UN DIZIONARIO DI TEORIA
Recycled Theory
Dizionario illustrato / Illustrated Dictionary
A cura di Sara Marini e Giovanni Corbellini.
Quodlibet Studio 2016
"Abbiamo tanti progetti che valgono come un edificio dicono gli autori. Abbiamo così tante parole in mano che fanno un dizionario" (autori del dizionario Metapolis)
Un libro interessante e utile quello curato da Sara Marini e Giovanni Corbellini, 600 pagine di parole che danno forma e costruiscono una grammatica per un pensiero teorico. Le definizioni toccano sfere diverse ed esplorano il concetto di riciclo, da punti di vista differenti.
Termini che raccontano i diversi processi di produzione e di senso della città e del paesaggio dopo i rivolgimenti socio-economici degli utlimi anni e l'ampliarsi della nozione di conserazione come scenario prevalente per il progetto.
Undici università si confrontano attraverso la scrittura e il disegno. Forse è proprio la parte delle illustrazioni che non trova continuità (se non nel testo per immagini di Beniamino Servino), con la scrittura densa che caratterizza il volume.
Come era già successo per il dizionario MetapolisThe metapolis dictionary of advanced architecture. City, technology, society in the information age (di M. Gausa, V. Guallart, W. Müller, F. Soriano, F. Porras, J. Morales, Actar) la forma narrativa del dizionario è uno stratagemma per ordinare e sistematizzare una quantità di definizioni e citazioni che hanno come sfondo l'architettura contemporanea.
Ecco una delle voci più interessanti
UTOPIA
Gabriele Mastrigli
Utopia permanente
Descrivendo la natura dello spazio contemporaneo Rem Koolhaas lo definisce Junkspace, «spazio spazzatura», cioè il residuo che l'umanità lascia sul pianeta e che costituisce il reale prodotto costruito della modernizzazione (Koolhaas 2000). A ben vedere, Junkspace è la definizione teorica più ampia e insieme più precisa di riciclo: lo spazio contemporaneo è uno spazio sistematicamente residuale; è il mondo tutto integralmente artificiale che si trasforma continuamente apparendo come un luogo di perenne passaggio, di movimento fine a se stesso. In questa condizione i meccanismi di produzione e consumo non hanno alcuno scopo che alimentare un processo, generare una performance continua. Come già Guy Debord aveva messo in luce, proprio a partire da Marx, nella fase ultima della modernità l'economia è sostanzialmente "spettacolo" (Debord 1967). Lo scopo ultimo della macchina del progresso è il movimento stesso dei suoi ingranaggi.
Tuttavia, pur caratterizzato dal passaggio, dal movimento, dal lasciarsi sistematicamente dietro qualcosa, lo spazio contemporaneo ambisce a essere uno spazio totale, in grado di erogare tutti i servizi di cui si evoca il bisogno; ma si tratta, appunto, di un'ambizione, cioè la promessa di esaudire, prima o poi, tutti quei desideri che il sistema stesso progressivamente induce. In altre parole lo spazio contemporaneo è lo spazio di un'utopia che si presenta nelle sembianze di una meta insieme già raggiunta e irraggiungibile. Tutti i bisogni sono paradossalmente già soddisfatti e tuttavia ancora da soddisfare: è lo spazio di un'utopia permanente.
In questa condizione, l'architettura non si configura soltanto come uno dei possibili beni di consumo. All'opposto essa assorbe ogni oggetto sciogliendolo in una fitta rete di relazioni – simboliche, spaziali, sociali, ecc. – che ne annullano progressivamente il valore d'uso sublimandolo in valore di scambio. Costituendo sempre più l'essenza delle cose stesse, il valore di scambio ne trasfigura progressivamente la natura. Le cose valgono non per ciò che sono, ma per quello che possono essere. La stessa esistenza dell'umanità, mutuando dall'architettura la sua parola chiave, si configura come un progetto. Non a caso il percorso dell'architettura moderna appare fin dall'inizio come una corsa verso soluzioni innovative e aggiornate ai tempi, attraverso una continua tensione verso esempi-limite, destinati a incarnare configurazioni spaziali e funzionali definitive per poi essere sostituiti da nuovi e più evoluti modelli. Il Crystal Palace di Joseph Paxton, installato ad Hyde Park in occasione dell'Esposizione universale di Londra del 1851, è senz'altro l'antesignano e insieme l'emblema di questo genere di edifici: spazio generico, totale, definitivo nelle sue soluzioni funzionali e tecnologiche, altamente simbolico eppure smontato e dismesso alla conclusione della sua performance.
Se da un lato il Crystal Palace nella sua astrazione esemplifica la celebre definizione di architettura di William Morris, per cui essa è un generico "insieme delle modifiche e delle alterazioni introdotte sulla superficie terrestre, in vista delle necessità umane", dall'altro esso prefigura un'idea di costruzione, uso e significato dell'architettura in termini ciclici, dove produzione e consumo sono due aspetti necessari e indissociabili del medesimo processo. Una ciclicità, si badi bene, che è utopia, cioè promessa di salvezza, proprio perché dell'architettura incorpora la dimensione simbolica e collettiva, ovvero il suo essere monumento – uno degli aspetti chiave del Crystal Palace, come di tutta l'architettura moderna fino ai giorni nostri. Se efficienza e funzionalità sono i presupposti perché l'architettura appartenga al sistema-mercato, è il suo carattere monumentale – che è insieme ricordo e trasfigurazione (e quindi oblio) della memoria – la vera misura del valore di scambio dell'oggetto architettonico e dunque il vero motore del suo riciclo.
Permanent Utopia
While describing contemporary space, Rem Koolhaas defines it "junkspace", which is the residue that mankind leaves on the planet and that constitutes the real product of modernization (Koolhaas 2000). To better specify, junkspace is the widest and most precise definition of recycle: contemporary space is a systematically residual space; it is the world, completely artificial, that continuously changes appearing as a never-ending crossing point, a spaceof movement for its own sake. In this condition, the mechanisms of production and consumption have no other goal than feeding the process, generating a continuous performance. As already highlighted by Guy Debord, starting from Marx, in the last phase of modernity economy is basically "spectacle" (Debord 1967). The ultimate scope of the machine of progress is the movement of its wheels.
Nonetheless, even if contemporary space is characterized by passage, by movement, by leaving behind something, at the same time it yearns for being a total space, able to distribuite all services that we might need. However this is precisely an ambition, that is a promise to eventually meet all those desires that the system progressively produces. In other words, contemporary space is the space of utopia that appears under the guise of a goal at once attained and unattainable. Paradoxically all needs are already met yet still to be met: it is the space of a permanent utopia.
In such a condition, architecture is not merely one of the many possible consumer goods. On the contrary, it absorbs every object and dissolves it in a extensive network of relationship – symbolic, spatial, social, etc. – that progressively cancel use value to transform it into exchange value. Things are worth not for what they are, but for what they can be. The existence of mankind itself, borrowing the keyword of architecture, becomes a project . Not by chance, the itinerary of modern architecture appears since the beginning as a race towards innovative and up-to-date solutions, in a continuous tension towards models almost over the edge, destined to embody definitive spatial and functional configurations, which are in the end are replaced with new and more evolved models. The Crystal Palace by Joseph Paxton, installed at Hyde Park in the occasion of the Universal Exposition of London, in 1851, is the forerunner and the emblem of this kinf of buildings: a generic and total space, definitive in its functional and technological solutions, highly symbolic, yet dismantled and abandoned at the end of its performance.
If on the one hand the Crystal Palace, in its abstaction, serves as an example of the well-known definition by William Morris, in which architecture is a generic "complex of modifications and alteration made on the earth's surface due to human necessities," on the other hand it prefigures an idea of construction, use and meaning of architecture in cyclical terms, where production and consumption are two necessary and inseparable aspects of the same process. It is worth bearing in mind that a cyclic nature is utopia, promise of salvation, precisely because it embraces the symbolic and collective dimension of architecture. In other words architecture is a monument, not by chance one of the key-themes of the Crystal Palace, as well as of all modern architecture. If efficiency and functionality are the prerequisites for architecture to be part of the market system, monumentality – at once memory and transfiguration (thus oblivion) of memory – is the true measure of architecture's exchange value, therefore the real agent of recycling.