SULLA NECESSITA'
Galleria Stefania Miscetti 1992 |
Un dialogo immaginario e immaginato tra il 1992 e il 2013
Due tempi non così lontani.
Dedicato a Luigi Pellegrin
E poi
quello che si cerca è sempre in un libro che
abbiamo già, basta qualcuno che te lo ricordi allora tu lo ricominci a sfogliare, è facile è sempre nello scaffale più vicino, dove sono i libri importanti, lo prendi senza alzarti e trovi tutte le risposte di cui hai bisogno.
Gli Architetti disegnano?
Si, in vari modi e, si dice con cattiveria scema,
soprattutto quando non possono costruire. In quel caso, si dice che esiste uno
iato, uno sfasamento in positivo o negativo fra proposta disegnata e necessità
riconosciuta, voluta dalle persone di quel tempo.
Ma quanto detto è solo riferito
al disegnare finalizzato al progetto di sotto-architettura.
Non tutti i disegni degli Architetti sono finalizzati al
costruire.
Questa affermazione è facile capirla
male, in modo riduttivo, soprattutto oggi (tempo di velleità
para-architettoniche). È l'idea corrente
di architetto una delle cause di ciò.
Sopratutto gli Architetti hanno poca chiarezza della
funzione o meglio della vocazione che trasforma un uomo in architetto.
Si pensa che l'Architetto inizio ad essere in quanto
costruttore. Ma poi crebbe organizzando la bellezza del costruito. E' anche
vero, sopratutto nel nostro settore di Civiltà, da 4 o 6
mila anni.
Ma l'architettura
era apparsa molto prima; quando si riconobbe che un luogo era diverso , era
principe.quel risultato fu parte di una delle ultime fioriture che hanno dato
corso alla lunghissima stagione del formarsi, accavallarsi, e distruggersi
delle fisionomie; le varie, infinite manifestazioni della intenzionalità
biologica...
Usare la forza di gravità per dare forma
al luogo e contenervi l'energia più preziosa, più
difficile da produrre o impossibile da rubare: la forza psichica.
Forza di gravità, risucchio,
accoglienza formata dalle emanazioni psichiche. Era l'idea del luogo principe,
l'Architettura.
Luogo che non fosse tangibile dal rumore dalla tempesta dal
trapasso, dalla fase di mutamento, la morte.
Capirono bene che la materia reale per realizzare quel
luogo principe era lo spazio. Il vuoto di fisicità
che permette a tutto l'invisibile di visitarlo, impegnarlo.
Molto è accaduto
attorno a quella idea di luogo-spazio del dopo. Anche dimenticanza.
Anche dimenticanza che quel luogo era il,complementare
coadiuvante dell'altro luogo, quello della nascita di ognuno di noi.
È
legittimo se qualcuno disegna per testimoniare brandelli di quell'idea di
spazio?
È
legittimo se qualcuno collega qualche brandello pre-antico alle ultime specie
che sono arrivate fra di noi?
L'alienità artificiale di
cui siamo circondati, tele, fax, auto, transistor, bulldozer, laser...li può coniugare con la dolcificata presenza di
plurisecolari manierismi? No.
Il decoro, applicato su murature scatolari di alcuni
secoli, è succube se
confrontato con la densità energetica
dell'artificiale contemporaneo.
Vince lui, sa distruggere.
È
più
facile che si confronti dinamicamente con l'idea di condensazione energetica o
la trasparenza materica, cioè la non
resistenza che i lontani antenati riuscivano a erigere per dare sostanza
visibile al loro essere gruppo, società.
Comunque, due energie
di fronte: il primordiale e l'iper-artificializzato; due grandi
progetti.
Il primo ha dato l'energia per il secondo.
Richiamiamolo. (1)
Si è necessario richiamiamolo, cerchiamo di farlo tornare tra
di noi.
È necessario lo ripeto, cercare
lo spazio il vuoto cosmico in cui ricostruire e ridare forma al reale. I nostri
segni sono il rituale per ricostruire questo pensiero profondo. Che deve
ritrovare la forza di costruire il mondo.
Pellegrin
scriveva e disegnava, costruiva spazi, ripeteva sempre che il segno nacque
quando gli uomini iniziarono a interrogare il silenzio ottenendo stasi di
rumore che impedivano a qualsiasi verità di erigersi in muro fermo.
Il segno è il modo di
realizzare la risposta parziale del silenzio interrogato, usando sia il visuale
accaparrato, immagazzinato, sia le tracce di segni che fluttuazioni cosmiche,
movimenti biologici oltre il noi stessi, hanno lasciato.
Pellegrin
aveva ragione specialmente quando diceva che il segnare si è trasformato in disegnare. Tracciare linee non solo per
rappresentare se stessi, per conoscersi, (oggi abbiamo la psicoanalisi, mentre
prima eravamo soli e dovevamo scoprire) ma anche per vedere, il segno si è trasformato l'uomo ha conosciuto se stesso ed ora cerca di
capire lo spazio. Si disegna ancora per conoscere, non finiremo mai di farlo.
Queste
sono le ragioni per cui ho cercato tra i libri una ragione nel momento esatto
in cui, le ragioni generano dialoghi infiniti fine a se stessi. Anche io li ho
provocati, anche io sono stato causa di questo rumore, ed è per questo che faccio un passo indietro.
Il
dialogo a volte non serve se le ragioni del contendere sono altre, ecco il
problema fondamentale è che qualcuno non conosce e
riconosce più le ragioni che ci hanno
portato prima a segnare la terra tracciando linee, e poi ci hanno portato a
dare forma al mondo.
Il
problema è che non esiste più il tempo, un tempo per riflettere un tempo per conoscere.
Si cerca
di dire alzando la voce riconoscendo se stessi, non tracciando il proprio
profilo, ma giudicando il segnato degli altri, io esisto per non essere come
te.
Loro, quelli che incidevano la roccia in val camonica e che
scavavano solchi lunghi chilometri in Perù, erano uomini
del segno. Dell'indicare.
Oggi l'
indicare è usato per giudicare per
dividere lo spazio e nel segno non cerca più la direzione da seguire.
Da solo
non ce la facevo per questo ho cercato questo libro, dove le parole di
Pellegrin scritte per se stesso e non per gli altri riflettevano sul tema.
L'occasione
era una sua mostra alla galleria Miscetti di Roma, era il 1992. Mi ero laureato
da poco, Pellegrin con i suoi disegni pensava interrogava se stesso e gli
altri, il primordiale ricordato, la terra come radice e non come appoggio,
l'abitare nello spazio, il pensare alla periferia di Roma, erano i temi delle sue riflessioni, perché Pellegrin disegnava, aveva
ricominciato a sognare la parete di quella grotta segnata la prima volta in
un'epoca lontana.
Pellegrin
ha realizzato molti edifici, ha brevettato soluzioni tecniche, ha pensato
componenti necessarie al costruire, ma disegnava, diceva sempre che per
rispettare il contadino che lavorava la terra, noi dovevamo fare almeno un
disegno al giorno, per essere alla pari, noi fortunati.
Io ci ho
sempre provato e continuo a farlo, il segno a volte è una scrittura, altre volte una riscrittura. Ecco dovremmo
farlo tutti continuare a segnare.
Per farlo
e per dirlo io ho richiamato lui o meglio ho richiamato quei giorni e quei
segni da un tempo vicino, poi era solo il 1992, nulla in confronto al tempo in
cui ci rifugiavamo per la prima volta nelle grotte.
Galleria Stefania Miscetti 1992 |
(1) Luigi Pellegrin, alle porte dell'architettura - Galleria Stefania Miscetti - Roma 1992 catalogo.
PS. Parlavo con Stefania ha tirato fuori queste foto qui dal suo archivio, mi ha ricordato tante cose, l'urgenza poi fuori mi ha fatto tornare a casa tardi, mi sono fermato in un bar a scrivere per continuare il dialogo a distanza nel tempo, la ringrazio di aver riattivato la mia memoria.