana. In primo luogo viene accantonata la divisione fra tecnici e architetti, i primi occupati nella gestione dei problemi immediati della città, i secondi nella definizione di strategie a lungo periodo, tanto più promettenti quanto poi puntualmente inapplicate. In maniera ancor più radicale, questa impostazione disattiva anche la tradizionale dialettica tra emergenza e pianificazione, vera responsabile dell’immobilismo romano. Storicamente l’emergenza – di volta in volta residenziale, infrastrutturale, sociale o ecologica – ha trovato risposta solo nella speculazione o, nel migliore dei casi, in una vulgata socialdemocratica che si è limitata a introdurre una serie di abbellimenti urbani privi di una vera ricaduta sulla città. Non meglio è andata con la pianificazione, dietro i cui limiti e inefficienze architetti e urbanisti hanno cercato di nascondere una lunghissima serie di fallimenti progettuali. Se Roma non possiede una rete di trasporto pubblico degna di questo nome, il compito di un progettista non può consistere nell’invocarla – tragicamente e impotentemente – ma nel rendere architettonicamente e urbanisticamente efficiente quella che già esiste (lavoro su cui lo stesso Caudo ha impostato per anni il suo laboratorio di tesi) oppure nel progettare come l’architettura della città potrebbe trasformarsi in relazione ad una nuova infrastruttura (vedi il lavoro di Pier Vittorio Aureli, Gabriele Mastrigli e Martino Tattara in Rome: The Centre(s) Elsewhere).



Stazione ferroviaria di Ladispoli, 2012, foto dell’autore.



In secondo luogo, la scadenza del 2025 prova a scardinare l’antitesi fra positivo e negativo che per diversi decenni ha paralizzato il dibattito architettonico e urbanistico romano. Fortunatamente in dieci anni non c’è tempo per schierarsi a favore dell’edilizia o dell’architettura, della palazzina o della stecca, dell’illegalità o della legalità; non c’è tempo per eleggere – per l’ennesima volta – la borgata di Tor Bella Monaca o l’insediamento IACP prospiciente a modello urbano di riferimento. In dieci anni si è costretti a lavorare nella città così com’è, prendendo atto di tutte le contraddizioni che un’ambigua modernità ha disseminato a Roma e nell’Agro Romano. Forse proprio questo intende Caudo quando propone uno slittamento etimologico della voce «progetto», passando da un’interpretazione attiva di pro-iecto – gettare nel futuro – a una riflessiva: gettarsi avanti, scontrarsi con l’ostacolo che si ha di fronte a sé.



Borgata popolare e insediamento IACP di Tor Bella Monaca, 2011
(foto dell’autore)




Non sembra esserci alternativa al gettarsi, senza atteggiamenti moralistici o pedagogici, fra le infinite conflittualità del presente; ma è solo ammettendo la loro natura ambigua e definitivamente irrisolvibile che sarà possibile progettare nuovi cicli di vita per la metropoli.




Giovanni Bellini, Allegoria Sacra, 1490-1500.