LA VITA SEGRETA DEL MONUMENTO CONTINUO
Gabriele Mastrigli
Superstudio
La vita segreta del Monumento continuo
libro d'artista edizione limitata
Monditalia - Biennale di Venezia
La
moglie di Lot rifletteva la mia idea di mutamento, di ‘impermanenza' direi, per
cui l'architettura ha una nascita istituzionale seguita da una vita che
istituzionale non è affatto; l'idea dell'obsolescenza, dell'entropia in
architettura, mi ha sempre affascinato, essendomi sem-pre interessato anche di
archeologia (altra branca delle ‘scienze umane') che, più di ogni altra
attività dell'uo-mo, esprime il Sic transit gloria mundi. A questo pensiero si
riconduce anche la mia riflessione sull'‘anti-monu-mentalismo', secondo cui
nell'architettura esistono so-lamente due committenti: l'uomo e il potere,
ciascuno dei quali nega per definizione l'altro.
Piero Frassinelli
In
occasione della mostra Roma Interrotta al Maxxi (presto un post dedicato) pensavo al valore di riproporre
a distanza di anni una mostra di architettura. Nel caso del Maxxi la ragione è
l’acquisizione dei disegni nella collezione, ma secondo me esistono altre ragioni che possono dare nuovi
significati ad un progetto di architettura.
Sono
sicuro che sia stata questa ricerca
di un nuovo significato o meglio dell’interpretazione dei diversi
significati sedimentati nel tempo che ci separa dalla Biennale di Venezia del
1978 a spingere Gabriele Mastrigli a riproporre l'istallazione del Superstudio La moglie di lot (/www.the-booklist.com//2014/06/la-moglie-di-lot.html).
Mastrigli per spiegarcelo sceglie la forma di un libro, un libro d’artista non pubblicato (ne sono state prodotte solo una ventina di copie in parte ancora disponibili) pensato come riflessione aggiuntiva e conclusiva sul suo pluriennale lavoro di ricerca sul gruppo radicale fiorentino.
Il libro è il proseguimento ideale, del lavoro sull'archivio dei Superstudio, condiviso con Stefano Graziani, presentato alla scorsa biennale sul grande tavolo di San Rocco. E’ anche l’ultimo atto dovuto a tre architetti che attraverso la loro vita segreta insieme, ma anche con le loro individualità, hanno inseguito un’ idea molto personale di architettura, dando vita al lavoro del Superstudio.
Può
apparire strano che con un libro in uscita per Quodilibet (una raccolta di
testi e progetti) il curatore abbia deciso di produrre un nuovo libro. Ci si
potrebbe chiedere che significato
può avere un altro libro sui Superstudio ma specialmente perché queste
interviste che ne costruiscono il corpo non sono state inserite nel libro di
prossima pubblicazione?
La risposta è molto semplice, era necessario un contrappunto che mettesse fine al lungo dialogo tra i singoli componenti di Superstudio e l’autore.
Quindi
la novità più importante è
che questo libro è un libro su Adolfo Natalini,
Cristiano Toraldo di Francia, Piero Frassinelli, sui loro sguardi che
raccontano la stessa storia, la loro storia, la storia di un progetto sempre
condiviso, nonostante approcci diversi, ed un amore indiscusso per
l’architettura.
Recentemente,
nel fiume di parole sui social network (evitate con cura di formarvi qualsiasi
tipo di pensiero coerente, dal fiume di commenti spesso fuori luogo che appaiono su FB) ho letto
una critica rivolta ad Adolfo Natalini, sul fatto che dopo Superstudio aveva in
un certo senso tradito i presupposti della sua ricerca, io non sono d'accordo.
Come non sono d'accordo con Andrea Branzi (a distanza di qualche settimana Una generazione esagerata, mi convince meno lo ammetto, ma a volte leggere tanto come dice il mio amico Servino non da il tempo giusto per pensare) quando sostiene che nella triennale del 73 Superstudio esponeva con i Radicali ma anche con la Tendenza, vedendo questo come un tradimento. Ecco io invece penso che per Superstudio il valore del progetto e dell'architettura era qualcosa di superiore ad ogni forma di schieramento e che quindi poteva liberamente rispondere ad istanze diverse e con progetti diversi, inseguendo sempre un' idea molto chiara, e coerente, di progetto d’architettura, ma questo lo può capire solo chi di progetti si occupa veramente.
I
Superstudio non hanno mai pensato a creare un linguaggio, hanno sempre messo
avanti a tutto l' architettura.
Riproporre
l'istallazione della biennale del 1978
quindi ha un significato preciso verificare ancora una volta che L’Architettura sta al tempo come il sale sta all’acqua.
L’architettura è solubile nel tempo come il sale è solubile nell’acqua.
L’architettura è solubile nel tempo come il sale è solubile nell’acqua.
In questa metafora che agisce su livelli diversi il
progetto rafforza il suo significato, riuscendo allo stesso
tempo ad essere presente allo scandire del tempo e ad annunciare che molte
delle utopie di quegli anni avevano raggiunto un punto in cui il reale avrebbe
preso il sopravvento sulla potenza delle idee, che il tempo non avrebbe
cancellato. Prova evidente la perfetta attualità di quest’istallazione a distanza
di anni come se tutte le domande non potessero avere una risposta oppure che le
risposte fossero tutte lì, nel recupero e nella coscienza della propria
capacità progettuale rimasta intatta allo scorrere del tempo.
Mastrigli
c'è lo racconta nel modo migliore guidando in punta di piedi le tre interviste,
che lavorano su un doppio piano, da una parte creano il contesto e affrontano
le stesse tematiche attraverso uno sguardo soggettivo, da un'altra scavano nei
significati del loro lavoro guardandolo con distanza e trattandolo in modo
oggettivo, come un modello di ricerca. La forma del saggio di un unico autore
non sarebbe stata efficace nel racconto di questa storia. Sicuramente l'atteso
libro edito da Quodlibet, ora, assume un significato diverso, perché questa
biennale ha creato le premesse per questo lavoro di archiviazione di testi e
progetti.
I
tre protagonisti di questo racconto, analizzano il proprio lavoro alla luce
della propria esperienza all’interno del gruppo, dimostrano come i progetti si
siano formati seguendo le loro personalità, attraverso un continuo dialogo e
scontro, ognuno aggiungendo un piccolo pezzo in più.
Adolfo
Natalini:
Non
esisteva alcuna conciliazione: come in tutti i gruppi, anche noi avevamo
interessi diversi, alcuni di-vergenti o addirittura contrastanti. Nel
Superstudio avevamo una specie di ‘disturbo bipolare della perso-nalità', per
cui ci appassionavamo ad un argomento e al suo esatto opposto. Ad esempio,
inizialmente nel Superstudio c'era un interesse per la simbologia e la
tecnologia e il Monumento Continuo nacque proprio dalla sovrapposizione di
queste due idee. L'artificio retorico che usavamo era l'utopia nega-tiva, che
consisteva nello sviluppare un modello ra-zionale sino alle sue estreme
conseguenze al fine di dimostrare la sua più assoluta insensatezza. In questo
modo volevamo criticare la fiducia cieca e totale che veniva riposta sia nella
rappresentazione monumentale sia nella tecnologia. Negli anni ‘60 ancora non
esisteva il termine «hi-tech», per cui Cristiano e io – in un sag-gio
pubblicato su Necropoli nel 1969 – ci inventammo la definizione
«tecnomorfismo», con cui indicavamo un'architettura fatta a immagine della
tecnica.
Cristiano Toraldo d Francia:
Grazie a mio padre, arrivavano a Bellosguardo ri-viste
come Scientific American che in Italia ancora non avevano una pubblicazione
corrispondente. Su questa rivista c'erano disegni formidabili, assono-metrie di
macchine spaziali e dei primi elaboratori che venivano usati dall'esercito
americano, l'Arpa-net. Fu così che io e Adolfo – entrambi molto in-teressati al
mondo della tecnologia – riuscimmo ad avere dei riferimenti concreti e precisi.
Dalle pagine di Scientific American, ad esempio, avevamo visto e studiato tutto
il tema dell'Architettura interplaneta-ria, intesa come struttura protettiva
per l'uomo che sbarcava sulla luna: dalle varie ipotesi di navicella, ai
materiali con i quali erano fatti i vestiti degli astro-nauti. Eravamo
affascinati dal potenziale di questa protezione che ti permetteva di sopravvivere
in un ambiente – del tutto ostile dal punto di vista climati-co – semplicemente
attraverso un abito, progettato come un' architettura da indossare. Ci recammo
all'Osservatorio Astrofisico di Arce-tri, di cui conoscevo il direttore,
Guglielmo Righini che ci permise di fare diverse visite e osservazioni,
testimoniate da molte fotografie con noi intenti a manovrare un radiotelescopio
e un telescopio lunare. Soprattutto convincemmo gli astronomi a calcolare che
tipi di forze sarebbero state necessarie per forma-re dei campi gravitazionali
tali che potessero reggere un'autostrada dalla terra alla luna e altre
costruzio-ni interplanetarie. Loro impostarono delle equazioni i cui numeri
ovviamente erano irraggiungibili, ma misurabili dunque ‘possibili'. Ci incuriosiva
molto l'idea di costruire vari campi gravitazionali che fa-vorissero
l'insediamento sulla luna, su altri pianeti e sul collegamento fra questi e la
terra; eravamo molto colpiti da questo salto di scala, dalla smitizzazione di
questa grande retorica della luna: «Siamo arrivati sul-la luna!» purtroppo non
significava niente perché nel frattempo la terra stava diventando sempre più
pove-ra, sempre più piccola, ed i conflitti sempre più acuti. D'altronde non si
può dimenticare un'ultima fa-scinazione dell'allunaggio – decisamente politica
– per cui lo sbarco nel pianeta rappresentava l'occu-pazione dell'unico
spazio rimasto fuori dalla logica della merce, dalla logica del sistema. Per
questo, dal nostro punto di vista, valeva la pena fare delle archi-tetture che
partissero da questo passo dell'uomo sul-la luna, ma che fossero qualcosa di
più, che portasse-ro a dei veri e propri ‘sommovimenti interplanetari'.
Piero Frassinelli:
Sin da piccolo mi interessavo di arte e
cominciai a raccogliere ritagli da giornali e riviste ma quando de-cisi di
ordinare il materiale, creando una scheda per ogni opera – su fogli di carta da
pacchi per risparmia-re – cominciai a integrare le schede con brani di libri e
voci di enciclopedie; l'unico criterio catalogatorio era l'ordine rigorosamente
cronologico delle opere.
Ne usciva fuori qualcosa in cui le culture più
diverse erano affiancate in maniera quasi indif-ferente.
«L'uomo è la casa dell'uomo»: in questa frase io
ho sempre creduto. Il Duomo di Modena e un tem-pio Hoysala stavano l'uno
affianco all'altro perché per me erano esattamente lo stesso, anzi preferivo le
sculture di Belur a quelle di Wiligelmo; già allora mi resi conto della
stupidità ideologica che voleva l'arte occidentale superiore per definizione a
quella delle altre culture.
in questo senso, l'idea stessa di Monumento
Con-tinuo – di architettura che abbracciava la terra nella sua interezza –
poteva essere relativamente vicina al tuo interesse per la catalogazione.
Il Monumento Continuo non mi convinceva molto:
andava in senso contrario alle mie ricerche; intendeva eliminare l'architettura
per sostituirla con un unico grandissimo oggetto. Fu proprio allora che nacque
la mia ‘critica interna', che all'inizio proponevo solo con qualche battuta
ironica. Andavo avanti a fare i foto-montaggi del Monumento, a volte mi
divertivo anche.
Ora c'è da capire dove è finita quest'eredità e per farlo penso sia molto importante capire che oggi non è più possibile essere radicali allo stesso modo, non è più possibile produrre visioni ma è necessario costruire con gli stessi strumenti un pensiero coerente che guardi al loro lavoro di ricerca con
autonomia e interesse, e che riesca a fare in modo che questo lavoro diventi un modello ancora attuale di costruzione di un progetto che investa molte discipline, che danno forma al mondo che viviamo.