UNA RIFLESSIONE SUL TEMPO


 Lo so è strano che un piccolo libro di uno scrittore di successo  ed una mostra alla Fondation Cartier a Parigi di un artista contemporaneo parlino della stessa cosa, del mondo che cambia, forse è perché tra la visita alla mostra e la lettura del libro sono passati così pochi giorni, che ci ho pensato. 
Qualcosa sta cambiando nel mondo di chi con talento e con medium diversi racconta storie. Quello che cambia è il modo di impiegare il tempo, lo si utilizza per troppe cose lontane dal proprio progetto specifico, qualche artista lo fa, ma sono felice che molti altri resistono con forza a questi cambiamenti.



NICK & RON
un libro e un film

La  grande differenza tra Nick Hornby e Ron Mueck è nella concezione del tempo dell'arte, ognuno la sua naturalmente.
Perché i bravi scrittori lo fanno? La risposta è una sola, i tempi sono cambiati.
Uno scrittore, uno bravo, prima passava il suo tempo a scrivere romanzi. Le storie potevano essere lunghe o corte, ma si capiva sempre che c'era del tempo dedicato a quel lavoro li, perché in fin dei conti è un lavoro, un bellissimo lavoro suppongo. Difficile ma molto bello. Ma qualcosa è cambiato nel mondo, qualcosa è cambiato attorno a noi, prendiamo uno bravo, non il più grande scrittore di tutti i tempi, ma uno veramente bravo come Nick Hornby, Febbre a 90, raccontava l'amore per una squadra di calcio in modo poetico e commovente, alta fedeltà con grande ironia parlava di musica. Certo non sono stati libri che hanno cambiato la storia della letteratura, ma io li ho trovati meravigliosi ( il giorno in cui ho letto Alta Fedeltà ho stilato la mia prima lista...). Poi succede qualcosa il successo, la trasformazione di uno scrittore in autore di script per il cinema, prima dai suoi romanzi, poi solo film.


Il suddetto autore diventa opinionista, scrive ovunque, il suo amore per le storie ci contagia. In modo sbagliato, non lo seguiamo più per quello che scrive, ma per quello che ci consiglia. Arrivano i soldi, sicuramente la beneficenza, le campagne umanitarie, sono convinto che Hornby sia una bella persona, davvero.  Ma attraverso tutto questo noi perdiamo uno scrittore bravo, i libri arrivano più di rado si accorciano sempre di più, tra libro e film passa sempre meno tempo, lo smalto resta quello di sempre, lo si capisce subito anche nel suo ultimo lavoro Tutti mi danno del bastardo, due o tre pagine molto belle e su 65 scritte a corpo 14, non è poco. Ma dove è il romanzo o il racconto? Sembra il riassunto che  un adolescente distratto fa di un film o di un libro appena letto.
La storia è bella, i pochissimi personaggi sono indimenticabili, ma arrivato a pagina 65, non puoi non incazzarti ( scusate il termine), non è giusto sprecare un talento così , non è giusto pubblicare un libro quando non è nemmeno cominciato, non è onesto togliere anche solo nove euro ai lettori che ti aspettano. Nick ci sei riuscito, grande bastardo.

FRAMES FROM THE FILM


Ma poi capita che la stessa settimana vedi una mostra che non ti aspetti,e capisci che  forse non tutto è cambiato. Ron Muneck, mi è sempre sembrato uno scultore iperrealista di talento, un artista di successo, che spendeva il suo tempo girando per la sua factory a dirigere i suoi tanti collaboratori che lavoravano alla catena di montaggio dell'arte contemporanea. E mi sbagliavo.





Il film di Gautier Deblondene è la dimostrazione. Bastano i primi cinque minuti per riscoprire il lavoro di autore straordinario, che insegue il tempo, e a cui il tempo non fa paura. Non c'è fretta, di apparire di concludere il proprio lavoro, c'è solo il tempo dell'arte e della propria indiscutibile voglia di ripetere gesti minimi, per esprimere la propria visione del mondo.
Il tempo lento della memoria, del significato stesso di essere uno scultore, il tutto sullo sfondo di uno scantinato londinese, senza pretese, senza finestre, alla luce fredda di una lampada economica, alla ricerca del dettaglio perfetto, in totale solitudine un paio di collaboratori si ma niente più.
Solo un uomo, e il ritmo del suo respiro. Un film straordinario che mette in scena l'atto creativo, osservando a distanza, camera fissa sui movimenti lenti, l'artista. Ecco il tempo che scrittori come Hornby, e tanti altri artisti hanno perso, acquista in questo piccolo film una dimensione esatta, lo spazio è immobile e sempre uguale, l'artista non parla mai, qualche volta scambia una battuta, prendendo una tazza di caffè su una roulotte parcheggiata di fronte al suo studio, forse dentro fa troppo freddo chissà.
Sono piccoli dettagli che ci svelano il tempo necessario per completare una solo scultura, una piccola stufa elettrica tra le gambe, una decorazione natalizia, una t shirt.
Dopo la visione (cavolo è la prima volta che ad una mostra mi vedo un film completo 60 minuti) si esce dalla piccola sala, e si fa lentamente un'altro giro tra le opere, felici di aver scoperto un autore straordinario, incredibilmente senza parole di fronte ad ogni piega della pelle dei suoi personaggi qualunque, guardiamo le nostre mani e le troviamo troppo semplici statiche quasi irreali. Perché oramai abbiamo capito quanto tempo ci vuole per dare vita alla realtà