SUL GUARDARE





John Berger
Sul Guardare
Bruno Mondadori 2003


Sul guardare è un bellissimo titolo per un libro che parla di scritture, fotografie, dipinti, della realtà che ci circonda. I nostri sguardi cambiano di continuo, si adattano agli stati d’animo ma anche al reale e alla sua percezione in modo quasi automatico. Le nostre esperienze visive sono sempre più universali delle circostanze ci dice John Berger, critico d’arte, saggista ma anche scrittore.
Cosa significa guardare? È un atto di scrittura prima che di lettura e l’autore ce lo dimostra pagina dopo pagina. Guardare infatti non è unicamente un atto percettivo è parte integrante della vita, entra a far parte della storia, è la nostra esperienza del mondo.
Gli sguardi di Berger partono da immagini, oppure solamente dal ricordo di un' immagine vissuta, di una fotografia, sono racconti che prendono forma in seguito ad un osservazione quasi distratta, ma che invece stratifica nella nostra memoria sensazioni.
Sia quando parla di un fotografo che quando descrive (guarda) l’essenza stessa della fotografia il tono è sempre lo stesso, curioso, di chi si pone domande. Berger nel momento che scrive diventa un fotografo ci racconta la sua visione del mondo, nega ogni connessione o continuità e conferisce ad ogni momento il carattere di un mistero.
Che cosa c’era al posto della fotografia, prima dell’invenzione della macchina fotografica? La risposta di Berger è molto semplice: la memoria. La sua scrittura agisce sulla memoria, privata e collettiva. Le connessioni tra i diversi testi, difficile definirli, che compongono il libro, sono una sorta di autobiografia del guardare, di ciò che l'autore ha guardato, confondendo i tempi reiventando la storia.







La sintesi perfetta del contenuto di questo piccolo libro si trova in un breve testo su Giacometti, Berger  prende spunto da una fotografia  di Cartier Bresson scattata non lontano da suo studio di Montparnasse, guardare questa foto è solo l’inizio di una riflessione più ampia sull’uomo che attraversa la strada riparandosi dalla pioggia con l’impermiabile in testa, le spalle incurvate.
Quello che lo circonda, il suo stato sembra non interessargli, è un uomo solo, una sorta di monaco laico la cui religione era la propria arte, la sua solitudine eccheggia da questa fotografia, cosa cercava Giacometti?
Il postulato estremo su cui Giacometti ha basato tutta l’opera della sua maturità era che nessuna realtà, e a lui non interessava che la contemplazione della realtà, può essere condivisa. Ecco perché riteneva impossibile che un’opera fosse conclusa. Ecco perché il contenuto di ogni sua opera, piuttosto che nella natura della figura o della testa raffigurata, risiede nella storia incompleta del suo guardarla. L’atto di guardare era per lui una forma di preghiera, era diventato un modo di avvicinare l’assoluto, pur senza mai riuscire ad afferralo. Era l’atto di guardare che gli dava la consapevolezza di essere perennemente sospeso  tra essere e verità.

L’atto di guardare è da prima un gesto collettivo tutti possiamo farlo, pochi ci riescono.  Pagina dopo pagina il guardare diventa un gesto privato Berger continua a riflettere e dal suo sguardo nasce l’interpretazione dell’arte di Giacometti, la sua figura è solo l’inizio per capire. Da queste parole, inizia un viaggio il nostro viaggio quello del nostro sguardo, lui ci ha solo mostrato un modo, ora siamo soli, e ce la dobbiamo cavare senza l’aiuto di John Berger.