EVOKED

Evoked è una delle rare occasioni in cui il progetto e il tempo del disegno coincidono in modo quasi perfetto. Trovo molto stimolante il confronto costruito attraverso una mostra con altri architetti che come me lavorano da molto tempo sulla scrittura attraverso immagini costruite in modi e con tecniche diverse. La scrittura per immagini è descritta in modo attento da Domenico Pastore uno dei curatori della mostra e del catalogo . E la scrittura leggera di due culture si intreccia e sovrappone al paesaggio mediterraneo.

EVOKED Architectural diptychs
edizioni Giuseppe Laterza2016

La costruzione delle immagini evocative
Domenico Pastore
Il disegno è un aforisma.
L’aforisma è uno strumento di comunicazione rapida [di pensieri lenti]

1

Le immagini

Le immagini fotografiche scattate da Albes Fusha nell’estate del 2015, lungo il tratto di costa che va da Lezha fino a sud di Fier, registrano l’alterazione dei rapporti tra la natura del territorio albanese e le abitazioni che l’uomo ha costruito in seguito alla caduta del regime comunista.
Nella sequenza di scatti selezionati, sono state ritratte costruzioni incomplete, abbandonate o parzialmente abitate, prive di un’immediata qualità architettonica, ma in grado di documentare le modalità con cui sono state occupate abusivamente porzioni di territorio per trasformarlo in un luogo dove abitare.
La composizione fotografica, principalmente strutturata sulla distinzione marcata tra la figura e lo sfondo, sottolinea la condizione isolata e marginale in cui sono calate le costruzioni, conferendo una aura monumentale a questi oggetti in-significanti, incapaci di veicolare alcuna forma o senso dell’abitare, ma al contempo capaci di evocare potenziali riscritture architettoniche.

Indifferenti alle peculiarità orografiche in cui vengono erette, queste costruzioni si antepongono alla scena degli accadimenti, filtrando il paesaggio circostante e occultandone porzioni attraverso diverse modalità di chiusura dello spazio interno e di ancoraggio al suolo. L’interruzione dell’andamento delle emergenze montuose sul fondo dell’immagine, viene risarcito dalla profondità di veduta recuperata in basso, dove la costruzione trova il suo appoggio. Lo spazio a piano terra, su cui è proiettata l’ombra dell’abitazione sovrastante, appare scandito dai pilastri perimetrali che, liberi da connessioni murarie, permettono di stabilire un rapporto osmotico con l’intorno circostante.
Questa condizione, sebbene nasca per mere esigenze funzionali - la salvaguardia dell’abitazione da possibili inondazioni quando viene edificata su terreni di bonifica, la possibile occupazione da parte dei familiari in futuro o il potenziale utilizzo per destinazioni commerciali- conferisce a questi oggetti una particolare modalità insediativa, che paradossalmente appare come una forma di rispetto per la terra su cui sorgono.
In tutte queste immagini fotografiche è possibile riconoscere come
“l’icona dello scheletro, potente strategia concettuale, diviene quindi la matrice della costruzione urbana senza descrizione, una vera e propria invasione della crosta terrestre attraverso la definizione plastica di una nuova geografia attiva nella duplicazione di quella naturale. Lo scheletro parte da un dato assolutamente concreto: una colata di cemento con dei sostegni e null’altro”

2.
La bellezza del paesaggio albanese appare definitivamente corrotta dalla rigidità degli scheletri in cemento armato, che ne misurano la distanza e ne scandiscono la sequenza in frammenti crudelmente raggelati nei contorni dei telai o sfregiati dall’articolazione di solette rampanti.
Questo spazio sottratto alla natura si rivela come una sorta di scrigno in cui è custodito un buio atavico in attesa di vita o già avviato all’ingentilimento, con finiture che rimandano agli stilemi dell’agiatezza occidentale.
Il mistero che trapela dai tagli brutali delle aperture, prive di protezione, ricavati nelle murature perimetrali e dalla oscurità nascosta al di là di quei diaframmi provvisori, introduce in queste immagini la vacuità di quelle costruzioni erette senza necessità ma dettate da una volontà di emancipazione dal contesto di appartenenza.
Nella scelta dei soggetti e delle modalità d’inquadratura, si rileva l’impellenza di evidenziare i tratti che accomunano e caratterizzano queste costruzioni, secondo dei princìpi e delle invarianti che rendano visibile le modalità con cui l’unità abitativa può, secondo una tempistica dettata dalla crescita della famiglia, subire degli incrementi additivi di spazi a servizio del nuovo nucleo.
Il potenziale espresso dalle costruzioni viene raffigurato dall’incompletezza e dall’anomala collocazione di alcuni elementi, che rendono possibile una stratificazione in verticale.
L’inquietante presenza nel paesaggio è stata documentata attraverso tre diversi tipi di inquadrature:

-immagini frontali a campo medio, che riducono il volume alla bidimensionalità del prospetto su strada, inteso come espressione della sensibilità estetica dei proprietari maturata in seguito alla permanenza in paesi occidentali, o come dichiarazione dell’attività commerciale per mezzo d’insegne dagli aspetti variegati e multiformi;

- immagini scorciate, che delineano i contorni informi del volume edilizio e svelano l’articolazione degli spazi in relazione ai potenziali sviluppi in elevazione;
In queste immagini sono ben evidenti gli elementi di relazione con lo spazio esterno, quali il portico o la loggia di affaccio che registra il mutato rapporto con l’intorno circostante: da suolo produttivo a veduta paesaggistica:

-immagini a campo lungo, in cui gli edifici perdono l’immediata riconoscibilità di abitazioni fondendosi con la natura ed ergendosi nel paesaggio come architetture templari cariche di drammaticità.
La sospensione temporale sottesa in queste riprese, in cui le abitazioni sembrano aver raggiunto un limite ambiguo tra l’essere una rovina di un qualcosa che lentamente si sta sgretolando, e la costruzione incompleta di un’architettura a venire, permette una sorta di riconnessione con le raffigurazioni pittoresche del XVIII secolo, conferendo sacralità ad oggetti nati con finalità speculative.
Allo sguardo del fotografo, che tenta di dare una visione soggettiva del fenomeno, è stato associato un approfondimento analitico degli oggetti attraverso l’elaborazione di rappresentazioni assonometriche in grado di verificare, e documentare, i rapporti tra le parti, astraendole dal contesto d’origine per esaminarle nell’incompiutezza formale e nella precaria risoluzione visiva.
Da queste rappresentazioni, disegnate al tratto, è possibile evidenziare come la struttura intelaiata governa l’articolazione dei volumi e diventa ossatura sulla quale si impostano le parti di chiusura che definiscono i volumi incompleti delle fabbriche.

Riconoscendo che “ il potere risolutivo della linea è infatti l’unico mezzo di cui si dispone per comprendere con esattezza soddisfacente la struttura dei corpi che compongono il mondo visibile.

3.
,si è tentato di restituire delle immagini di queste costruzioni in grado di definirsi come oggetti di indagine e ricerca. Nelle visualizzazioni dal basso è possibile riconoscere l’impronta puntuale e discontinua con cui è stabilito l’appoggio sulla terra e il rimando “inconsapevole”

4
al modello modernista della maison Dom-ino, svincolato dalla logica aggregativa ed eletto a unità minima isolata. La rigida demarcazione degli elementi che li compongono, separata chirurgicamente dalla bellezza disomogenea del paesaggio di appartenenza, rivela nitidamente le sgrammaticature,  le imperfezioni e la crudezzainsita in questi fabbricati eretti senza una prefigurazione

5.

progettuale e ora disponibili ad una radicale trasfigurazione. Senza voler elogiare la spontaneità di queste fabbriche, come avviene nella

Architettura senza Architetti

6. o dellaLibertà di costruire

7.
si è provato ad interrogarsi sulle potenzialità di queste costruzioni incompiute e verificare se “posseggano elementi positivi da cui imparare, concetti da assorbire e pratiche complesse da mutuare, sia per la loro trasformazione, che a disposizione per progetti ex novo

8.
Le trasfigurazioni

L’approfondimento della ricerca su queste costruzioni è stato condotto assegnando, agli architetti di entrambe le nazionalità, il tema della formulazione di un pensiero grafico sull’incompiuto albanese, partendo da una delle sedici fotografie scattate da Albes Fusha.
Per ogni coppia di architetti, scelti dai curatori dei rispettivi paesi, è stata assegnata una delle immagini che poteva essere vicina ai loro ambiti di interesse, e al contempo fosse un pretesto visivo per innescare un possibile dialogo a distanza sulla stessa immagine, dichiarando così la propria posizione sull’architettura informale.
La struttura del dittico è stata pertanto assunta non solo come formula espositiva degli elaborati, ma anche come modalità di lettura della trasfigurazione della stessa immagine da parte di due autori che, all’insaputa della combinazione stabilita, potessero rendere visibile la migrazione dell’immagine di partenza in diversi campi del pensiero immaginifico.

Nella definizione “l’architettura oggi non è altro che un’operazione di riscrittura di un testo già scritto, un aggiungere o meglio un togliere a qualcosa che già esiste, in forma compiuta

9.
è forse condensato lo spirito con cui sono stati coinvolti in questa sperimentazione tutti gli autori.

La possibilità di trasfigurare, attraverso l’utilizzo di tecniche di rappresentazione libere, le costruzioni riprodotte nelle fotografie ed intenderle come testi interrotti, abbandonati o appena abbozzati, ha condotto a risultati diversificati generando una sequenza di “doppi” interpretativi che si strutturano, sostanzialmente, in un diverso modo d’intendere l’immagine di partenza e in diverse modalità di alterazione della figura in relazione con lo sfondo e viceversa, individuando altre forme o destinazioni che dichiarano un visione politica sul fenomeno

10.
L’approccio differente con cui si concretizza la risposta figurativa e testuale è riconducibile ad azioni elementari, che partendo dalla proiezione di una necessità architettonica ne descrivono la forma o ne denunciano l’assenza.

La STRATIFICAZIONE di segni e figure, rielaborando in un ordine nuovo la condizione originaria e permettendo una sedimentazione di prospettive future, è stata l’operazione adottata da una parte significativa di architetti. La possibilità di veicolare con immediatezza il pensiero progettuale è connaturata nella tecnica del fotomontaggio

11.
in quanto permette la compresenza nella stessa immagine di porzioni significative della condizione originaria e l’innesto di nuovi elementi che la alterano.

Nelle immagini, così elaborate, si annullano le distanze temporali e spaziali tra raffigurazioni impiegate, riconducendole ad una condizione di simultaneità in cui si destabilizza l’ordine e la successione degli accadimenti. “ Con il collage si realizza qualcosa di nuovo a partire da ciò che abbiamo, si reinventa il passato e si creano nuovi collegamenti tra cose e persone

12.
rivelando con maggiore immediatezza il nuovo equilibrio raggiunto e rendendo visibile l’idea d’architettura che si intende veicolare.

In questa azione è insita la possibilità di visualizzare non solo le nuove relazioni con il contesto circostante, ma anche incrementare la densità delle costruzioni, al fine di ritrovare un senso collettivo e una riconoscibilità in un paesaggio privo di riferimenti architettonici.
L’INDIVIDUAZIONE di parti significative, cariche di drammaticità o figure archetipe, sulle quali si operano delle estensioni smisurate, denuncia il bisogno di accogliere quello stato di abbandono come una condizione da cui partire per poter conferire a queste costruzioni la dignità dell’architettura costruita.

13.
L’ALTERAZIONE dell’immagine seguendo processi deformativi di elementi preesistenti, scandisce i tempi di variazione della forma che tenta di trovare una necessità nel paesaggio originario. Il dinamismo insito in queste immagini raggela un processo di rappresentazione che non si conclude in una immagine definitiva, ma la individua come una configurazione possibile prima che possa diventare architettura.

L’IBRIDAZIONE di diverse tecniche di rappresentazione sia digitale che manuale ristabilisce un contatto tra diverse modalità d’interpretazione della realtà dove i limiti dell’una vengono integrate dall’altra e viceversa, in un rapporto di “solidarietà” espressiva e rafforzamento figurativo. Le nuove raffigurazioni così appaiono migrare da una dimensione immaginifica all’altra riattivando un movimento del pensiero verso la rappresentazione del soggetto architettonico.

L’ELIMINAZIONE di un immediato rimando alla raffigurazione di partenza, dalla quale si colgono solo degli elementi di riconoscibilità, sovverte la rappresentazione iniziale e introduce una visione che si struttura sulla riscrittura astratta, mescolata con la biografia personale e i modi di vedere

e controllare il progetto. Questa operazione concettuale è segnata da una forte astrazione dell’immagine raggiunta, e catapulta le costruzioni in altri campi dell’immaginazione e del pensiero critico

14.
dai quali si crede di dover ripartire per poter ricostruire un’idea di architettura in grado di farsi città.

La REITERAZIONE ossessiva di infinite modalità di variazione di un testo apparentemente bloccato, costituisce una dimostrazione di come il limite tra la scrittura e il disegno diventa labile se sapientemente articolato e declinato sull’oggetto di partenza da cui si scorporano elementi e invarianti che evocano la rappresentazione originaria senza però riproporla interamente.

15.
La RIDUZIONE dell’immagine di partenza a mero disegno, attraverso il riconoscimento dei contorni che rimandano alla tridimensionalità e l’annullamento delle variazioni superficiali degli elementi, non rivela immediatamente la rappresentazione dell’intervento, confondendolo, invece, in un naturale sodalizio con la condizione di partenza, spostando così il campo d’azione dalla sperimentazione formale alla ridefinizione funzionale e concettuale dell’edificio.

La CITAZIONE e il ready made di immagini note come strumento di evocazione di un pensiero sull’architettura, si struttura secondo modalità differenti e raggiunge risultati di altra natura espressiva.

In questa operazione non si tenta di dare una immediata risposta formale o spaziale al fenomeno, ma attraverso l’atto provocatorio e di denuncia di uno stato delle cose si cerca di ergere l’immagine a veicolazione immediata di una posizione politica

La REINVENZIONE del luogo, in cui sono collocati i nuovi corpi, non consiste in una banale riscrittura delle condizioni naturali, ma nell’intendere la natura come protagonista della scena e nell’affidare a questa il compito di governare e dirigere il desiderio di occuparla e possederla.

Azzerato, riflesso e ri-naturalizzato, il paesaggio delle costruzioni incomplete è stato assunto non come sfondo degli accadimenti, ma come materia e sostanza figurata con cui elaborare le tensioni e i desideri di trasformazione, caricandosi del compito di ricucire un legame con l’architettura.

16

Nelle opere presentate si riconosce, in definitiva, un ruolo preciso della rappresentazione, intesa non solo come mezzo ma soprattutto dispositivo in grado di rinnovare la domanda sul nostro modo di vedere e trasformare quegli oggetti incapaci di evocare architettura.

1. B. Servino,

Obvius

, LetteraVentidue, 2013 p. 97

2. C.Gambardella,

Centomila Balconi: Per una bellezza dei quartieri italiani

, Alinea, 2005 p.55

3. F. Purini,

Disegnare Architetture

, Editrice Compositori 2007 p.42

4. “I quartier d’autore e quelli della speculazione edilizia hanno in comune il concetto di un’ossatura infinitamente ripetibile che concede migliaia di impercettibili variazioni all’interno di una serie di scelte semplici: Lo scheletro immaginato da Le Corbusier è L’inconscio della modernità.

L’intuizione agisce secondo manifestazioni inattese

. Questa didascalia fiduciosa, utilizzata dalla prospettiva Dom-ino per calcare, trionfante, la scena del novecento sembra essere l’iscrizione del suo inventore al club del Taylorismo e del progresso” in C.Gambardella,

Centomila Balconi: Per una bellezza dei quartieri italiani

, Alinea, 2005 p.55

5. “

La cabanne rustique

di Laugier o le opere di ingegneria (i silos, le navi ecc..) ammirate da Le Corbusier sono edifici privi di disegno e non esistono’ come ar­chitetture, finché qualcuno non ne celebri il rito della rappre­sentazione. Né lo sono quegli edifici distrutti di cui non si con­serva memoria iconica ma accurate descrizioni. In sostanza le potenzialità segniche di un edificio si manifestano non appena ci si applichi alla rappresentazione: solo allora la cosa costruita o descritta o vissuta nella memoria o più o meno razionalmente immaginata, è confrontabile con altre rappresentazioni e può essere riportata all’interno del discorso critico” in Angelo Ambrosi,

L’architettura nel suo statuto di Rappresentazione

, 1996 in L’arte e le arti, edito

Paolo Pellegrino

6. Bernard Rudofsky,

Architecture WithoutArchitects: A Short Introduction to Non-pedigreed Architecture

,Rizzoli, 1964

7. John F. C. Turner, Robert Fichter, 

Libertà di costruire

, Il saggiatore, 1979

8. Gaetano Licata,

Maifinito

, Quodlibetstudio, 2014,

p. 13

9. Luca Galofaro,

Per una poetica dell’interpretazione

, 2013 p. 12 in Dromos 03| 2013 Poetica

10. Il disegno non è più, solamente, uno strumento per registrare e controllare la complessità del progetto, ma diventa innanzitutto un soggetto estetico autonomo, con una individualità formale indipendente dalla realtà, capace di rappresentare una teoria del progetto e una visione politica del mondo. ” in Luca Molinari,

Il disegno è morto. Viva il disegno

, 2012 in Domus 956 marzo 2012 p. 69

11. M. Magagnini,

PICarchitecTure. Il medium è il montaggio.

, LetteraVentidue 2013

12. Carmelo Baglivo,

Disegni Corsari

, Libria 2014 p.12

13. “Ma per poter essere condivisa [la pietas] deve essere riconosciuta. Deve essere rappresentata [la pietas] in UNA FORMA GENERATA DAL BISOGNO. Deve mostrare fiera la sua genesi, ma assumere anche una dimensione dilatata ipertrofica ciclopica smisurata. Ma ancora riconoscibile. Una anamorfosi liberatoria e immaginifica. ”  B.Servino,

MonumentalNeed

, LetteraVentidue, 2012 p.10

14. “Per questo l’architettura deve basare il suo sviluppo su modelli teorici di riferimento che, pur cambiando forma ed espressione, siano capaci di mantenere inalterate le loro caratteristiche intrinseche. L’architettura deve essere vista come convergenza momentanea dello spazio ideale e di quello reale.” in

IAN+, Modelli

, Libria, 2010 p. 13

15. “La cultura architettonica non è quasi mai pensiero originale e geniale. Le idee e il pensiero umano, in generale, nascono dalla composizione/scomposizione d’informazioni che esistevano prima di noi e che entrano presto o tardi, nel nostro bagaglio di conoscenze, per poi trasmettersi di nuovo verso l’esterno, magari con qualche variazione”. in Luca Silenzi,

Conosci il tuo [archi-]meme

, 2012 in Domus 956 marzo 2012 p.75

16. “Tenerli qui uno dentro l’altro. Nell’ordine di un’altra appartenenza. Voglio diventare una natura così. Altra. E risarcire i danni.” in D. Vargas,

Opere e Omissioni

, LetteraVentidue, 2014 p.90

The conception of evoking images

Domenico Pastore

The drawing is an aphorism.

The aphorism is a tool for rapid communication

[of slow thoughts]

1

Images

Albes Fusha’s photographs have been taken during the summer of 2015, along the coastal road stretching from Lezha down to Fier, and record the alteration of the relationship between nature and those constructions of the Albanian territory that man has built after the fall of the communist regime. In the range of selected shots, we have incomplete, abandoned or partially occupied buildings, without an evident architectural quality, documenting how man has illegally occupied large areas of land and turned it into a place for living.

The photographic composition, mainly structured on a marked figure-ground distinction, emphasizes the isolated and marginal condition in which these buildings fell, giving those un-meaningful objects a monumental feature. Informal constructions, while being incapable of conveying any convenient form or way of living, evoke potential architectural overwriting.

Indifferent to the geographical features of the places where they have been constructed, these buildings occupy the scene where the events take place. Through different ways of enclosing the interior space, implying peculiar footprints on the ground, the frames filter out and conceal portions of the surrounding landscape. The depth of the view on the ground, framed by the pillars supporting the building, compensate for the interruption of the mountainous landscape on the background. Perimeter pillars freed from horizontal connections shape the space on which the shadow of the construction above is projected. Thus, the ground floor establishes an osmotic relationship with the natural environment.

Informality gives these houses a peculiar mode of settling that paradoxically appears as a form of respect for the land on which they lie, even though in reality they meet mere functional needs (protection from possible floods in flatlands, a possible further occupation by the family in the future or the desirable use for commercial purposes).

In all of these photographs we can recognize ‘l’icona dello scheletro, potente strategia concettuale, diviene quindi la matrice della costruzione urbana senza descrizione, una vera e propria invasione della crosta terrestre attraverso la definizione plastica di una nuova geografia attiva nella duplicazione di quella naturale. Lo scheletro parte da un dato assolutamente concreto: una colata di cemento con dei sostegni e null’altro’

2

.

The beauty of the Albanian landscape seems to be equivocally corrupted by the rigid reinforced concrete skeletons that measure territorial distances and scatter the view, brutally framed by structures or scratched by hovering concrete landings, in fragments. This space taken from nature reveals itself as a sort of treasure chest containing an atavistic dark space within, waiting for life or better aimed at achieving refining finishes that refer to the style of Western wealthy houses. The mystery that transpires from the brutal cuts of the unsecured openings on the exterior walls, hides a deep darkness beyond provisional partitions, namely images of emptiness, erected without necessity but driven by a desire for emancipation from the context where they lie.

Moreover, the selection of the visual research subject and the type of the framing

aims at revealing the common traits that characterize each building according to those principles and patterns that allow the domestic unit expand based on the growth of the family, adding further spaces for new dwellers. The potential shown by the construction is unveiled in its unexpected incompleteness featuring certain elements that could cause a future vertical layering of domestic spaces.

Three different types of framing capture the disturbing presence of informality on the Albanian coast:

- Front medium shot, which reduces the volume of the construction to the two-dimensions of the façade overlooking the road. It is an expression of the owner’s aesthetic sensibility, often conveyed after his stay abroad, or even a statement of a certain business by means of varied and multiform signs.

- Foreshortened shot, which outline the contours of the building in order to reveal the spatial volume in relation to a possible superimposition atop the roof. In these pictures, elements such as porches or loggias establish a close relationship to the outer space, showing how informal constructions engage and adapt to their environment. Ranging from arable land to landscape contemplation.

- Long shot, in which the image loses its direct contact, merging with nature and standing up on the landscape as a classical temple in dramatic position. Given the suspension of time in these shots, where the houses reach an ambiguous status between being a ruin of something that is slowly crumbling and the incompleteness of an architecture to come, some kind of reconnection to the picturesque representations of the eighteenth century is appropriate and lets the informal houses created by speculative purposes have a degree of sacredness.

To the eye of the photographer, who attempts to give a subjective view of the phenomenon, has been associated an analytical axonometric drawing to explore the relationship between the parts. The latter have been abstracted from the context and analysed in terms of formal incompleteness and visual uncertainty.

Wireframe representations show how the skeleton frame structure shapes the articulation of volumes and becomes the backbone on which one sets the enclosures that define the incomplete volumes of the building.

Maintaining that ‘the decisive power of the line is the only means for a sufficient and exact understanding of the structure of bodies of the visible world; the line unites and separates’

3

, the image of these buildings can be defined as our objects of investigation and research. The lower axonometric view discloses the punctual and discontinuous footprint on the ground and an ‘unaware’

4

reference to the modernist model of the

Maison Dom-ino

, freed from its settling logic and chosen as a minimum isolated unit to be reiterated.

The strict individuality of the architectural elements, which are surgically separated from the beauty of the uneven landscape, clearly reveals solecisms, imperfections and rawness that is intrinsic in constructions erected without a clear design

5

and now available for a radical transformation.

Without any intention to praise architectural spontaneity, as in

Architecture without Architects

6

or in

Freedom to Build

7

, we seeked to explore the potential of these unfinished constructions and discern whether they ‘possess positive elements that we can learn from, concepts that we can absorb, and complex practices that we can borrow, both to transform those same buildings and use them in brand-new projects’

8

.

Transfigurations

In-depth analysis on the constructions has been conducted by selecting architects of both nationalities to formulate a vision on

Albanian informality, based on sixteen shots by Albes Fusha. Each combination of architects, chosen by the editors of the respective countries, manipulated an image that could be close to the authors’ sensibility, as an opportunity to trigger a possible distance-dialogue over the same construction, declaring a personal position on informality. Thus, the diptych is both the formula of the exhibition and the way different transfigurations take place on the same issue, where the original image migrates in all fields of aesthetics.

The following definition condenses the premises on which 32 architects got involved in the

Evoked

visual research: ‘architecture today in nothing more than an operation of rewriting a text that is already written, an addition or rather a removal of something that already exists, in a finished form’

9

. Different outcomes transfigured each picture as a broken, abandoned or in embryo text by using mixed techniques of representation. A different way of understanding the base image and different modes of alteration of the figure in relation to its background gathered a sequence of ‘double’ interpretations, where new custom shapes and uses offer multiform visions on the policies to face the phenomenon

10

. The approach leading to the figurative and textual outcome can be conceptualized in elementary actions, which speculate on an architectural need to design a new formal interpretation or its absence:

LAYERING of signs and figures, reworking in a new order and allowing a settling of future possibilities. The operation has been adopted by a significant number of architects. The technique of collage

11

conveys an immediate possibility of sharing one’s design thinking, since it allows the simultaneous presence, in the same image, of significant portions of the original grafted with new elements. These collages reduce any temporal discrepancy between the elements of the figuration, achieving a simultaneous visual balance in which a new order replaces the existing one. ‘Through the collages we can make something new form what we have, we can reinvent the past and create new connections between things and people’

12

, disclosing the architectural idea by achieving a new visual balance. The action of layering implies the possibility to visualize new relations with the context, as well as increases the architectural density, with the aim of finding again a new collective meaning of the Albanian landscape that has no architectural landmarks.

IDENTIFICATION of important fragments with a dramatic charge, or archetypal figures on which the architect conducts limitless extensions, denouncing the need to rework the neglected status as a condition from which to arise the dignity of informality to that of architecture

13

.

ALTERATION of images according to re-elaborations of existing elements, shaping the formal pattern that finds its necessity in the original landscape. While informal constructions imply an attitude toward change with no fixed outcome, the visions freeze certain configurations that have their figurative power in disclosing possible scenarios.

HYBRIDIZATION of different techniques of representation, both digital and manual, establishes a new contact with reality, where the two integrate each other’s limits in a relationship of figurative integrity and expressive strength. The imaginative thinking reactivates the movement of the object that migrates from one dimension to another.

REMOVAL of any direct reference to the base image, from which we capture only few hints, and subversion of the initial representation by the introduction of abstract

rewritings, mixed with personal biographies and design thinking. The conceptual operation is firm, it achieves a high degree of abstraction and pushes the building to the edge of imagination and critical thinking

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, from which we can shape a new idea of architecture, eligible to be further developed.

REPETITION of infinite patterns and variations on an apparently blocked text, on which the line between writing and drawing becomes unstable. The original construction, if carefully elaborated, can be sampled and evoked as a fragment, avoiding its entire visual reproduction

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.

REDUCTION of the base picture to a mere drawing, by means of the recognition of the contours that refer to the three-dimensionality and the abolition of any superficial variation of the elements. Although the elaboration does not immediately reveal the intervention of the author, being blended in a natural association with the starting condition, it shifts the scope of the formal experimentation to the functional and conceptual redefinition of the building.

SAMPLING of well-known images as an instrument of evocation of architectural thinking. It is structured in different ways and achieves various expressive results. This action does not provide an immediate formal or spatial response to the phenomenon, but it show a personal position through the act of provoking or denouncing a certain state of things using the image as a

medium

.

REINVENTION of the site in which the new pieces have been placed. This action is not an ordinary rewriting of natural conditions, but it rather understands nature as the protagonist of the scene, and entrusts nature for governing and channelling the desire to occupy and possess the environment.

Cleared, reflected and re-naturalized, the landscape of incomplete constructions was not meant to be a background for the events but rather a subject and figurative substance that can lead to projects and desires of transformation, having the task of repairing the link with architecture

16

.

We can recognize, in the works presented, the ultimate role of representation that is intended to be a device (as well as a means) capable of renewing our demand of seeing and transform those objects that are not yet able of evoking architecture.