ARCHITETTURA NELLO SPAZIO
Spacesuit
Fashioning Apollo
Nicholas de Monchaux
The Mitt Press 2011
Questo libro mi ha riportato indietro nel tempo, e solo per questo devo ringraziare il suo autore. Indietro, ai tempi della mia tesi di laurea e del periodo nel quale, l'architettura spaziale è stata per un lungo momento, più che un tema di ricerca. Progettare una stazione spaziale e poi un modulo abitativo per una base lunare é stato il frutto di una ricerca che mi ha portato a riflettere con attenzione sull'essenza stessa dell'architettura, e sui significati simbolici e tecnologici che questa poteva avere. Mi sono divertito, ho imparato molto, progettare in assenza di gravità è un po' reinventare il mondo. Poi con il tempo me ne sono quasi dimenticato, lasciando scorrere questa esperienza lontano dalla mia architettura. Nel momento che ho incontrato questo libro, tante riflessioni sono riemerse, forse l'intero significato di quell'esperienza e anche perché no quella cena con l'uomo che questa tuta spaziale l'ha indossata davvero Buzz Aldrin.
Spacesuit si conclude con un capitolo che spiega molto bene il significato del libro, e forse è il modo migliore per cominciare a parlarne, eccone un estratto:
As we face the necessity of transforming our own relationship to our only enduring spaceship--the earth--the lessons of the Apollo spacesuit are particularly essential. As the impact of human civilization on our robust yet fragile planet becomes ever more apparent, we must resist the seeming simplicity of the systems solution (as in recent proposals to “solve” global warming through systematic and global geoengineering”). Much as the ILC A7L created a suitable space for man in the extreme landscape of the moon, so we must carefully—if sometimes radically—fashion a space for ourselves on earth.
As we face the necessity of transforming our own relationship to our only enduring spaceship--the earth--the lessons of the Apollo spacesuit are particularly essential. As the impact of human civilization on our robust yet fragile planet becomes ever more apparent, we must resist the seeming simplicity of the systems solution (as in recent proposals to “solve” global warming through systematic and global geoengineering”). Much as the ILC A7L created a suitable space for man in the extreme landscape of the moon, so we must carefully—if sometimes radically—fashion a space for ourselves on earth.
In quest'ultima frase c'è tutto il senso della ricerca di De Monchaux, specialmente in questo preciso momento storico, dobbiamo pensare con estrema attenzione uno spazio per noi stessi sulla terra, uno luogo fisico per l'architettura. Per farlo forse sarebbe necessario, ricominciare tutto da capo e considerare questa, come una vera e propria missione, per la sopravvivenza. Ho letto moltissimi libri sulla storia delle missioni spaziali, molti altri che definivano ed indagavano le possibilità da parte dell'uomo di colonizzare lo spazio. Ma questo è sicuramente per un pubblico diverso, è la storia della tecnologia che ha reso possibile questo viaggio, racconta la costruzione di una tuta, in particolare quella realizzata per la missione Apollo. Come ogni ricerca su una specifica tecnologia che ha prodotto un cambio di paradigma, quella della Spacesuit, comincia molto più indietro di quanto ci si possa aspettare racconta quante idee sono nascoste in un tempo lontano e come una cosa così mostruosamente moderna abbia in realtà la sua origine in un passato di corpetti, fasce elastiche e reggiseni. Le origini vanno indietro fino ai primi del secolo scorso quando un immigrato Russo Abram Spanel fonda la International Latex Corporation (ILC), meglio conosciuta come Playtex, che per molto tempo ha prodotto biancheria intima. Questo dimostra come vestire il corpo, ed allo stesso tempo proteggerlo è in un certo senso una sorta di architettura primaria, quasi essenziale.
La Nasa non ha mai appoggiato quello che ILC gli proponeva, la compagnia spaziale americana non voleva un indumento ma qualcosa di più rigido, un guscio. E qui la storia comincia ed é una storia della società americana, è la storia di una tecnologia, e di come la continua sfida tra Stati Uniti e Unione Sovietica abbia prodotto un' evoluzione senza precedenti. È una storia degli anni sessanta e di come la corsa allo spazio ha prodotto una ricaduta diretta sulla vita di tutti i giorni, é la storia di una sfida e di come anche l'architettura ne sia stata influenzata. Ma è anche la storia di un idea di mondo e di come quest' idea possa essere ancora oggi un esempio.
La Nasa non ha mai appoggiato quello che ILC gli proponeva, la compagnia spaziale americana non voleva un indumento ma qualcosa di più rigido, un guscio. E qui la storia comincia ed é una storia della società americana, è la storia di una tecnologia, e di come la continua sfida tra Stati Uniti e Unione Sovietica abbia prodotto un' evoluzione senza precedenti. È una storia degli anni sessanta e di come la corsa allo spazio ha prodotto una ricaduta diretta sulla vita di tutti i giorni, é la storia di una sfida e di come anche l'architettura ne sia stata influenzata. Ma è anche la storia di un idea di mondo e di come quest' idea possa essere ancora oggi un esempio.
Leggendo tra le righe di questo lungo saggio si possono mettere insieme interpretazioni diverse su quello che questo progetto ha rappresentato, forse una perfetta sintesi tra arte, scienza e vita, come un semplice indumento sia riuscito a sintetizzare quanto di più incredibile abbia prodotto l'uomo, la possibilità di vita su un altro pianeta, senza alcuna macchina soltanto l'uomo solo con se stesso.
De Monchaux ha strutturato, il suo libro attraverso 21 punti, 21 storie parallele, ognuna delle quali racconta un frammento, che attraverso la sua autonomia attrae a se le altre storie, combinando queste storie tra di loro arriviamo a sapere dei 21 strati di materia che compongono la tuta.
Si parte dalla definizione del concetto stesso di spazio, un luogo accessibile solo attraverso la tecnologia. Si passa poi attraverso: il nuovo look, alle trasformazioni postbelliche, ai voli spaziali e ai tipi di tute sperimentati, all'uomo nello spazio, alla strategia politica di JFK che ne fa uno strumento politico e di propaganda.
Come de Monchaux ha scritto "From the perspective of Kennedy's knowledge of the media's power in the cold war, the entire effort to go to the moon should be rightly understood as an elaborate apparatus for the production of a single television image. Kennedy approved plans to go to the moon because he - and perhaps particularly and peculiarly he - knew that the single image, however arduously achieved, could be magnified and extended globally, and, in an instant, change the world."
De Monchaux ha strutturato, il suo libro attraverso 21 punti, 21 storie parallele, ognuna delle quali racconta un frammento, che attraverso la sua autonomia attrae a se le altre storie, combinando queste storie tra di loro arriviamo a sapere dei 21 strati di materia che compongono la tuta.
Si parte dalla definizione del concetto stesso di spazio, un luogo accessibile solo attraverso la tecnologia. Si passa poi attraverso: il nuovo look, alle trasformazioni postbelliche, ai voli spaziali e ai tipi di tute sperimentati, all'uomo nello spazio, alla strategia politica di JFK che ne fa uno strumento politico e di propaganda.
Come de Monchaux ha scritto "From the perspective of Kennedy's knowledge of the media's power in the cold war, the entire effort to go to the moon should be rightly understood as an elaborate apparatus for the production of a single television image. Kennedy approved plans to go to the moon because he - and perhaps particularly and peculiarly he - knew that the single image, however arduously achieved, could be magnified and extended globally, and, in an instant, change the world."
Si passa attraverso la simulazione, si indagano le potenzialità dell'artigianato, si sperimentano le tutte rigide per poi arrivare al controllo dello spazio tramite l'oggetto finito, alla fine si toccano i 21 strati diversi che compongono la tuta.
In questo viaggio l'architettura è sempre sfondo mai figura, appare e scompare nella definizione di luogo ostile e delle possibilità di abitarlo, non è mai fine a se stessa, è necessaria.
Con un' attenzione quasi maniacale questa ricostruzione riscrive la storia dell'architettura spaziale, usandola come metafora del mondo contemporaneo. In un certo senso riscopro in questa ricerca affascinante quello che mi aveva spinto a pensare un'architettura per l'uomo fuori dello spazio vissuto nel quotidiano, per trovare quelli che potevano essere i punti fermi per ripartire verso un architettura al di fuori dei linguaggi, in cui la forma raccontava l'uomo, e l'uomo si specchiava nella forma che lo rappresentava.
Leggere questo libro è un modo per riscoprire che tutto è architettura e che la tecnologia è solo uno degli strumenti attraverso il quale esprimere questo concetto, i 21 capitoli ne sono l'esempio più chiaro.