DESERTO ROSSO

Rivista autarchica di architettura n.0

agosto 

 2012

Festschrift 

per gli 80 anni

di Peter Eisenman

Ci occuperemo di architettura e per questo ci interessa Antonioni come autore che riflette e ragiona sulla storia e sulla societ

à

.....

Deserto rosso nasce secondo me come omaggio alla cultura italiana, cultura che oggi più che mai rispecchia la crisi di un paese, che ha smarrito il senso delle idee, diventando marginale rispetto al panorama internazionale.

La crisi non

è

risolvibile

ma

è

un punto di partenza attraverso il quale confrontarci ancora una volta attraverso scenari di ricerca.

Antonioni diventa l'esemplificazione di un modello culturale, che pone al centro del discorso la condizione italiana, gli ideatori della rivista lo dichiarano nell' introduzione al numero zero

vogliamo capire, analizzare, vivere e lavorare su e con il nostro tempo.

E per farlo in controtendenza, scelgono la lingua italiana.

Scelta apparentemente semplice ma che nasconde pi

ù

del titolo, pi

ù

dell'evidente omaggio al regista italiano, la voglia di ribadire l'importanza di un pensiero in ambito internazionale.

Era tempo che gli architetti Italiani, non avevano voglia di affermare le loro idee e le loro analisi attraverso le pagine di una rivista autarchica, non patinata, che non strizzi 

l'occhio al mercato dell'architettura delle immagini e delle tendenze. Le immagini in bianco e nero sono poche, prevalgono i testi.

Una rivista autoprodotta, come gi

à

lo sono state negli ultimi anni S.ROCCO e Archphoto, che hanno ottenuto ottima visibilità e buon successo di pubblico e critica.

Deserto Rosso

é

una

risposta all'inconsistenza e alla superficialit

à

delle informazioni e dei commenti che invadono il web, le nostre caselle di posta elettronica e i social network, perch

é

prova a ripartire dai fatti dell'architettura, e non solo.

E' bello ricominciare a leggere riviste di architettura,

è

bello poterlo fare nella nostra lingua.

È

bello non doversi sforzare a capire i testi o meglio i pretesti di discussione, che devono

inventare un linguaggio a tutti costi.

È

bello che una Rivista autarchica, cos

ì

si definisce, dedichi il numero zero ad un solo architetto che compie ottanta anni, ed

é

bello che questo architetto sia colui che nella gran parte di questi anni, ha reinterpretato, assimilandola, ed amandola come nessun altro, la cultura architettonica italiana.

È

bello che questo architetto sia Peter Eisenman.

Gli autori raccontano Eisenman, su cui tra l'altro si

è

scritto tantissimo, attraverso 4 istantanee, un opera (Gabriele Mastrigli), un'interpretazione critica (Giovanni Damiani), una micro biografia (Manuel Orazi) ed un saggio inedito dello stesso Eisenman ed è proprio in questo saggio che c'

è

tutta la spiegazione del percorso intrapreso dagli autori.

Nella Casa del Padre mio ci sono molte dimore

, apparso la prima volta nel 1980, su John Hejduk, Seven Houses, Eisenman riflette sulle differenze, tra poesia e prosa, usandole come paradigmi per descrivere le distinzioni tra costruzione ed architettura. La domanda che l'architetto americano si pone

è

che cos'

è

dunque l'architettura? E qui comincia la dissertazione alla ricerca dei significati, dei linguaggi e delle forme, dei segni, Hejduk

è

un pretesto per capire e leggere se stesso, per dare risposte universali, da contraddire immediatamente attraverso il progetto.

Nell'opera di Hejduk spazio e tempo rivelano alcune condizioni intrinseche del contenuto architettonico e forse anche alcuni aspetti della natura stessa dell'architettura.

Le sette case analizzate da Eisenman rappresentano concetti spaziali, attraverso i quali iniziare un discorso, cos

ì

come Antonioni, come uomo di cultura, suggerisce a Gabriele, Manuel e Giovanni un percorso che non deve partire per forza di cose dalla disciplina stessa, ma da un'esigenza d'espressione. Un titolo che non cerca di rifondare la disciplina partendo da un progetto di architettura, ma da una condizione

umana.

Che dire d'altro la rivista torner

à

quando gli autori avranno qualcosa da dire, cos

ì

sottolineano, speriamo allora che ritornino presto, costruendo finalmente il numero uno e dichiarando senza equivoci la periodicit

à

della rivista stessa, che non deve restare un episodio

isolato. Ma l'inizio di un percorso. Vi aspettiamo tornate presto.