DIZIONARI di ARCHITETTURA
The metapolis dictionary of advanced architecture.
City, technology, society in the information age
di M. Gausa, V. Guallart, W. Müller, F. Soriano, F. Porras, J. Morales.
Actar, pp. 688, 2004
di Gabriele Mastrigli
Chi si volesse mettere in cerca della biografia di un architetto, oppure della descrizione di un progetto o di un edificio, rimarrà deluso. Malgrado la sua apparente struttura enciclopedica, non è un compendio di architetti e architetture contemporanei. La peculiare e tutto sommato familiare forma-dizionario è piuttosto uno stratagemma per ordinare e sistematizzare una quantità di definizioni e citazioni che hanno come sfondo la dimensione urbana, tecnologica e informatizzata della società contemporanea; e da qui descrivere un particolare approccio all'architettura come strumento di ricerca, piuttosto che come produzione di manufatti. "Abbiamo tanti progetti che valgono come un edificio dicono gli autori. Abbiamo così tante parole in mano che fanno un dizionario".
La prima parola è proprio quella che definisce un nuovo concetto di architettura. L'architettura avanzata vuole essere per la società digitale contemporanea quello che l'architettura moderna è stata per la società industriale: "un'architettura legata allo scambio e all'informazione, ai processi di trasformazione e alle definizioni spaziali ad essi associati". Le immagini, che rappresentano edifici e progetti più o meno noti, sono dunque esclusivamente di supporto ad una selezione di termini che registrano alcune condizioni dello spazio contemporaneo ('artificial', 'hybrid', 'nomad', 'precarious', 'sustainability', 'temporary', 'void'), identificano i nuovi processi di produzione dell'architettura ('client', 'collaging', 'devices', 'diagrams', 'fold', 'interactivity', 'layers', 'manipulate', 'recycling'), oppure riportano ai codici comunicativi e alle parole-chiave del Moderno ('abstract', 'architecture', 'form', 'history', 'housing', 'section') con i quali molte parti dell'opera malcelatamente si confrontano.
Non meraviglia infatti che dietro questo manifesto architettonico complesso, articolato e "orizzontale", ma -come ogni manifesto che si rispetti- dal clima battagliero e operativo, vi siano in gran parte architetti progettisti; e che l'opera suoni tutta come un "appello agli architetti", come nelle due pagine a fondo rosso dedicate alla voce 'slogans', dove il caos viene definito "uno stato potenzialmente proficuo", l'architettura frutto esclusivo "dell'interazione tra naturale, artificiale e digitale", il progetto qualcosa non più da disegnare a tavolino ma "da negoziare", e gli architetti invitati infine "a non rimanere seduti" di fronte a tutto questo.
Mole seducente e apparentemente pretenziosa di definizioni più o meno prossime alle questioni tradizionali dell'architettura, il volume è in realtà l'ultimo prodotto di un progetto di più ampio respiro in atto da diversi anni, che coinvolge molti degli autori dei progetti, dei redattori dei testi, sino ai grafici e all'intera struttura editoriale. Linguaggi e temi di ricerca sono esplorati sin dall'inizio degli anni Novanta, quando il gruppo di giovani architetti catalani coagulati intorno alla sigla Actar (che in catalano vuol dire "azione") prende in mano la rivista «Quaderns», pubblicata dal locale ordine professionale, il Collegi d'Arquitectes de Catalunya, e la trasforma in uno dei luoghi di promozione dell'architettura spagnola e internazionale più sperimentale. Nel frattempo viene fondata la omonima casa editrice, che prima con la rivista, poi con cataloghi e monografie di architettura, arte, design e fotografia, diviene presto una delle etichette europee indipendenti di maggior interesse. Quando nel 2000 «Quaderns» cambia direzione, editore e formato, il gruppo che orbita intorno ad Actar rilancia la sua strategia organizzando a Barcellona un incontro di cinquanta gruppi di architetti spagnoli determinati a un approccio comune sul tema della Metapolis: una condizione -nella definizione del filosofo francese François Asher- che trascende ma comprende la metropoli così come la conosciamo, e che si configura in nuovi agglomerati urbani costituiti da spazi e relazioni molteplici, eterogenei e discontinui. Il documento-manifesto che viene prodotto è in realtà un elenco di definizioni il cui scopo è mettere a fuoco una strategia operativa per questa nuova condizione post-urbana. Il manifesto dell'architettura avanzata, arricchito successivamente da una serie di contributi internazionali, assume così la forma editoriale definitiva del Dizionario.
Punto di arrivo di una ricerca decennale, coltivata attraverso riviste, mostre, cataloghi e monografie, all'interno di una rete crescente di contatti anche extradisciplinari, il Dizionario appare come una sorta di forma-limite della comunicazione architettonica, che sceglie di sacrificare la descrizione del manufatto in nome di un obiettivo più ambizioso. In esso l'architettura tende a smaterializzarsi in codici sempre più sintetici e diagrammatici, trasformandosi in una sorta di palinsesto disponibile ad accogliere potenzialmente infinite soluzioni progettuali. Più che rincorrere la forma dell'immagine -le illustrazioni del volume sono moltissime ma di dimensioni assai ridotte e con prevalenza di schemi e diagrammi sulle figure degli edifici- l'opera cerca dunque di individuare una possibile nuova forma del discorso. Una forma aperta, collettiva forse troppo articolata ma sufficientemente precisa da favorire quel clima di condivisione su cui impostare tanto la lettura del contesto in cui si opera che l'azione progettuale. Come per l'architetto moderno la costruzione di un linguaggio apposito è quintessenziale alla definizione del senso stesso dell'architettura -basti pensare alla retorica delle avanguardie, al lessico didattico di un Gropius, oppure a Le Corbusier che aveva addirittura fatto riportare sulla sua carta di identità la professione di "scrittore"-, anche per l'architetto "avanzato" le parole sono lo strumento privilegiato per formalizzare strategie architettoniche comuni. Ma qui la specificità di ogni singolo contributo si scioglie nella costruzione della griglia delle relazioni tra soggetti ed eventi; nelle connessioni tra un concetto e l'altro; nella infinita rete di rimandi tra progetti, diagrammi, definizioni e immagini di edifici realizzati, le cui maglie costituiscono il vero luogo dell'architettura avanzata, e allo stesso tempo la struttura editoriale del libro.
Infine è d'obbligo un accenno all'involucro del volume: una copertina di plastica rossa, spessa, lucida e un po' morbida al tatto, sulla quale l'occhio e la mano non possono fare a meno di tuffarsi. Ancora una volta per Actar il libro è la realizzazione di un progetto, nel quale non solo si definiscono dei contenuti e come esprimerli, ma anche come rappresentarli materialmente. "La plastica -scriveva Roland Barthes nelle sue Mythologies- più che una sostanza è l'idea stessa della sua infinita trasformazione; più che un oggetto essa è traccia di un movimento". Nel Dizionario, matrice elementare di termini aperta ad infiniti incroci e configurazioni, la plastica, materia artificiale che "domina l'invenzione stessa delle forme", è la metafora perfetta di quel movimento progressivo dell'architettura che "avanza" dai suoi inevitabili presupposti moderni, attraverso i territori in continua mutazione della condizione contemporanea.