MONUMENTALE OPPURE NO
Beniamino Servino
Monumental Need
Necessità Monumentale
LetteraVentidue 2012
Un
saggio per immagini [e qualche testo] sulla città e sulla non-ancora-città, sul
paesaggio lasciato al suo destino, e su come il monumento popolare potrà
ricostruire un nuovo equilibrio. [Monumento-Memento-Memoria]. Per la
compilazione di un vocabolario derivato. [Materiali dal 2008 al 2012]
An essay with pictures [and some texts] about the city and the
not-yet-city, the landscape left to its fate, and how the popular monument can
rebuild a new equilibrium. [Monument-Memento-Memory]. For the compilation of a
derived vocabulary. [Processing from 2008 to 2012]
Per
cominciare:
Lo
so in un blog c’è un limite massimo di battute, massimo 700, poi la gente si
distrae, se ne va non legge fino in fondo, me ne sono accorto. Io cerco sempre
di essere breve, conciso, dopotutto per me è un rituale scrivere di notte, così
come vengono, quindi mi trattengo, non dico tutto. Ma come posso farlo
confrontandomi con con questo lavoro di ben 4 cm di spessore, circa 600
gr di peso, e quasi 500 pagine. Quindi vi avverto prima, sono 11.000 di cui 4.000, necessarie, di Servino. Se
non ve la sentite fermatevi subito.
Per
parlare di questo libro prima ve ne devo raccontare un'altro che mi è proprio piaciuto, e mi
ero ripromesso di riportarlo su questo blog. Mr Gwin di Alessandro Baricco.
Ancora
Baricco mi direte voi, aspettate, questa premessa è necessaria per creare lo spazio
mentale giusto per comprendere l'opera di Servino.
La
storia è
molto semplice uno scrittore decide di smettere di scrivere romanzi, per farlo
cerca cambiare mestiere, ma cosa può fare?
Ecco
l'idea, fare ritratti, non proprio in modo tradizionale, la sua forma
espressiva sarà
la scrittura, come sono questi ritratti non si sa bene, il ritratto non è una biografia, ma questo
non è fondamentale.
Per
farlo Mr Gwin ha necessità
di uno spazio, di uno studio, come un'artista, un pittore, uno scultore. Cerca
lo spazio, perché
lo spazio è
importante davvero, lo trova e lo costruisce. Cioè non costruisce lo spazio
fisicamente, crea un atmosfera, definisce un campo d'azione in cui lui cercherà di scomparire, crea le
condizioni per cui sarà
possibile che in quello spazio le persone da ritrarre siano senza pelle (usa
l'architettura attraverso la luce, gli oggetti, i suoni cerca davvero di
rendere le persone trasparenti, con lo spazio giusto, non sempre ma succede) a
questo punto trascorrerà
del tempo nello studio con le persone da ritrarre, non parlerà mai, soltanto le osserverà. Poi un giorno, non sa
quanto durerà
questo processo, smetterà
di osservare e scriverà
il loro ritratto. Bè
non ditemi che non é
un'idea bellissima, architettura, arte, scrittura che cercano un dialogo tra di
loro, o meglio che sono una necessaria all'altra e tutte raccontano la vita. Vi
ricordate i libri di Matta Clark, Jeff Wall, Richard Long ecco qui ci sono
tutti sotto forma di romanzo.
E
qui ci sono secondo me le premesse giuste per leggere Servino.
Perché Beniamino, come Mr Gwin
cerca di fare un ritratto all'architettura, alla sua idea di architettura, e ci
riesce benissimo.
Io
prima di tutto lo vedo (anche se non conosco i suoi luoghi privati, studio e
casa) spegne la luce grande si siede, ne accende una piccola sul tavolo. Il
tavolo è
piccolo in un angolo della stanza, prepara i suoi colori, le sue penne
stilografiche, l'acqua. L'acqua è importante.
Disegna quasi sempre di sera quando la vita accanto al lui rallenta, a
volte lo fa a studio tra un progetto e l'altro o per trovare la concentrazione,
disegnare per lui è
un rito. Poi svuota la mente e comincia, il disegno serve per chiarire le idee,
mettere a fuoco i problemi, pensare l'architettura e dopo scriverla, come cercare di fare un ritratto, misurando le parole, ecco il libro è tutto questo.
Ma
basta parlare di disegno, e del disegnare di Servino oramai è assodato, l'ho scritto più volte, la sua super
produzione, meticolosa, allegra, mi piace, anzi c'è stato un tempo in cui l'ho
invidiato, per la sua capacità
di mantenere intatta nel tempo una forza creativa dirompente. Poi ho imparato a
dominare questo sentimento, e allora lo ringrazio, perché mi ha fatto tornare la
voglia di pensare attraverso le immagini e non soltanto attraverso le parole
(infatti ho cominciato a mettere in ordine le mie cose).
Quindi
nonostante le 400 pagine di disegni e di colori da descrivere, voglio parlarvi
d'altro, perché
questa parte del suo lavoro è
sotto gli occhi di tutti, troppo.
Ho
invece intenzione di provare a commentare e raccontare le 26 pagine scritte, in
una lingua ibrida, dove l'inglese non dice quello che dice l'italiano, dove il
doppio testo si fonde in un linguaggio sincopato, unico ma interrotto. Voglio
commentare solo queste poche pagine,
le sue parole e i suoi progetti che con una certa timidezza nel libro
fanno da contrappunto al disegno.
Queste
26 pagine all'interno di questo lavoro monumentale non solo nel titolo, ma
anche nelle ore di lavoro che ci sono volute a dargli forma, sono quelle che
restano, la parte più
bella.
Poche cose ma quelle giuste, raccontate con una scrittura nervosa, fatta di frasi precise ed essenziali, (mi ricordano lo scrivere di Luigi Pellegrin di cui vi parlerò un giorno).
Poche cose ma quelle giuste, raccontate con una scrittura nervosa, fatta di frasi precise ed essenziali, (mi ricordano lo scrivere di Luigi Pellegrin di cui vi parlerò un giorno).
Ecco
un esempio:
Enunciazione/Annunciazione
Abusi di necessità.
Abuso. Cattivo uso, uso eccessivo, smodato, illegittimo di
una cosa. Io abito troppo, lo faccio in modo eccessivo smodato illegittimo.
Abuso. Esercizio illegittimo di un potere. Io esercito
illegittimamente il potere di modificare il paesaggio. Di-segnare il
territorio, o semplicemente un campo. Una sponda. E mentre modifico
illegittimamente il luogo del mio bisogno lo rendo vulnerabile [il luogo, non
il bisogno]. Siamo vulnerabili insieme [io e il luogo, la parte attiva e la
parte passiva, vicendevolmente]. Conviviamo vulnerabilmente, mirabilmente.
Necessario. Da cui non c’è
modo di ritirarsi. Io non posso ritirarmi da un bisogno.
Abbandonare. Lasciare senza aiuto e protezione, lasciare in
balìa di sè
stessi o di altri. Smettere di occuparsi di una cosa. Smettere di averne cura.
Ma il paesaggio vuole [vuole!] essere abbandonato [mai più
campi da golf, mai più!]. È
quella la sua vocazione, il suo destino. [Col tempo forse l’abbandono
assorbe il bisogno, assorbe l’oggetto con cui
il bisogno si è manifestato].
C’è assonanza tra
la rappresentazione del bisogno e il luogo della sua rappresentazione. Tra il
testo e la scena. Tra lingua e linguaggio.
Chiudo gli occhi, sento parlare, riconosco un idioma, una
inflessione, un accento. Posso figurarmi [dalla lingua] il linguaggio della sua
[della lingua] rappresentazione. Posso figurarmi la forma delle case, la forma
della città.
...
E’ una città che
parla la lingua di chi la abita, di chi l’ha
costruita. Una lingua non semplificata ma povera, che racconta non il degrado
ma l’arroganza di chi non ha storie da
raccontare.
Lingua parlata e linguaggio architettonico sono perfettamente
sovrapponibili [qualche volta].
Se la percorri [questa specie di città] a
occhi chiusi e fai attenzione ai rumori sgraziati delle voci, puoi ricostruire
-tenendo gli occhi chiusi- le sagome delle case. E’ la
lingua dell’analfabetismo
di ritorno che restituisce forme ingoiate senza essere masticate e cacate così,
solo sporche di merda. E’ la città del
futuro. E’ la città di
tutti contro tutti. Dell’uomo troppo
distratto [troppo poco ancora uomo] per la rivoluzione.
Enunciation/Annunciation [Mary, you carry the son of the
Lord]
Violations for necessity.
Violation [excess]. Bad use, excessive use [ruthless],
unlawful use of a thing. I take too much room, I do that in an excessive [ruthless]
illegitimate manner.
Violation [Power abuse]. I illegally exercise the power of
changing the landscape. De-sign [(de)-mark] the territory, or even a field. A
shore. And while I illegally/illegitimately alter the place of my urge I make
it vulnerable [the place, not the urge]. We are vulnerable together [me and the
place, the active subject and the passive subject]. We cohabit vulnerably,
admirably.
Needful. There is no way I can withdraw from it. I cannot
withdraw myself from a need.
To abandon. To leave without a help or protection, to leave
to its own weaknesses. Stop taking care of something. The landscape wants
[wants!] to be abandoned [no more golf fields, never again!]. It is its
vocation, its destiny. [Maybe time absorbs the need of abandonment, it absorbs
the object through which the need manifests itself].
There is an assonance between the representation of need and
the place of the representation. Between the script [of a play] and the stage.
Between the spoken language and the architectural language.
I close my eyes, I hear people talking, I hear a language, an
inflection, an intonation. I can figure out the houses of the people speaking
that language. I can envision the city built with those houses.
It is a city that speaks the language of the people who live
in it [the people who built it]. Not a simplified language but a poor language.
A language that doesn’t tell a story
of decay but a story with the arrogance of those who have no stories to tell.
The spoken language and the architectural language are
perfectly superimposed [sometimes].
If you walk [eyes closed] through this city and pay attention
to the ugly noise of the voices you can guess [eyes closed] the shape of the
houses. It is the language of relapse into illiteracy that returns swallowed
and unchewed forms that are simply shat out like that, stained with shit.
It is the city of the future. It is the all-against-all-city.
The men-too-absent-minded-for-the-revolution-city.
Enunciation/Annunciation [Mary, you carry the son of the
Lord]
Violations for necessity.
Violation [excess]. Bad use, excessive use [ruthless],
unlawful use of a thing. I take too much room, I do that in an excessive [ruthless]
illegitimate manner.
Violation [Power abuse]. I illegally exercise the power of
changing the landscape. De-sign [(de)-mark] the territory, or even a field. A
shore. And while I illegally/illegitimately alter the place of my urge I make
it vulnerable [the place, not the urge]. We are vulnerable together [me and the
place, the active subject and the passive subject]. We cohabit vulnerably,
admirably.
Needful. There is no way I can withdraw from it. I cannot
withdraw myself from a need.
To abandon. To leave without a help or protection, to leave
to its own weaknesses. Stop taking care of something. The landscape wants
[wants!] to be abandoned [no more golf fields, never again!]. It is its
vocation, its destiny. [Maybe time absorbs the need of abandonment, it absorbs
the object through which the need manifests itself].
There is an assonance between the representation of need and
the place of the representation. Between the script [of a play] and the stage.
Between the spoken language and the architectural language.
I close my eyes, I hear people talking, I hear a language, an
inflection, an intonation. I can figure out the houses of the people speaking
that language. I can envision the city built with those houses.
It is a city that speaks the language of the people who live
in it [the people who built it]. Not a simplified language but a poor language.
A language that doesn’t tell a story
of decay but a story with the arrogance of those who have no stories to tell.
The spoken language and the architectural language are
perfectly superimposed [sometimes].
If you walk [eyes closed] through this city and pay attention
to the ugly noise of the voices you can guess [eyes closed] the shape of the
houses. It is the language of relapse into illiteracy that returns swallowed
and unchewed forms that are simply shat out like that, stained with shit.
It is the city of the future. It is the all-against-all-city.
The men-too-absent-minded-for-the-revolution-city.
Letto? Bene questo è Servino,
osservate entrambi i testi inglese ed italiano, usa la lingua secondo le sue
specificità, a volte addirittura i significati appaiono
diversi. Definisce come se stesse riscrivendo un dizionario, ma poi è chiaro
che i molteplici significati
raccontano un’architettura. La sua architettura, fatta da una lenta
catalogazione del reale, che poi diventa modello su cui costruire forme in
continuo divenire. Ironia, c’è tanta ironia non
solo architettura in questo libro. C'è per
dirla con il titolo di un libro di Gianni Rodari una perfetta Grammatica della
Fantasia. Non riesco a capire il genere, non è un
saggio non è una Monografia vi si tratta solo delle invenzioni per mezzo delle
parole e si suggerisce appena, ma senza approfondire, che le tecniche
potrebbero essere trasferite in altri linguaggi..... (lo so
Beniamino le citazioni non ti piacciono ma questa gliela dovevo a Rodari) perché alla
fine si tratta di storie e le storie possono trasformarsi in altro, in analisi della realtà, in pensieri. Le parole sembrano
essere scritte per diventare architettura. E allora adesso andate su google a
cercare le immagini delle sue opere realizzate, comprate il vecchio libro di edito da Skira, insomma cercate le sue architetture per fare voi il
punto, per ritrovare al loro interno questo storie, per dare forma concreta
alle visioni.
Nel libro le incontrerete si, all’improvviso
soffocate dai disegni ma le troverete. Eccone alcune:
E dopo aver sfogliato raggiungerete le note, dove il testo cambia ancora, assume una nuova forza, e spiega, sempre in modo assoluto, senza dubbi.
E forse questo è l’unico piccolo difetto di questo monumentale lavoro, il cercare sempre una forma assoluta, nel disegno nei linguaggi, nei testi, nelle note nelle singole parole. Mancano i dubbi e mancano le domande che forse sono importanti. Ma sicuramente Servino le sa e le ha nascoste da qualche parte.
Quindi ricomincio a leggere di gusto questi 439 punti dell’architettura + XXII pagine verdi, da qualche parte se non le domande troverò le risposte.