A DIFFERENT ARCHITECTURAL WORLD
Jimenez Lai
Citizens of no place
an Architectural graphic novel
Mitt Press 2013
On Imagination
Fiction is an impetus to architecture. Imagination is an upstream process toward making the fake become real. The fiction that architecture write-as an inspiration for and a response to culture -forecasts the fabrication of cities, which marks history. To advance culture, architects must embrace the power of unrealized ideas and nurture wild propositions. By realizing the seemingly unimaginable, architects lay down a new milestone of tangible realities.
Jimenez Lai
Forse
diventeremo cittadini di nessun luogo, o forse già lo siamo. Ci stiamo
perdendo, stiamo perdendo la nostra posizione nel mondo reale. Questo Jimenez
Lai lo racconta bene attraverso una scrittura molto particolare e inconsueta
per l’architettura. Il fumetto è una forma di racconto diversa perché mette
assieme testo e disegno, un disegno estraneo da ogni costrizione formale che
come la scrittura più pura si dirige senza ripensamenti verso il
racconto. Un medium tecnico, che racchiude una forma critica di
rappresentazione dello spazio, non è un caso cha alla base della narrazione
cinematografica i grandi registi lo usino per completare i loro storyboard, lo
spazio della scena viene prima disegnato e poi vissuto attraverso
l'animazione. L’animazione nel caso di questo libro procede in modo
discontinuo, è un animazione analogica, ha bisogno dell’uso della mente per
prendere forma.
Al contrario del sistema parametrico in cui l’animazione procede senza una guida, qui è il racconto a diventare lo strumento attraverso il quale la forma si evolve, sempre in relazione ad un principio ordinatore che è il pensiero del suo autore.
Gli architetti non sono critici ma scrivono molto, forse troppo, lo hanno sempre fatto, la scrittura ogni forma di scrittura anche la più intima, definisce mondi immaginari dal quale estrarre pezzi che consentono il farsi del progetto, la scrittura è per un architetto uno strumento in più per comprendere il reale.
Io ad esempio uso due tipi di scrittura: le recensione, sono un re-viewer che si mette nella condizione di guardare (leggere) per rendere visibile agli altri, ciò che per me è importante, un modo per far ri-apparire determinati frammenti, l’atto stesso di raccontare un libro invece che un altro esprime una scelta. La seconda forma è il collage, metto insieme frammenti delle tante immagini che mi circondano per costruire altre immagini che sono il racconto di progetti d’architettura già fatti, oppure di altri semplicemente depositati nel fondo della mia memoria.
Le immagini che utilizzo nei montaggi lasciano aperte tante domande: da dove sono venute? Perché le ho messe insieme in questo modo? Quale è la cosa che ho visto all’inizio e che è diventato per me urgente o necessario mostrare?
Al contrario del sistema parametrico in cui l’animazione procede senza una guida, qui è il racconto a diventare lo strumento attraverso il quale la forma si evolve, sempre in relazione ad un principio ordinatore che è il pensiero del suo autore.
Gli architetti non sono critici ma scrivono molto, forse troppo, lo hanno sempre fatto, la scrittura ogni forma di scrittura anche la più intima, definisce mondi immaginari dal quale estrarre pezzi che consentono il farsi del progetto, la scrittura è per un architetto uno strumento in più per comprendere il reale.
Io ad esempio uso due tipi di scrittura: le recensione, sono un re-viewer che si mette nella condizione di guardare (leggere) per rendere visibile agli altri, ciò che per me è importante, un modo per far ri-apparire determinati frammenti, l’atto stesso di raccontare un libro invece che un altro esprime una scelta. La seconda forma è il collage, metto insieme frammenti delle tante immagini che mi circondano per costruire altre immagini che sono il racconto di progetti d’architettura già fatti, oppure di altri semplicemente depositati nel fondo della mia memoria.
Le immagini che utilizzo nei montaggi lasciano aperte tante domande: da dove sono venute? Perché le ho messe insieme in questo modo? Quale è la cosa che ho visto all’inizio e che è diventato per me urgente o necessario mostrare?
La risposta viene dopo ed è sempre nel progetto. La parola scritta si spiega da sé…forse perché rappresenta, fin dall’inizio, l’anello di congiunzione fra l’immagine sullo schermo…e l’altra immagine sullo schermo più soggettivo, nella nostra mente. (1)
Jimenez Lai ha una forma di scrittura molto
particolare, in cui immagini e testi non restano staccate, il fumetto infatti
trasforma la pratica del disegno in una coinvolgente esperienza progettuale,
molte delle riflessioni sono la base per tracciare le linee di un architettura
che prende forma dal rapporto tra la realtà oggettiva dello spazio e la realtà soggettiva depositata nella scrittura
colloquiale del fumetto. Ogni capitolo del libro ha un tema specifico che poi
si ritrova in uno spazio realizzato. La dimensione non è importante, perché la costruzione spaziale ha bisogno di
verifiche continue, ed esigenze di sperimentazione formale che non sempre hanno
un riscontro nelle esigenze di un cliente. Il più delle volte i progetti sono istallazioni che
definiscono i termini essenziali dell’abitare. Gravità, spazi minimi, forme iconiche, movimento, complessità. Jimenez Lai si è formato in studi diversi Atelier Van Lieshout, OMA, ogni esperienza gli ha lasciato addosso una
visione del mondo che richiede tempo per combinarsi in una forma abitata.
I suoi progetti stanno costruendo una linea di ricerca molto precisa, in cui i problemi formali sono affrontati direttamente.
I suoi progetti stanno costruendo una linea di ricerca molto precisa, in cui i problemi formali sono affrontati direttamente.
I suoi progetti al contrario di quelli dei suoi maestri costruiscono un immaginario di segni, che trovano in questa forma espressiva uno spunto di riflessione diverso, legato di più alla morfologia dell'oggetto che produce variazioni spaziali in relazione al corpo.
Il Phalanstery
Module è uno
spazio rotante per mostre temporanee che riflette sul tema dell’archtettura a gravità zero, e quindi sulla reale possibilità di utilizzare lo spazio in tutte le
direzioni. (sono evidenti le contaminazioni dei due degli studi in cui Jimenez
Lai ha lavorato (l’interesse per gli oggetti di recupero e la loro
trasformazione, Atelier Van Lieshout, e di come questi oggetti possono produrre interferenze con lo
spazio della città, nel caso di OMA il Prada Transformer l' edificio che si trasforma con la
semplice inversione della sua posizione rispetto al terreno su cui è poggiato)
Ma per Jimenez il discorso è diverso lo dimostra anche il tavolo per esterni che si trasforma a seconda delle esigenze dei suoi fruitori in una collezione di street forniture. Gli interessa la componente ludica da una parte, ma anche l’idea della relazione tra uomo e oggetto e di come gli oggetti, sono delle vere e proprie microarchitetture. White Elephant è proprio questo uno spazio espositivo immaginato come incrocio tra un mobile e una piccola casa, che può diventare con l’uso un Oggetto urbano da installare nelle aree abbandonate delle città per creare un interferenza con la realtà che lo circonda.[2]
Nel panorama contemporaneo, la critica si è svuotata di significati, per motivi diversi,
forse proprio come dice qualcuno per la troppa facilità ad accedere alle informazioni in rete, al parlare in fretta per catalogare,
definire linguaggi, giudicare forme.
Di contro i giovani architetti riscoprono la scrittura, diverse
forme di scrittura, come risposta alla proliferazione di immagini. Si torna a
riflettere sul progetto in prima persona, in una forma diretta per mettere in
gioco le proprie posizioni culturali, oggi ognuno di noi diventa critico di se stesso, la
scrittura è
usata non per dare risposte, ma per porre domande.
Jimenez Lai scegliendo la graphic novel d’architettura, non crea una forma nuova d’espressione per un architetto, in precedenza la stessa tecnica è stata usata da Wes Jones (3) alla fine degli anni novanta per interventi puntuali su LOG, recentemente BIG (4) con Less is More trasforma la sua monografia in un best seller per studenti sempre alla ricerca di novità, ma nessuno prima d’ora ne aveva fatto un campo di sperimentazione teorica.
I personaggi portano all’esasperazione le storie, che diventano a volte quasi ossessive, la narrazione supera la maggior parte delle volte la rappresentazione. Si comincia nel migliore dei modi con una conversazione tra un architetto e un developer, si prosegue con l’Arca di Noe nello spazio, la gravità (forse è a questo punto che il libro mi ha affascinato di più) come primo elemento da analizzare per progettare, che significa utilizzare lo spazio in tutte le direzioni? si affronta così il rapporto tra il progettista e lo spazio del corpo, i personaggi sembrano sottolineare gli aspetti spesso trascurati dal mondo dell’architettura, ma il disegno ha la capacità di creare un testo parallelo sull’evoluzione delle forme.
In Babel il protagonista sceglie tra successo e amore, per poi ritornare sui suoi passi e dopo aver vissuto in uno spazio di dimensioni eccessive, uno spazio quasi senza dimensioni tra terra e spazio, uno spazio immenso vuoto, in cui il corpo e la mente si perdono. Tornato a casa il protagonista propone alla sua compagna di ritirarsi in un minuscolo contenitore, una microarchitettura che sembra uscita dalla produzione artistica di Absalon, un ritorno allo spazio interno.
Le storie sfiorano le nostre ossessioni fino a diventare parodie come quando il protagonista di On types of seductive robusteness viene sorpreso a commettere atti impuri con una forma architettonica, (io ne conosco molti di architetti così) scoperto confessa il suo amore per un edificio, o meglio per la sua forma, già Rem Khoolhas rappresentava il suo Delirious New York attraverso i disegni dei grattaceli distesi a letto assieme di Madelon Vriesendorp, nei disegni poi gli edifici copulavano (5), qui la situazione è diversa il protagonista è l’esemplificazione di chi si innamora fisicamente delle proprie ossessioni, lo spazio non esiste più la figura diventa l’oggetto più importante per lui (una critica evidente a tanta architettura contemporanea concentrata solo su stessa).
Certo nel libro la linea non è sempre chiara, i significati sono deboli e ambigui, ma forse è proprio nella sua ambiguità che questa forma di testo assume un significato diverso, innovativo, il testo non fa dichiarazioni nette, l’interpretazione restituisce al lettore la possibilità di mettersi in gioco come parte attiva. E' evidente un senso di ironia nei confronti delle pratiche contemporanee che trasformano i paradigmi nel fulcro della ricerca.
L’architettura sparisce, in queste riflessioni ma poi riappare con forza attraverso il disegno, piante che si mescolano con sezioni, edifici che si ibridano con le persone che li usano, realtà ed utopia, disegni tecnicamente perfetti, con figure astratte. Insomma un’ invenzione linguistica continua che acquista ancora più significato se letta in parallelo agli spazi disegnati e progettati da Lai che ho descritto in precedenza. Qualcuno ha scomodato figure ingombranti forse troppo, Archigram, Oma, Stanley Tigerman, ma in Jmenez Lai c’è tutta un’altra leggerezza, c’è la consapevolezza che per essere radicali, bisogna partire dal disegnare piccoli spazi, installazioni che ci sembrano dire che giocare è più importante che pensare all’architettura come unica salvezza possibile per le nostre città.
Jimenez non ha progettato molto, ma guardando la semplicità con cui metteva in campo mondi diversi nella sua conferenza all’American Accademy la scorsa settimana, mi ha fatto venir voglia di visitare il padiglione di Taiwan alla prossima Biennale di cui sarà il curatore, mi perderò volentieri in questa microcittà in cui i disegni di spazi immaginari diventano luoghi da vivere, anche se solo per una mostra. E chissà che da questa leggerezza possa nascere un mondo diverso, in cui l’architettura riacquisterà all’improvviso un significato attraverso l’uso e il gioco.
[3] wes jones
[4] BIG
[5] Madelon Vriesendorp cofounded the Office for Metropolitan Architecture with Koolhaas, Elia and Zoe Zenghelis