CERCANDO IL SUBLIME





Vi sono luoghi che la maggior parte degli uomini ha evitato per millenni e di fronte ai quali ha provato paura e sgomento: le montagne, gli oceani, le foreste, i vulcani, i deserti.
Inospitali, ostili, desolati, evocano la morte, umiliano con la loro vastità, minacciano con la loro potenza, ricordano ad ognuno la sua passeggera e precaria esistenza nel mondo.
Eppure, dagli inizi del Settecento tali loci horridi cominciano a essere frequentati intenzionalmente e percepiti come sublimi, dotati di una più intensa e coinvolgente bellezza. Questa radicale inversione del gusto non ha però una rilevanza esclusivamente estetica: impica un nuovo modo di forgiare e consolidare l'individualità grazie alla sfida lanciata alla grandezza e al predominio della natura. Da tale confronto scaturisce un inatteso piacere misto a terrore, che, in maniera ambigua, da un lato rafforza l'idea della superiorità intellettuale e morale dell'uomo sull'intero universo e, dall'altro, contribuisce a fargli scoprire la voluttà di perdersi nel tutto.

La dolcezza di questo naufragio deriva dalla percezione della maggiore consistenza che l'io raggiunge mitridatizzandosi dinanzi a pericoli potenzialmente letali oppure dal dissolversi dell'individualità nel gran mar dell'essere ? E poi: il sublime è una variante estetica del tirocinio cui ogni persona deve sottomettersi per controllare le proprie angosce e inserirsi in una realtà estranea e nemica?
Fungendo da leva per sollevare gli uomini al di sopra della loro animalità istintuale, il sublime svolge senz'altro alcune funzioni specifiche: impedisce la loro resa alla banalità quotidiana, coltivandoli e rendendoli più propensi a esperienze intellettuali ed emotive profonde;entra nelle pieghe di una più vasta famiglia di strategie educative elaborate dall'umanesimo europeo;focalizza l'intermittente e vago presentimento che la vita non si riduce alla mediocrità o alla sola dimensione politica; riafferma la dignità del singolo di fronte al sospetto della propria insignificanza e alla dolorosa prospettiva della sua immancabile scomparsa; ibrida la trascendenza con l'immanenza, facendo calare i tradizionali attributi di Dio (l'infinità e l'onnipotenza) dall'empireo delle astrazioni teologiche alla natura percepita dai sensi. (1)







Gravity # sublime 1

Ecco questa sensazione qui io la provavo quando ero piccolo pensando agli austronauti, che navigavano nello spazio, era il periodo della conquista e la mia fantasia, ma anche le mie paure erano proiettate lontano. Ricordo con estrema chiarezza che mi ritrovavo a pensare di essere perso completamente nel buio dello spazio, così per gioco mi spaventavo da solo, era un modo per riconoscere attraverso un senso di impotenza la mia posizione nel mondo utilizzavo il sublime (questo l'ho capito solo ora leggendo) come una variante estetica del tirocinio cui ogni persona deve sottomettersi per controllare le proprie angosce e inserirsi in una realtà estranea e nemica. Una sensazione che non ho più provato e che Cuaron mi ha regalato di nuovo con l'uso della sua cinepresa priva di vincoli della sua fisicità che riesce a portare ovunque lui la voglia portare, e con lei lo spettatore: in orbita, attorno gli astronauti, dentro il loro casco, di nuovo fuori, verso il buio, dentro il nulla, nei condotti della Soyuz. Ovunque. L'assenza di gravità è una condizione che ci riproietta nello spazio dell'origine, il ventre materno lo spazio che Luigi Pellegrin diceva passavamo la vita a ricreare.  Cuaron, c'è lo suggerisce con l'unica immagine retorica e necessaria, la protagonista sospesa in un momento di abbandono o forse solo alla ricerca del nuovo inizio. Una scena in particolare sintetizza tutto lo sgomento del perdersi, in cui si passa dal primo piano della protagonista, il volto contratto dalla paura, fino al passaggio in soggettiva del suo suo sguardo lo spettatore non guarda più la scena dall'esterno diventa il protagonista. Lo spettatore guarda con gli occhi dell’astronauta e ruota con lei mentre si allontana dal satellite appena colpito e dai compagni. Inizia a vorticare ed è a questo punto che si sente tutta la claustrofobia del momento. Si sta col fiato sospeso sperando solo che il dramma finisca presto. E si sente il terrore quando si vede il protagonista sprofondare verso lo spazio infinito. Il regista gioca soprattutto sullo spazio, sui corpi, sul sonoro e il silenzio, sulla voce come unico compagno nel buio dell’universo. A molti questo film non è piaciuto perché di spazio non sanno assolutamente nulla, la loro idea è legata a mostri sbavanti e navicelle super disegnate, super acccessoriate, super potenti macchine da guerra, prima che strutture che consentano di poter vivere in condizioni estreme come queste. Ma si sbagliano di grosso, perché questo film, almeno negli spazi che li caratterizza e negli equipaggiamenti è più vero del vero. Inevitabile ripercorrere la storia della conquista dello spazio solo guardando le immagini, non pensando alla storia ai dialoghi, se gli eroi sono uomini o donne, se portano o no la canottiera, gravity è un film fatto bene, in cui è il mito dello spazio ad essere protagonista, lo spazio e la sfida all'ignoto, non è un caso che i due personaggi, contrappongono due naturalità diverse, george è sicuro perché fa questo lavoro da anni, per lui lo spazio è casa, lo conosce, ma ancora prova stupore e sgomento di fronte al sublime, trova il tempo di distrarsi da una situazione irreparabile, sa che oramai per lui è finita, guardando un alba dal vuoto assoluto, guardando ciò che nessun altro, (o almeno ben pochi) hanno visto e proprio nel momento in cui il terrore della fine arriva, si stupisce ancora di fronte alla dolcezza di questo ultimo naufragio. 





Giacomo Costa # sublime 2

Siamo immersi o naufraghi, il cielo è chiaro solo qualche nuvola, il temporale è passato ma qualcosa è successo, perché questo mare increspato è innaturale, l'acqua ha subito una modificazione è rossa, viola, densa. Il colore è cambiato forse a guardarla bene non è acqua, cosa ha trasformato il mondo, la geografia dei luoghi? Sono spariti i paesaggi urbani in rovina, una delle caratteristiche dei lavori di Giacomo Costa, non esistono più città distrutte da eventi incontrollati, come non ci sono più paesaggi naturali trasfigurati e modificati. È tutto sommerso in un liquido denso, una sequenza di loci horridi dotati di una più intensa e coinvolgente bellezza. 
Costa in questo modo  riduce al grado zero le sue visioni apocalittiche, l'osservatore si pone domande diverse, è in questo gioco di inversione che è nascosto lo sguardo, è di fronte a questo paesaggio che ci chiediamo se è tutto finito o se invece la vita sta ricominciando.

Da tale confronto scaturisce un inatteso piacere misto a terrore, che, in maniera ambigua, da un lato rafforza l'idea della superiorità intellettuale e morale dell'uomo sull'intero universo e,dall'altro, contribuisce a fargli scoprire la voluttà di perdersi nel tutto. 







Stefano Graziani # sublime 3

In questa fotografia, c'è invece il desiderio di perdersi, questo mare è un dolce mare la paura sparisce il Sublime ci rende parte della scena  La dolcezza di questo naufragio deriva dalla percezione della maggiore consistenza che l'io raggiunge mitridatizzandosi dinanzi a pericoli potenzialmente letali oppure dal dissolversi dell'individualità nel gran mar dell'essere.

Queste due raffigurazioni sembrano raccontare la stessa cosa ma il mezzo espressivo è diverso, paradigma perfetto della contemporaneità. Graziani utilizza la fotografia, giacomo Costa il render foto realistico. Due mondi contrapposti analogico e digitale. Due sistemi di pensiero ed annotazione, l'immagine di Graziani è reale quella di Costa definisce un mondo possibile totalmente diverso da forma ad un paradigma la cui realtà deforme inquieta, non costruisce attraverso il reale ma cerca di dargli forma attraverso una simulazione. Quello che in un certo senso succede in architettura quando si cerca di seguire un paradigma che produce una complessità fine a se stessa. La realtà è riprodotta attraverso la combinazione arbitraria di parametri diversi, combinati tra loro. 
Il mondo che il parametrico crea è un mondo artificiale le cui forme diventano nonforma reale ma una sua mera riproduzione. Quale senso può avere vivere un mondo così, è necessario? La tecnica è un altra cosa rispetto alle regole che costruiscono lo spazio delle nostre città, lo spazio che viviamo. Il film gravity lo dimostra molto bene, anche nello spazio dove l'assenza di gravità permetterebbe di costruire spazi incredibilmente complessi, l'uomo ha bisogno per vivere di riferimenti precisi, un sopra e sotto, devono esistere per permetterci di costruire un mondo conosciuto che da sempre ci nutre e ci protegge. Anche Giacomo Costa lo sa e le sue opere sono lì sospese per dircelo una minaccia che utilizza l'idea di Sublime ancora una volta per avvertirci dei pericoli nascosti oramai dentro di noi.



Note: 

(1) La citazione iniziale è tratta da Paesaggi Sublimi di Remo Bodei Bompiani 2010






(2)  Gravity è il film di Alfonso Cuarón 2013




(3) per approfondire il lavoro di Giacomo Costa  consiglio la mostra   a Roma nello spazio smART Visioni Apocrife - 2013,  o il libro  The Chronicles of Time - 2009




(4) per approfondire il lavoro di Stefano Graziani Under the volcano and other stories 2009
pubblicato da Pubblicato da Galleria Mazzoli