IMMAGINI CHE SUONANO
Ognuno ha le sue ossessioni, o meglio dire le proprie passioni, le condivide con gli amici o inventa delle lezioni ad uso e consumo dei propri figli, nella speranza che qualcosa rimanga o si evolva chissà in quali direzioni.
Libri ed immagini sono le mie, il blog mi ha dato modo di condividerle e trovare in qualche amico la voglia di rendere pubbliche le sue, ecco il ritorno di Tommaso Avellino, che dopo aver raccontato il mondo dei comics, riflettuto sul cinema di Ila Beka, ci guida in un viaggio tra musica ed immagini, che la musica la creano con la loro sola presenza.
Oggi le copertine non esistono più, o meglio non hanno lo stesso valore; video, e immagini colonizzano le nostre estensioni digitali e la nostra memoria fa fatica ad associarle alla musica.
Con i dischi in vinile è diverso l’immagine, quell’immagine, evoca il suono, la musica diventa qualcosa di diverso, un dialogo immaginario a distanza tra artisti diversi. Le note a margine aggiungetele voi.
Da oggi su the booklist una serie di piccoli testi di Tommaso Avellino, tra musica e memoria. Questi testi brevi sono frammenti che mi ricordano un libro che rileggo spesso, un assolo di uno scrittore che guardando delle fotografie di musicisti famosi ne racconta frammenti di vita.
Il Libro è Natura morta con custodia di sax. Storie di jazz di Geoff Dyer del 1991, pubblicato in Italia nel 1993 dalla Instar Libri, e ripubblicato da Einaudi. Non potete perderlo, anche se del Jazz non vi interessa nulla.
È composto di sette storie, ognuna incentrata sulla biografia di un famoso personaggio della storia del jazz. Il libro cerca di comunicare un quadro di riferimento estetico ed esistenziale ove situare l'esperienza e la storia della musica, l'autodistruzione e l'ispirazione che fanno da corona alla creatività. Il senso del libro è anche discusso nella postfazione, in sette parti, che è essenzialmente un saggio sul jazz scritto dall'autore. Il titolo originale ("But Beautiful": "Però bello") fa riferimento allo standard omonimo, composto da Jonny Burke e jimmy Van Heusen che vanta moltissime registrazione da parti di famosissimi jazzisti. Scrittura e musica si confrontano, Dyer, anche attraverso lo stile della scrittura cerca di evocare la musica dei protagonisti, finzione e realtà si mescolano tra di loro, e lasciano questi testi straordinari. Ho pensato a questo libro per introdurre questa serie perchè anche qui le immagini sono importanti, infatti il titolo italiano si riferisce alla famosissima fotografia di Herman Leonard ("Cappello e custodia del sax di Lester Young") che è riportata sulla copertina. Il libro è corredato da una discografia, a cura di Luciano Viotto. Si tratta di una delle opere più famose di Dyer, ha vinto il Somerset Maugham Award nel 1992 e del quale il pianista Keith Jarrett disse:
"L'unico libro attorno al jazz che ho consigliato ai miei amici. Una piccola gemma contraddistinta anche dal fatto di essere "attorno"' al jazz piuttosto che "sul" jazz. Se un grande assolo è definito dall'intensità con cui il suo materiale è percepito dall'autore, il libro di Dyer è un assolo."
Buon ascolto, e grazie a Tommaso.
Buon ascolto, e grazie a Tommaso.
Mes disque a moi!
di Tommaso Avellino
Il disco in vinile, noto anche come microsolco o semplicemente disco o vinile, è un supporto per la memorizzazione analogica di segnali sonori…Correntemente il termine vinile viene spesso usato per indicare in particolar modo gli LP, anche se tale utilizzo è tecnicamente improprio, visto che anche dischi di altri formati sfruttano lo stesso materiale come supporto. (da Wikipedia)
Ci sono delle copertine di LP (ellepi!) che a volte riescono ad andare al di là del valore della musica contenuta ed incisa nel disco.
Nel mio personalissimo percorso di educazione musicale (indottrinamento? cura Ludovico?) dei miei figli, un giorno, mi sono soffermato col loro ad osservare la copertina di uno dei pilastri delle mie lezioni di musica: “London Calling” dei Clash. Ma per parlare di questo disco è necessario guardare e parlare anche della copertina di un altro celebre disco, quella di “Elvis Presley”, primo 33 giri del re del Rock’n’Roll.
La foto della copertina rappresenta un Elvis immortalato nel pieno della sua performance: in movimento, scomposto con chitarra in mano, urlante a squarciagola con tanto di ugola in primo piano. Uno scatto con un flash diretto, violento che dà corpo e volume al nero delle ombre drammatizzando l’espressione del viso e del corpo. E’ il fotogramma di un uomo completamente rapito dalla sua azione, forse, in trance, sotto effetto di chissà quali sostanze o di quale oscuro rito voodoo. E’ la musica che produce questo stato. E’ la rappresentazione di un’estasi: “Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata.” (Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13). L’immagine di Elvis è incorniciata dal suo nome in rosa e dal cognome in verde forse ritagliato o disegnato con una tecnica compositiva che tanto ricorda il grande, grandissimo, Saul Bass. Un contrasto netto e forte tra il bianco e nero della foto e l’accoppiata dei colori così stridente tra loro. Tutto concorre a stabilire un concetto chiaro e dirompente, nessun dubbio: questo è il rock’n’roll, è la nuova musica delle nuove generazioni!!!
La copertina di London Calling dei Clash è evidentemente un omaggio al disco precedente. La foto rappresenta Paul Simonon, anche lui nel pieno della sua azione, immortalato pochi istanti prima della distruzione del proprio basso, mentre ai lati ritroviamo la scritta rosa-verde con le parole London Calling. Questa foto sgranata e fuori fuoco oltre a ad essere, come nel disco di Elvis, il fermo immagine di una azione, di un movimento fisico di un corpo, ha la stessa caratteristica. Non si tratta della foto di un soggetto in posa in cui l’inquadratura, il taglio, la luce e la definizione dell’immagine concorrono a realizzare una copertina, ma di un’istantanea di un avvenimento. E’ uno scatto realizzato, non da un fotografo, ma da un “fotoreporter” che racconta i fatti e gli eventi attraverso immagini fotografiche. E’ la testimonianza di un evento di carattere sociale oltre che culturale. Quella di Paul Simonon è la foto di una manifestazione di protesta in cui la distruzione è un atto di ribellione per affermare violentemente la voglia di cambiamento. Siamo qualche instante prima della celebre sequenza dell’esplosione nel finale del film “Zabriskie Point” di Michelangelo Antonioni, metafora del desiderio di distruzione del sistema di accumulazione dei beni di consumo del capitalismo.
La composizione d’insieme, foto e grafica, della copertina del disco dei Clash rappresenta perfettamente lo spontaneismo punk del “do it your self”. Le due custodie interne riportano i testi delle canzoni scritte a mano come se fossero state appuntate e copiate su ogni copia del disco. La tecnica del collage (oggi si direbbe, forse, del “cut’n’paste”) che tanto aveva caratterizzato l’immaginario iconografico del punk, dal 45 giri di “God save the Queen” alle fanzine di quegli anni, si ritrova in questa copertina che chiude anche un percorso musicale. Dal rock degli esordi di Elvis Presley al punk definitivo dei Clash. Il vinile dei Clash si apre con una sorta di testa coda musicale con il brano “London Calling”, epitaffio musicale del punk, per proseguire con una potente cover di un pezzo del Rock’n’Roll degli esordi “Brand new Cadillac” di Vince Taylor.
La copertina di Elvis apriva ad un nuovo mondo musicale, culturale e sociale, quella dei Clash lo chiude attraverso l’autodistruzione (Simonon spacca il suo basso) con la quale si grida la fine violenta dei sogni e delle speranze di un intera generazione. Il cerchio si chiude: più di venti anni di musica, linguaggi, attitudini, stili e costumi di intere generazioni si ricongiungono idealmente per rappresentare, anche se in modo differente, una delle rivoluzioni culturali e sociali più significative e profonde che abbiamo mai avuto: “Rock is dead they say, long live rock!!!