SULL'ABITARE SENZA FINE
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edited by Didier Fiuza Faustino
N 373
Sull'abitare senza fine
di Luca Galofaro
articolo all'interno del numero
articolo all'interno del numero
La Endless House è la rappresentazione dell'idea archetipo della casa che ci rimanda (utero e caverna) all'origine. Un processo aperto in cui non si disegna uno spazio ma si definisce una poetica in cui la casa diventa un luogo di rigenerazione delle forze vitali, prodotto metabolico di chi la abita abitare è un bisogno eternamente immediato e pressante… l'architetto è la sua casa.
La casa è l'architetto [1] ognuno di noi diventa così il produttore di un campo di forze che è l'abitare stesso. Una concezione ripresa da molti altri progettisti che a loro modo interpretano la crisi della modernità attraverso una concezione morfologica multidimensionale dello spazio abitato. Anche se nel nuovo millennio la produzione digitale si oppone all’immaginazione, perché troppo spesso, il linguaggio si sostituisce al progetto.
Il superamento del linguaggio in architettura è una condizione essenziale e allo stesso tempo necessaria per focalizzare le energie sul processo invece che sull'oggetto. Sul progetto invece che sulla composizione di forme. Il progetto nasce dal nostro immaginario che si nutre del confronto continuo e senza fine tra materiale ed immateriale. Confronto, che la crisi di un sistema culturale ed economico ha sempre riportato in primo piano, ciclicamente.
Il gruppo radicale dei Superstudio profettizza la vittoria dell’immatriale e la fine dell’architettura come design. Con il loro ultimo progetto Gli atti fondamentali (1972) ritornano ad una concezione dell'architettura come vita, l'ultima Enviromental art sará la nostra vita… forse riusciremo a trasmettere pensieri ed immagini, un giorno felice poi la nostra mente sarà collegata con quella di tutto il mondo… La progettazione coincide così sempre più con l’esistenza: non più esistere al riparo degli oggetti del design, ma esistere come progetto…[2]
In tempi recenti Aristide Antonas prefigura un mondo in cui gli individui conquistano uno spazio tutto proiettato all’interno in cui vivere in una sorta di ascetismo in cui il piacere diventa il vero significato dell’isolamento. E’ un ascetismo edonistico quello che io cerco di prefigurare, una sorta di contraddizione in termini la mia.[3] Vivere attraverso una semplice catalogazione spaziale di funzioni primarie ed essenziali, isolati all'interno di un paesaggio naturale. Il progetto è un rifugio, un insieme di unità autosufficienti in cui l'interno è più importante dell'esterno.
Due momenti della storia due immaginari contrapposti ma complementari.
Il vivere all’esterno, attraverso la supersuperficie di Superstudio, non si contrappone all’interiorità espressa da Antonas di unità autosifficenti tenute assieme da un rete interconnessa di saperi.
Tutti queste contraddizioni e riflessioni sono stati alla base del principio dell' Endless di Kiesler che per primo rifiuta ogni divisione specialistica del sapere e riconduce ogni problema spaziale agli oggetti inseriti in un campo di forze nel quale esiste una compenetrazione tra esterno ed interno, tra pieno e vuoto.
Un evidente ripiegamento del mondo esteriore a quello interiore, attraverso il quale si genera uno sdoppiamento del processo creativo in forma (idea archetipo) e Design (realizzazione concreta dell'opera), il progettista controlla solo la seconda parte del processo, la forma quindi viene percepita come qualcosa che non gli appartiene perché ricade nella sfera dei valori collettivi.
Il materiale si definisce attraverso l’immateriale.
Ecco che quindi si fa strada un' idea in cui l'abitare rispecchia esigenze di soggetti diversi non è una semplice funzione fisiologica da soddisfare ma è un arte le cui regole vanno trovate e capite.
La cosa più importante in questo discorso è che Kiesler non realizzerà mai la sua casa, la userà invece come modello di pensiero da applicare incondizionatamente a campi artistici diversi, creerà delle strutture spaziali in continua evoluzione suggerendo un rovesciamento topologico che vede l'infinito senza limiti dello spazio del cosmo portato dentro ai limiti della casa, forme non ripetibili e continuamente trasformabili. Non è un caso che il suo pensiero anticipi di molti anni l'immaginario dell'era spaziale dove l'uomo comincia a percepire se stesso dal di fuori e come parte di un universo complesso, che ha come linea base la curvatura dello spazio quella forma aperta che lo stesso Kisler chiama galaxy. La curvatura non come matrice topologica ma come struttura di un immaginario.
Ci hanno provato i fautori del digitale costruendo i loro spazi sulla forma e sul design non su una componente essenziale che è la vita stessa.
Per Kiesler, il principio fondamentale non è legato alla forma dell'abitare quanto alla forma del vivere mantenendo sempre intatto quel rapporto essenziale tra uomo e natura.
Una concezione che prefigura uno spazio che prende forma dentro di noi attraverso dei principi spaziali che sono coltivati nella nostra memoria e definiti attraverso una costante verifica immaginativa, nessun tentativo di standardizzazione, e riproduzione tecnica, ma la semplificazione di un' esigenza interiore.
La casa non è una macchina, ne la macchina un'opera d'arte. La casa è un organismo vivente e non solo un assemblaggio di materiali morti… La casa è un epidermide del corpo umano. Il desiderio di semplicità non deve sfociare nel impoverimento della (casa/case minime) ma è una concentrazione di tutti i mezzi in grado di rispondere ai bisogni vitali di una o più persone…Essa deve contribuire ai bisogni interiori dell'uomo...non possiamo confidare ne nel paradiso industriale ne nella scienza di un solo architetto...abitare è un bisogno eternamente immediato e pressante....
Abitare dunque come forma immateriale di una struttura materiale, linea di contatto tra un mondo interiore e il paesaggio che ci circonda.