LA FINE DELL'UTOPIA
SUPERSTUDIO
Opere1966-1978
a cura di Gabriele Mastrigli
Quodlibet 2016
Negli ultimi cinquant'anni qualcosa è cambiato. In questi giorni il livello delle acque della Senna per le forti piogge preoccupa gli abitanti della capitale francese. Olivier Campagne e Vivien Balzi hanno raccontato la città che affonda in un piccolo film. Fotogramma dopo fotogramma Parigi si specchia in maniera quasi compiaciuta nell'acqua che invade le strade, lambisce i monumenti, fino a raggiungere la Piramide del Museo del Louvre, forma archetipo che invece di sciogliersi nell'acqua come le forme di sale della Moglie di Lot [1] , si specchia in quella stessa acqua che quasi cinquant'anni prima aveva distrutto la città di Firenze ma aveva prodotto un'Utopia trasformatasi nel tempo in realtà, il monumento continuo.
L'acqua che aveva superato gli argini del fiume Arno nel 1968 aveva rotto anche gli argini dell'immaginazione di alcuni giovani architetti fiorentini, che avevano trasformato una catastrofe in una possibilità per l'architettura. L'inondazione di Firenze è stata per i Superstudio il punto di partenza per un viaggio lungo una vita che li riporta dopo cinquant'anni al centro della scena al MAXXI di Roma.
Ma torniamo a Parigi e al piccolo film elegante e raffinato, specchio dei nostri tempi, che ci mette di fronte a un qualcosa difficile da accettare. Nel nostro tempo, nella nostra cultura, non c'è più spazio per l'Utopia, rimane solo il tempo per contemplare il reale, perché l' Utopia è perduta per sempre.
Superstudio indagando il significato dell'architettura nell'epoca della società dello spettacolo di fronte a queste immagini non avrebbe potuto cominciare il suo viaggio di formazione, l'immaginario di questo nostro tempo appare sempre di più bloccato e rinchiuso in se stesso, incapace di provocare reazioni. Può solo essere osservato attraverso uno schermo. Ecco cosa è cambiato. Negli ultimi mesi il lavoro di Superstudio è stato presentato, vivisezionato e reinterpretato in libri e pubblicazioni diverse e poi infine celebrato da una grande retrospettiva al MAXXI di Roma e da un libro monumentale, che mette ordine in un archivio ricco di parole e immagini capaci ancora oggi di produrre significato. Perché Superstudio è stato capace, al contrario di altri gruppi Radicali, grazie al metodo di lavoro e alla combinazione felice dei suoi fondatori, di creare le condizioni utili per prefigurare un futuro per l'architettura allargando il campo della disciplina, ma specialmente cambiandone il punto di vista. Superstudio ha guardato in un'altra direzione, catalogando il reale e interpretandolo in modi sempre diversi, non avendo paura di cambiare, di rimettersi in discussione e infine di abbandonare il campo, di comune accordo, nel momento esatto in cui non si poteva andare oltre. Quando il loro disegno unico ridotto all'essenziale ha dimostrato che ogni ricerca della modernità era destinata prima o poi al fallimento.
“Il nostro lavoro si è sempre svolto per inventari e cataloghi, e forse l'unico lavoro oggi possibile è l'autobiografia come progetto di vita. Dal 1965 al 1968 abbiamo lavorato con la convinzione che l'architettura fosse un mezzo per cambiare il mondo. I progetti erano l'ipotesi di trasformazioni fisiche, erano modi di ipotizzare qualità e quantità diverse. Questi progetti sono stati raccolti nel primo catalogo: un viaggio nelle ragioni della ragione. Un viaggio come Pilgrim's progress, o guida per i giovani architetti, attraverso l'architettura dei monumenti, l'architettura delle immagini, l'architettura tecnomorfa, l'architettura della ragione… “ (1969)
Un'Architettura critica, la loro, capace di porre continue domande invece che formulare risposte capaci di salvare il mondo, perché il mondo non possiamo salvarlo solo attraverso l'architettura. Nel 1967 scrivevano: è la poesia che fa abitare, la vita si svolge non solo in scatole ermetiche per piccole vite parallele, ma anche nelle città e nelle auto, nei supermarket e nei cinematografi... Luoghi oggetti di racconti, che l'architettura completa e custodisce, in un viaggio ai confini della razionalità. Il libro che accompagna e dilata la mostra, ripropone tutti i cataloghi e i progetti di Superstudio ed è la prova tangibile di come ancora oggi sia possibile leggere il mondo con quello sguardo disincantato ed entusiasta, come quella curiosità antropologica che crede nell'importanza di guardare all'uomo come soggetto politico superando linguaggi ed espressioni totalizzanti.
La mostra al MAXXI dovrebbe essere un viaggio obbligato per tutti, perché è una mostra diversa, in cui il curatore non si limita ad elencare e mettere in fila parole e immagini, storicizzandole, ma come un direttore d'orchestra guida le voci dei membri del Superstudio a intonare una via dei canti che ha cercato di indagare il presente pensando in ogni momento al futuro. Ogni nota e ogni frammento di questo canto sembrano indicare una direzione diversa ma in realtà descrivono un sogno durato cinquant'anni, un sogno in cui l'architettura è protagonista. “Crediamo in un futuro di architettura ritrovata, il futuro in cui l'architettura si prende suoi pieni poteri abbandonando ogni sua ambigua designazione e ponendosi come unica alternativa alla natura. La terra resa omogenea dalla tecnica dalla cultura e da tutti gli altri imperialismi.” Ogni sezione non è spiegata dal curatore, nel modo di chi cerca di interpretare e guidare alla lettura. Lascia il campo alle parole dei protagonisti che con un frammento dei loro testi ricordano, guidandoci in un viaggio attraverso la memoria. Tocchiamo così un'idea di architettura, toccandola impariamo a conoscerla. Una mostra pensata come un viaggio che mi riporta alla mente una frase di Bruce Chatwin che descrive la tradizione orale del popolo Aborigeno.
“Ancora oggi, disse Wendy, quando una madre aborigena nota nel suo bambino i primi risvegli della parola, gli fa toccare le cose di quella particolare regione: le foglie, i frutti, gli insetti e così via. Il bambino, attaccato al petto della madre, giocherella con la cosa, le parla, prova a morderla, impara il suo nome, lo ripete e infine la butta in un canto. Noi diamo ai nostri figli fucili e giochi elettronici, disse Wendy. Loro gli hanno dato la terra.”
In questa mostra i Superstudio ci hanno ridato la terra come luogo per l'architettura, la abbracciamo per la prima volta sfogliando immagini e architetture, idee e non oggetti, concetti e non una lingua da riprodurre o imitare.
“Oggi più che mai gli uomini dovevano imparare a vivere senza gli oggetti. Gli oggetti riempivano gli uomini di timore: più oggetti possedevano, più avevano da temere. Gli oggetti avevano la specialità di impiantarsi nell’anima, per poi dire all’anima che cosa fare.”
Qualcuno di recente ha detto che non c'era bisogno di una mostra monografica sul Superstudio, perché le mostre monografiche non sono necessarie. Si sbagliava, solo una ricerca attenta sulle tracce disseminate confusamente nella storia, e l'ordine di un archivio come questo fatto soprattutto di parole (in mostra c'è anche un volume curato da Gabriele Mastrigli con le foto di Stefano Graziani). Non perdetelo, anzi confrontatelo con le opere e le fotografie di Cristiano Toraldo di Francia per estrarre da questo sguardo diverso e molto personale altri aspetti del loro lavoro. Può spiegare tante cose a chi ha guardato fino ad oggi solo le Immagini che hanno prodotto.
Esiste un pericolo concreto, quello di riprodurre questo immaginario senza attualizzarlo, allora prima di farlo leggete queste Opere
con grande attenzione e ritornerete al punto di partenza, alla frase di Jorge Luis Borges che apre il libro:
“Un uomo si propone lo scopo di disegnare il mondo. Col passare degli anni popola uno spazio di immagini di regioni, regni, montagne, golfi, navi, isole, pesci, case, strumenti, astri, cavalli e persone. Poco prima di morire scopre che questo paziente labirinto di idee traccia l'immagine del suo volto.”
Il testo è stato pubblicato sulla rivista Mappe.
Istallazione che il Superstudio presentata per la prima volta alla Biennale di Venezia del 1978.
Bruce Chatwin, Le Vie dei Canti, Adelphi, varie edizioni.
: Opere 1966-1978, a cura e con un saggio introduttivo di Gabriele Mastrigli, “Antefatti” di Cristiano Toraldo di Francia.