LA SANTA MUERTE

Anime
la Fondazione VOLUME!
installazione site specific dell’architetto e designer Andrea Branzi, a cura di Emilia Giorgi.

La mostra Anime alla fondazione Volume mi ha disorientato, Branzi nell'intervista della curatrice Emilia Giorgi. Descrive la sua istallazione site specific come un saggio su una nuova “drammaturgia” del progetto” attraverso una messa in scena che diventa una sorta di manifestoredatto proprio attraverso lo spazio e gli oggetti che in esso si collocano:

Anime mette al centro dell’ulteriore riflessione il tema di vita e morte e del loro scorrere in un ciclo continuo.

Arte e Architettura sono
la messa in scena del limite invalicabile tra corporeità, anima ed immaginazione?
“Da tempo ho constatato che tutto l’apparato linguistico e i fondamenti della modernità  classica, sono scaduti. Un certo ottimismo elegante, razionale, geometrico su cui si è fondata la gran parte della modernità  ha escluso tutti i grandi temi antropologici: la vita, l’eros, il sacro, la morte, il destino degli universi animali e vegetali. Nel XX secolo altre attività  creative, come la musica, l’arte e la letteratura si sono profondamente rinnovate immergendosi nel travaglio della storia mentre la cultura del progetto ha preferito dare voce alle sole mutazioni della disciplina. Io credo sia urgente che la cultura del progetto cominci a elaborare dei linguaggi nuovi legati a una nuova drammaturgia e a nuove tematiche antropologiche.”

Branzi disegna un paesaggio buio e inaccessibile, sulle note di Whola Lotta Love dei Led Zeppelin dove, accanto a teschi, alle piante, ai frutti che sembrano lasciati come offerte votive, cerca di scavare nel lato cupo e nascosto delle nostre anime,  sembra volerle farle venire allo scoperto dai recessi della nostra memoria ancestrale, perché possiamo essere ancora in grado di recepire il loro messaggio vitale. I teschi schierati ed ordinati lungo il percorso ricordano più il culto della Santa Muerte, una figurasudamericana le cui origini sono incerte; sebbene alcuni ritengano sia legato al culto della morte precolombiano, molti asseriscono invece trattarsi piuttosto di un sincretismo con la religione Yoruba, pure diffusa sul posto. Invece che le tracce del sacro delle catacombe romane, luoghi di culto ma anche rifugio per i corpi in attesa di una celebrazione.

Un culto "popolare" non "organizzato", senza "chiesa", quello della santa muerte, arrivato recentemente alla ribalta, perchè seguito e praticato da gruppi di narcotrafficanti.

Un culto che non si svolge in luoghi pubblici, ma nell'intimità dello spazio domestico e privato.

Lo spazio, gli oggetti, l'atmosfera descrivono una condizione limite tra religione, credenze popolari, e superstizioni, che rappresenta volutamente una zona d'ombra in cui non esiste differenza tra vita e morte e che porta il visitatore ad attraversare un confine immateriale rappresentato da uno specchio che rende infinito lo spazio della galleria, completamente modificato da Branzi nel suo intervento, non esiste più un riferimento ed una direzione dello spazio rappresentato. Uno spazio infinito che non può essere percorso per intero, la sua circolarità riporta indietro il visitatore senza dargli la possibilità di attraversare il confine.

Questo limite appartiene alla nostra anima, o meglio alla nostra memoria, é difficile da raggiungere e da superare. Uno spazio interiore raccontato anche magistralmente da Innaritu nel suo Revenant, che una volta spogliato della storia di vendetta e lotta tra uomo e natura, si rivela invece simile allo spazio delle anime di Branzi, nella costruzione di una sacralità estrema dove religioni diverse si scontrano e confrontano così come i personaggi sognati, oppure ricordati dal protagonista del film.

Innaritu guarda il mondo da un punto di osservazione inusuale cercando nella natura ostile ed infinita quel limite che Branzi segna con una superficie riflettente e con oggetti d'uso rassicuranti, ma in uno spazio interno, ultimo atto della sua non stop city. Lo spazio fisico di Branzi si contrappone allo spazio della memoria del regista messicano. Al paesaggio naturale infinito ed incontrollabile, si contrappone un interno ben delimitato. Gli alberi e i cieli guardati sempre dal basso si muovono così come la luce delle lampade disegnate da Branzi. Il tema del sacro si fonde con la memoria e la spiritualità di chi osserva, forse è solo un caso ma a me sembra di soccombere sotto la pressione di questa ricerca infinita di una risposta che semplicemente vuole esplorare quel vuoto che Innaritu cerca con forza e distacco quando dichiara se lo scopo della tua vita è la vendetta, una volta che riesci a ottenerla, la tua vita non avrà  più significato. Io volevo esplorare quel vuoto. Dentro di sé  Glass ha qualcos’altro, ed è  amore. Quell'amore che Branzi da una vita coltiva con la sua ricerca senza fine sull'architettura.