RICONOSCERE LA CITTA' NELLA CITTA'






Questo testo è il frutto di un progetto recente a Roma e di una rilettura del libro  La Città dialettica di O.M. Ungers.
Sono appunti disordinati, annotazioni per immagini che hanno accompagnato la scrittura, usate per riconoscere  la città nella città e raccoglie le riflessioni fatte durante la stesura del progetto.




© LG \ La città nella città 01 -2015


L'architettura negli ultimi anni sposta l'attenzione del reale verso la sua rappresentazione, il reale si trova di conseguenza sotto pressione, si indebolisce, mentre l'immagine a cui si accompagnano slogan e parole standardizzate, trionfa.
Non dimentichiamo che attraverso l’immagine l’architettura si è inserita pienamente nella cultura di massa, sono i media che hanno creato le archi-star, che hanno contribuito attraverso le loro architetture, alla trasformazione delle città in crisi, creando modelli esportabili.

In questo contesto politico culturale ogni proposta di rinnovamento urbano pensata per avere un grande impatto sull'opinione pubblica, è sempre di più legata ad un immagine di città piuttosto che ad un idea di città. L'ultimo concorso a Roma per la Città della scienza ne è la prova più evidente, grande affluenza di proposte ma poco dibattito sui risultati. Un concorso infatti è un occasione di confronto a distanza, al di là dei suoi risultati, e non unicamente la costruzione di un immagine possibile.
Secondo me è molto importante tornare a pensare la città piuttosto che costruire la sua immagine.
Pensare città sia quando s’insegna nelle scuole di architettura sia quando si progetta dentro gli studi di progettazione. Per farlo è necessario saper leggere la città, la propria città, provando a trasformarla in un modello operativo sul quale costruire un metodo di lavoro.

Creare un modello significa trovare coerenza tra certe combinazioni e posizioni fissate.
Di solito questo si fa con due, i modelli visuali e i modelli intellettivi, che servono come strumenti concettuali per strutturare la nostra esperienza e tradurli in funzioni o renderli intenzionali. Attraverso questi due modelli si è in grado di formulare una struttura oggettiva che traduce i fatti in qualcosa di più sicuro e quindi più reale. Non è nient'altro che un principio formale che rende possibile visualizzare la complessità dei possibili aspetti in un maniera più ordinata, un approccio creativo a realtà impostate sulla conoscenza di un modello. [1]

© LG \ La città nella città 02 -2015



Progettare pezzi di città oggi è un’ operazione parziale di applicazione di pochi schemi base, modificati dai diversi operatori in infinite forme. Molto spesso è difficile capire dai singoli schemi in quale città ci troviamo. Gli architetti per disegnare un luogo molto spesso dimenticano il luogo in cui si trovano.
I diversi sistemi usati, uso di tracciati vecchi e nuovi, architetture, modelli d’uso, regole commerciali vengono il più delle volte trasformati in armi ideologiche.
Ogni tentativo è naturalmente pieno di buone intenzioni, ogni architetto mette in scena la propria idea attraverso la prescrizione di regole attraverso le quali controllare i problemi delle città e la loro riduzione ad un ordine prestabilito.
Nella maggior parte dei casi il fallimento dipende da un’ impostazione errata degli sforzi da una parte, dalle interpretazioni semplicistiche delle amministrazioni dall’altra.
Si pensa troppo per contrapposizioni ed antagonismi, la politica del vecchio contro il nuovo e del radicale contro il possibile, invece che per integrazioni e stratificazioni di elementi diversi ma complementari.

Ancora c’è chi è convinto che sia necessario guardare la città come opera d’arte totale e non come semplice sovrapposizione di parti.
Ungers scrive che La città del nostro tempo non è un solo luogo, ma molti luoghi. E un prodotto complesso, sovrapposto, a più strati, dove si sovrappongono e si integrano in maniera completamente pensieri, proposte e sistemi. [2]
Mi è capitato di scrivere più volte che il problema della città contemporanea non è nella periferia e non è nel centro ma nell’intereazione tra centro e periferia nella formazione di luoghi capaci di far dialogare gli estremi. L’unitarietà deve essere sostituita con strategie urbane che si occupano di queste opposizioni tra sistemi, lo stesso Ungers nel suo testo La città dialettica[3] individua due strategie (in questo caso le strategie sono strumenti operativi e non necessitano di nessuna regola applicativa, se non l’interpretazione dei luoghi da parte dei progettisti) che sono sintetizzate in due punti:

1 La strategia dei luoghi complementari

2 La strategia della città dei layer ( che io leggo come città stratificata)

Queste strategie operative considerano la città attuale come dialettica, formata da tanti luoghi diversi, molto spesso complementari che hanno sostituito la compiutezza della città storica. Questi luoghi diversi tra loro formano un’instabile unione di densità urbane.
Nel momento in cui ci troviamo ad operare nella città contemporanea è molto importante riuscire a sviluppare un metodo di lettura ed interpretazione dei luoghi più diversi in modo da non cancellare le sue caratteristiche e riuscire a far crescere questi luoghi rispettandone le caratteristiche ma allo stesso tempo integrando le funzioni mancanti. 

© LG \ La città nella città 03 -2015


Quest’ attitudine di lettura e riscrittura amplifica le caratteristiche dei luoghi complementari, sviluppando un aspetto urbano particolare tenendo sempre conto della totalità dell’intervento, della giusta compenetrazione tra vecchio e nuovo.
E’ un modello operativo della città nella città. Ogni parte ha le proprie caratteristiche, senza essere perfezionata e conclusa. Un solo aspetto viene amplificato, ed il luogo ha un suo valore intrinseco in quanto tale che non proviene da una sua rappresentazione ideale.
In questo modello di sviluppo si cerca la molteplicità e la diversità, non l’unitarietà che invece è conservata dal luogo stesso, dalla sua memoria storica.
I luoghi di una città nascondono al loro interno delle caratteristiche, che vanno amplificate appunto, la metropoli prende forma dall’insieme di tutti questi luoghi.
E’ compito del progettista riconoscere questi luoghi nel caos, individuarne i tracciati che ci aiutano a costruirli, come sostiene Ungers questa è l’arte urbanistica della scoperta e non dell’invenzione. Non c’è bisogno di introdurre un nuovo sistema ne tecnologico né di altro tipo.[4]
Da ogni frammento si costruisce e si può sviluppare una nuova struttura urbana, che nasce dalla sovrapposizione del vecchio con il nuovo. La città dei luoghi complementari è aperta e interpretabile mista e adattabile allo stesso tempo. Una città che nasce dalla sovrapposizione di pezzi diversi che si integrano vicendevolmente oppure si contraddicono diametralmente. Ogni singolo sistema influenza disturba o modifica quello vicino. La sovrapposizione di dati di fatto, vincoli ed esigenze deforma il caso ideale dando così luogo a strutture diverse.
Come in una città storica questa città è frutto della sovrapposizione di layers la cui diversità è una risorsa che va sfruttata a livello di progetto, i singoli layer possono essere ponderati e valorizzati a seconda della loro priorità. Questo metodo ristabilisce il carattere discorsivo della città. Un processo semplice ed ordinato ma che lavora in modo sperimentale su ciò che già è presente.



© LG \ La città nella città 04 -2015









O.M. UNGERS
The dialettic city
Skira 1997 





[1]          Oswald Mathias Ungers Morphologie City Metaphors,  Verlag der buchhandlung Walther Konig Koln 1982
[2] Oswald Mathias Ungers La città dialettica Skira
[3] Oswald Mathias Ungers La città dialettica Skira
[4] op cit 2