SUL DISEGNARE DEGLI ARCHITETTI ITALIANI
On Drawings
Baglivo/Gambardella/Servino
Booklist publisher 2012
È un piccolo libro nato quasi per caso, registrando un dialogo a distanza su facebook, tra un gruppo di amici.
Il confronto non avviene
sui territori classici dell’architettura ma su disegni e immagini che raccontano con
leggerezza un percorso interiore.
È facile da leggere, saggi
introduttivi a parte, gli architetti agiscono attraverso didascalie, titoli e aforismi,
strumenti utili per capire il significato dei disegni stessi.
Lo si può leggere in modi
completamente diversi, creando percorsi molto personali, immaginando l'architettura
nascosta dietro ogni segno, o non pensando proprio all'architettura. E' sufficiente seguire i pensieri degli architetti incrociando i loro sguardi oppure
saltando da un capitolo all'altro ricomponendo all'infinito un proprio percorso.
La cosa più interessante è che tutto il materiale
contenuto nel libro è
stato precedentemente pubblicato sui social network. Tutto è cominciato su Facebook,
lentamente, giorno dopo giorno, un dialogo a distanza, sotto gli occhi di
tutti.
Il disegno quindi non è più considerato come momento
personale ma come performance. Il libro nasce
dall'esigenza di questi architetti di condividere alcune visioni molto
personali, la serialitá
di alcune rappresentazioni non è
casuale, la rete si nutre di ripetizione continua di parole ed immagini.
La cosa interessante è quella di cercare di
capire cosa cambia nel disegno di architettura quando il disegnare da gesto
privato diventa gesto pubblico. Una volta postati i disegni assumono significati
diversi, perché
si arricchiscono del valore del giudizio, del mi piace, e del commento
immediato. Quindi il nuovo post non è completamente libero, ma si arricchisce di significati
sia quando il segno cambia sia quando non lo fa, l’architetto reagisce invece che agire
ma facendolo acquista sicurezza nelle prorpie idee.
Ecco in questo modo
l'architetto non disegna soltanto, ma scrive un manifesto, e a volte inventa uno stile,
(correndo il rischio di creare una lingua riproducibile i cui adepti
non sono sempre all'altezza).
Ma torniamo agli
interpreti principali:
Servino, come ho già scritto nel breve
commento al suo Architettura Simplex, ci incanta con una serie di tecniche
diverse, che rivelano un interesse particolare per le forme archetipe ed uno
sguardo attento al confine sottile tra architettura e paesaggio.
L'architettura dialoga di
volta in volta con l'esistente, con l'infrastruttura e con il paesaggio, l'architettura diventa paesaggio, infrastruttura, struttura.
Servino propone una
continuità
tra campi diversi, tornando nelle file della tradizione del disegno italiano,
alterna la forma prospettica ed il colore, al fotomontaggio.
Crea prima di tutto
atmosfere, gli uomini non si vedono mai, il vuoto domina su tutto, in questo
suo isolamento però
è l'architettura a parlare
una lingua per tutti.
Baglivo, sceglie invece una realtà altra con cui confrontarsi, la storia con le sue immagini consolidate, da prima le stampe di Piranesi, poi immagini di città che appartengono al passato. Qui sono le forme assolute a definire lo spazio urbano, le visioni si allontanano da qualsiasi logica del reale diventando dispositivi urbani, veri e propri limiti tra figura e sfondo, tra problematica e significato. Il progetto non è una conseguenza diretta, ma nasce dall’interpretazione.
Nella seconda serie di disegni lo sfondo è il contemporaneo.
Un' operazione semplice di ricampionatura, trasforma edifici iconici e paesaggi mostrandoci le infinite possibilitá che si nascondono dietro il reale. Un edificio è sempre un elenco di infinite soluzioni. Un lavoro, in cui è importante la perdita di significato e la ridefinizione del limite tra idea e progetto. Qui la tecnica si riduce all'essenziale, l'aspetto fondamentale é quello della costruzione dell'immagine come progetto.
Servino aggiunge Baglivo sottrae, entrambi però si confrontano, consapevolmente o non con il significato dell'architettura, si pongono domande prima che darsi risposte.
Gambardella: il disegno come il progetto per lui è una lenta stratificazione di idee e sensazioni, pur inserendosi nel filone della tradizione italiana, in cui il disegno era parte fondamentale per il progettista deciso ad inseguire le proprie visioni. Ma rispetto alla tradizione Gambardella è stato il primo a contaminare il proprio tratto con frammenti di architettura più o meno conosciuta, Gambardella non campiona ma si confronta sempre con qualcosa d’altro, così come nella sua architettura sembra esserci sempre continuità con cioè che la precede, e con ciò che verrà dopo.
Gambardella non abbandona mai la matita che scorre incessantemente sul foglio (non è un caso che Servino usa la stilografica e Gambardella il roller) la mano qui deve essere libera di scorrere incessantemente su fogli di grande formato. Poi appaiono i frammenti di foto, di architetture, monumenti , ma anche i materiali che gli danno forma.
Ecco la grande differenza con gli altri due architetti è nella matericità, nell’esigenza incessante del materiale con cui costruire le proprie visioni.
Le pietre che compongono i muri, gli edifici esistenti o quelli inventati, vengono scavati e sovrapposti tra loro, segno e immagine hanno la stessa importanza non esiste una gerarchia.
Le architetture appaiono nella loro forma più semplice ma allo stesso tempo nascondono una complessità imprevista. Il disegno è direttamente legato a ciò che l'architettura vuole essere.
Lo si può guardare come un libro di schizzi, come archivio di idee e modelli, oppure lo si può leggere come fotografia della crisi, che lascia tempo agli architetti per pensare, ricominciando a disegnare.
Il libro suscita dentro di me due reazioni opposte.
Mi attrae perchè sono interessato alle visioni private degli architetti, che vanno oltre i loro progetti più conosciuti, ma nello stesso tempo mi spaventa perchè prende forma in rete, in un luogo in cui il dibattito si limita al commento e al giudizio.
Sarebbe molto bello invece che questo incontro tra amici fosse allargato ad altri architetti, sarebbe bello che fosse una mostra organizzata in uno spazio reale, sarebbe bello che potesse essere un punto di partenza e non un punto di arrivo.
Grazie quindi ai tre architetti per averci regalato queste loro visioni, perchè il disegnare nasconde la voglia e l'esigenza di continuare a parlare di architettura, e forse questo libro racconta una verità nascosta.
Ma la veritá non esiste.
E questo libro non è mai esistito se non nella mia fantasia.