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#2 Orleans Biennale_ YEARS OF SOLITUDE

January 22, 2020 by luca galofaro in Architecture 2017, Catalog 2017

Abdelkader Damani - Luca Galofaro
Years of Solitude
Les Presses du réel 2019
 

«Dove sono gli uomini?» riprese poi il piccolo principe. «Si è un po' soli nel deserto...» «Si è soli anche fra gli uomini» disse il serpente. (Antoine de Saint-Exupéry)

“Tutta l’infelicità degli uomini deriva da una sola causa: dal non saper restarsene tranquilli in una camera.” (PAUL AUSTER_ l’invenzione della solitudine)

Prima di arrivare al verso finale, aveva già compreso che non sarebbe mai più uscito da quella stanza, perché era previsto che la città degli specchi (o degli specchietti) sarebbe stata spianata dal vento e bandita dalla memoria degli uomini nell'istante in cui Aureliano Buèndia avesse terminato di decifrare le pergamene, e che tutto quello che vi era scritto era irripetibile da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent'anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra.
[Gabriel García Márquez, Cent'anni di solitudine, traduzione di Enrico Cicogna, Mondadori, 1982.]


Se pensiamo alla città di Macondo, dove la realtà si confonde con la fantasia. E se consideriamo questa città, frutto dell’invenzione di Garcia Marquez, come una metafora dell’architettura, una reinvenzione senza fine dello spazio e del tempo della memoria, allora Macondo ci appare come uno spazio vissuto che racconta di noi, della nostra solitudine nel mondo che cambia.
È una storia che si ripete ogni volta che un architetto disegna sulla carta, sullo schermo di un computer, la forma di un edificio che verrà costruito; ogni volta che un urbanista traccia il piano di una città. Il disegno è una testimonianza del futuro che sarà.
Mettere in mostra disegni idee e scritture che raccontano il tempo che è stato o quello che sarà, e non progetti finiti e realizzati, è secondo noi lo scopo principale di un curatore di architettura.
Significa in un certo senso trasformare il museo in un progetto, un luogo della finzione che in realtà ci permette d’intervenire sul reale. Questo è ciò che abbiamo tentato di fare pensando questa Biennale di architettura. Ancora una volta abbiamo cercato di scrivere un racconto senza compilare una lista.
La prima biennale di Orleans è stata una mostra di frammenti in questa nuova edizione mettiamo a confronto paesaggi, fisici e mentali. La mostra è un punto di osservazione privilegiato per capire il mondo che cambia.
Nella prima biennale era la relazione tra i pezzi a costruire il significato oggi è la relazione tra i diverse modi di guardare dei curatori invitati a costruire il paesaggio della solitudine.
La solitudine è una condizione mentale prima che fisica, che si riflette sull’abitare. Un passaggio obbligato prima di arrivare ad affrontare il prossimo capitolo.
L’ultimo di questa trilogia di esposizioni, la Biennale del 2021 che si occuperà del mondo reale. Cercheremo di guardare il reale così come lo ha osservato Courbet.
L’autore dell’Origine del mondo è un osservatore della natura sedotto dal buio in cui appaiono gli oggetti. Guardare un suo quadro è come guardare un pozzo. Il contrario della pittura naturalista (John Berger)


Museo come progetto

Ogni mostra espone se stessa ai visitatori, espone se stessa al tempo e alle immagini che è capace di produrre.
Secondo questa nostra concezione una mostra di Architettura è un’Architettura e viceversa.
Un progetto di architettura mette in scena spazi, oggetti e vita. Una mostra trasforma questi spazi in opportunità di immaginare altri spazi. Senza soluzione di continuità dobbiamo essere capaci di indagare la città, la casa dell’uomo e alla fine la casa dell’anima. In questo modo l’architettura diventa interpretazione del senso della vita.
Questa mostra è un addensarsi di sguardi diversi che definiscono attitudini di ricerca.
Attraverso le opere raccolte creiamo un percorso di senso, costruiamo un’architettura che riflette su se stessa. Ogni progetto, ogni immagine apre un dialogo a distanza con il visitatore.
L’ordine non è importante ognuno costruisce il suo attraverso la dialettica delle immagini.
Con Camminare nel sogno degli altri abbiamo inaugurato un ciclo di esposizioni in cui Il museo cessa di essere una forma di intrattenimento e diventa un esperimento di pensiero.
Il sogno è stato il momento esatto in cui è avvenuto l'incontro metaforico con l'altro e l’architettura è stata rappresentata come l'insieme di luoghi in cui avevamo la possibilità di riconoscere l'altro.
La solitudine è una nuova metafora attraverso la quale cercare di definire il paesaggio che definisce l’ambito in cui l’architettura diventa forma, una forma instabile fatta di una moltitudine di idee e pensieri prima che di linguaggi da sempre in contrasto tra loro. Una costruzione di una nuova mitologia dell’abitare. Se l’architettura non può più essere lo strumento della costruzione di un nuovo futuro, dovrà essere intesa come dispositivo attraverso il quale rivelare la condizione umana.
Il primo fine di una spiegazione è di rendere giustizia al proprio oggetto, di non ridurne la portata, non sminuirlo o mutilarlo col pretesto di renderlo più facilmente comprensibile, la questione che si pone qui non è di sapere quale visione debba assumere del fenomeno per poterlo spiegare conformemente ad una filosofia, ma inversamente quale filosofia si richieda per essere a livello dell’oggetto, alla sua altezza.
Non è questione di come il fenomeno debba essere girato, rigirato, semplificato o ridotto per potere, all’occorrenza, spiegarlo ancora a partire dei principi che ci siamo prima prefissi di non violare, bensì: fino a che punto i nostri pensieri devono ampliarsi per tenerci in relazione con il fenomeno?...( F.W.j. Schelling, filosofia della mitologia, trad ita Milano, Mursia, 1999, p. 9)
Il museo è lo spazio della solitudine il luogo attraverso il quale restituire importanza alle immagini della memoria ... chiamiamo luoghi quelli che... possiamo facilmente con la naturale memoria afferrare e abbracciare ... Le immagini sono certe figure e segni e sembianze di quella cosa, che vogliamo ricordare. Un museo non serve a raccontare il passato, ma serve a custodire le immagini che vogliamo ricordare di quel passato, da quest’esigenza si crea un nuovo futuro.
In questa mostra convivono architetture, tempi e luoghi diversi e convivono le due memorie individuate dal filosofo francese Henri Bergson, la memoria volontaria e quella spontanea.
La prima recupera al momento più opportuno la serie delle immagini sedimentate, generalmente per esigenze pratiche direttamente all’ambiente. La seconda invece sfugge al controllo dell’intelligenza e porta all’emergere di associazioni mentali involontarie, simili a quelle dell’immaginazione e del sogno. Le immagini evocate dalla memoria spontanea sono solitamente immagini del passato sulle quali l’individuo ha riposto un particolare importanza emotiva.
Ci troviamo a seguire una narrazione non lineare, come il protagonista del film la Jetée (1962) che è stato scelto per viaggiare tra passato e futuro.
Il volto di una donna sulla rampa di lancio dell’aeroporto di Orly e la contemporanea uccisione di un uomo è l’unica immagine sopravvissuta ad una misteriosa guerra. Parigi è distrutta. Il mondo è inabitabile, invaso da radiazioni mortali. Coloro che sono scampati alla guerra vivono sottoterra e tentano in tutti modi di trovare una soluzione ai loro problemi di sopravvivenza. Hanno bisogno di cibo, medicine e risorse di energia per continuare a vivere. Sotto la supervisione di inquietanti scienziati alcuni prigionieri vengono usati come cavie per esperimenti di viaggi nel tempo con lo scopo di ottenere delle generazioni future il mezzo che ha permesso la loro sopravvivenza.
La memoria del protagonista funzionerà da carburante per l’esperimento degli scienziati.
La Jetée è un film anomalo perché costruito attraverso immagini statiche accompagnate da una voce narrante, un unico fotogramma, al centro del film, è animato. La sua visione costringe l’osservatore a guardare in uno specchio la propria solitudine. Ma nonostante tutto gli spettatori cercano di trovare traccia della loro storia.
E’ esattamente quello che ci piacerebbe facessero i visitatori di questa Biennale, muoversi tra architetture, tempi e luoghi, immagini utili per ricomporre un’ idea di architettura.
Le sale e le forme d’arte sono solo un contenitore. Il vero contenuto di un museo sono i visitatori. ...Il museo è come un polmone per la città: le folle vi scorrono come il sangue e ne escono fresche e purificate. I quadri sono superfici morte e il senso del gioco, le grida e i fiotti di luce che i critici ufficiali si affannano a descrivere nel loro linguaggio tecnico, traggono sempre origine da quelle folle. ( georges bataille )





Solitude

Un lamento ricorrente nell’espressione della sofferenza quotidiana è legato alla solitudine.
La denuncia della solitudine si ritrova in tutte le democrazie occidentali avanzate e rimanda a una realtà sociale comune. Nelle sofferenze postmoderne, una vita virtuale viene sempre di più a sostituire una supposta vita reale.
Il filosofo Miguel Benasayag definisce il momento in cui stiamo vivendo l’epoca delle passioni tristi, il suo sguardo descrive un paesaggio sociale devastato dal neoliberalismo, dominato dall’individualismo sfrenato, dal mito della prestazione e dalla competizione serrata tra individui.
Tutto questo crea una frattura tra gli individui che pur restando assieme sono soli.
Un intero mondo costruisce sistematicamente la nostra solitudine, l’ossessione di superare la solitudine ci spinge a cercare l’altro attraverso l’ibridazione della cultura e del vivente con la tecnologia, che provoca la dissoluzione dello spazio dell’architettura.
La solitudine è anche un incubo perché siamo stati educati a temerla. La solitudine è un paradosso e l’architettura organizza questo paradosso.

Scrive Roland Barthes Se dovessi immaginare un nuovo Robinsou Crusoe, non lo ambienterei in un isola deserta, ma in una città di dodici milioni di abitanti, di cui non saprebbe decifrare né la parola né la scrittura: sarebbe questo, credo, la forma moderna del mito.
Vista da questo punto di vista la solitudine è uno spazio, una condizione intermedia tra il dentro e il fuori. La relazione tra questi due luoghi fisici e mentali rappresenta la relazione con il mondo. Chiusura o apertura derivano dalla lettura del reale e dal reagire ad esso.
Esistono due modi per comprendere la solitudine. Da un lato la solitudine come isolamento, chiusura al mondo reale, dall’altra una solitudine dal mondo reale in cui l’individuo si trova per necessità ad attendere di trovare un contatto con il mondo, un rifugio diverso dall’ideale a cui si tende. Un incidente.



Architettura

Oggi l’architetto ha cambiato il suo ruolo all’interno della società, non è più colui che è capace di rappresentare il mondo. Si trova al margine, anche se gli si riconosce un ruolo di inventore di costruzioni, come narratore il suo potere è sempre più limitato. La politica e l’economia hanno azzerato le sue visioni. L’architetto è strumentalizzato, relegato ad una competenza specifica in un quadro più vasto di competenze.
Uno specialista di lusso, un prodotto da commercializzare. Nella sempre più frequente assimilazione a un’ artista, l’architetto perde la sua tradizionale capacità di prefigurare società, e mondi, oltreché edifici. Ma forse potrebbe essere anche l’esatto opposto: nella perdita della sua tradizionale capacità di prefigurare società, e mondi, limitandosi ai soli edifici, l’architetto finisce per assimilarsi a un artista, o a uno stilista. Ad semplice produttore di creatività artificiale.

Oggi quella dell’architetto è una figura solitaria.
La sua solitudine, specchio della solitudine dell’uomo contemporaneo è un dato preoccupante, inquietante, su cui varrebbe la pena di riflettere.
La solitudine è un assenza di tempo. Il suo raggiungimento coincide forse con l’istante della creazione artistica, oppure con il rapporto vita e lavoro. la solitudine oggi è la condizione permanente in cui viviamo anche quando non siamo soli.
Nel 1965 Alvin Toffler parla della nascita di una nuova specie umana nomadica nello spazio, vorace di media, consumatrice d’arte, contraddistinta dalla sua automobilità. Toffler raccontava ieri, il nostro presente con una lucidità impressionante.
Pensate ora a come questo pensiero negli anni è stato tradotto in architettura. Distruggendo ogni utopia ed esaltando il valore del reale, ed è proprio la lettura del reale che può dare nuovo significato all’architettura. Dalla morte dell’utopia vista come prospettiva (promessa mai mantenuta) del futuro nasce un’ architettura specchio della società in trasformazione, nessuna prefigurazione ma un attenta e continua riscrittura del reale. Una finta Utopia. E sono proprio gli architetti che resistono a prefigurare il futuro a raccontare la solitudine dell’uomo ipermoderno.



Figure

La nostra riflessione comincia dalla figura eroica di John Hejduk, architetto solitario, scomparso all’alba del nuovo secolo capace di trasfigurare la propria condizione in un’architettura simbolica che sembra rispecchiare il suo desiderio di resistere alle trasformazioni del mondo.
Per Hejduk le architetture sono contenitori di pensieri, che raccontano la vita dopo che il pensiero le abbandonate. L’architettura infatti è il risultato di un percorso di conoscenza che si manifesta attraverso la forma. E da quella di un artista Absalon, la cui proposta può definirsi come una vera e propria ricerca sulla riduzione estrema dello spazio architettonico al fine di ottenere la costruzione della solitudine come forma di resistenza.
Hejduk inventa simboli e forme per re immaginare il mondo, Absalon usa la forma per resistere al mondo. Per l'artista, la solitudine non è uno stato di privazione, ma una condizione necessaria per resistere, un confine capace di proteggere l’individuo dalla standardizzazione della vita. Da questo stato di separazione dal mondo fortemente desiderato, nasce una nuova condizione di vita. É la rottura con il mondo che crea una solitudine, fisica ed mentale, che non deve essere letta come una rinuncia, ma come una nuova di vita che consente all'artista di creare le condizioni per costruire territori di libertà.

John Hejduk, per parlare di solitudine sceglie Venezia, per mettere in scena un dialogo tra due progetti. Il cimitero delle ceneri del pensiero e la Wall house 3.
Il cimitero è pensato per grandi scrittori Proust, Dante, Milton, Melville, è il luogo del pensiero e della memoria, forse possiamo considerarlo metafora del museo. La casa invece si trova nella laguna, su un isola artificiale. Solo una persona, il visitatore, per un tempo prestabilito di tempo può abitarla, e non sarà permesso ad altri di restare sull’isola durante il suo soggiorno.
Il solitario, attraverso la laguna, guarda al cimitero delle ceneri del pensiero. Questo guardare è il momento esatto in cui l’architettura si mette in mostra e si trasforma in una costruzione di senso, e costruisce il suo futuro nella memoria del visitatore.





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Le cellule di Absalon sono spazi diversi che incapsulano un solo corpo. Ma al contrario della casa di Hejduk, pensata per un isolamento temporaneo, e per un attività di osservazione del mondo le cellule di Absalon sono la matrice per la costruzione di una solitudine necessaria per relazionarsi al mondo contemporaneo.
Absalon immaginava le sue cellule come modelli per un modo diverso di vivere. Non sono solo modelli per un individuo che ha deciso di vivere in modo diverso, lo sono per un'intera civiltà.
Mi piacerebbe rendere queste cellule le mie case, in cui definire i miei sentimenti, coltivare i miei comportamenti. Queste case saranno meccanismi di resistenza a una società che mi impedisce di diventare ciò che devo diventare .

La scelta della solitudine per Absalon favorisce l'emarginazione dalla nostra cultura attuale, così come il rifiuto di tutte le norme standardizzate. Una marginalità che è accentuata dalla localizzazione delle celle nelle periferie delle città scelte, per un esistenza nomade.
Ognuna delle sei celle è un'unità vivente pienamente funzionale, designata per diventare il suo habitat personale in una città specifica. Come asserisce Absalon, Queste case saranno un mezzo di resistenza per una società che mi impedisce di diventare ciò che devo diventare.


A mechanism that conditions the movements. With time and habit, this mechanism will become my comfort … The project’s necessity springs from the constraints imposed … by an aesthetic universe where things are standardized… I would like to make these Cells my homes, where I define my sensations, cultivate my behaviours. These homes will be a means of resistance to a society that keeps me from becoming what I must become.

Heiduk, Absalon, raccontano condizioni diverse, il primo definisce un pensiero utopico in cui la solitudine e l’isolamento sono una scelta, riferendosi alla condizione dell’individuo che cerca di isolarsi dal mondo osservando il mondo stesso, il secondo decreta la morte di ogni utopia, racconta la società, il vivere assieme ma isolati.
La solitudine è una condizione imposta dal mondo una situazione sociale ed urbana. Ognuno di loro da forma alla solitudine pensando l’abitare.

Tra questi due estremi ci accorgiamo che sono tanti gli architetti e gli uomini che indagano o hanno indagato con presupposti diversi questa condizione, noi cerchiamo di seguirne alcuni:

Keisuke Oka un danzatore di Tokyo abbandona il suo lavoro, per costruirsi da solo una casa utilizzando il cemento armato, la ButoHouse, Ila Beka & Louise Lemoine lo osservano per una giornata seguendone i movimenti lenti, cercando di capire se la sua dedizione alla costruzione sia prima di tutto un’esigenza spirituale.
Sergio Ferro, da esule continua a riflettere sul ruolo dell’architettura sotto il capitalismo. La sua teoria, sviluppata con il gruppo Architettura Nova tra il 1950 e il 1960 dimostra come il progetto di architettura debba essere considerato come un processo attraverso il quale il plusvalore è estratto dal sistema di produzione. Il suo pensiero nasce e reagisce di fronte alla costruzione dell’architettura iconica di Brasilia.
La figura di Fernand Pouillon è segnata dall’emarginazione da un profondo anticonformismo rispetto alla generazione dei padri, aristocratica, ribelle e soprattutto romantica, simile a quella di un Don Chisciotte, che decide di combattere i propri fantasmi. Figura ambigua, dotato di un’immensa cultura architettonica, fu un uomo insoddisfatto, indotto a giudicare con eccessiva severa lucidità le proprie realizzazioni, avrebbe forse voluto essere considerato come l’ anonimo capomastro dell’abazia di Thoronet che aveva tentato di resuscitare nel suo romanzo Le pietre selvagge nelle cui pagine forse è nascosta la chiave di lettura della sua architettura.
Tutti questi architetti hanno provato in modi diversi a prefigurare luoghi e spazi mentre oggi sembra che un’altra figura si sia impossessata dello spazio dell’immaginazione, La Bestia proposta da Hernan Diaz Alonso ci dimostra come ogni singola individualità viene cancellata dall’algoritmo che sostituendosi alla nostra memoria sta decretando la fine dell’autore così come siamo abituati ad immaginarlo. L’architettura forse sarà, sempre di più, esposta ad un perpetuo stato di trasformazione generata dalla macchina. E noi resteremo soli con la nostra memoria.



 

 

 

January 22, 2020 /luca galofaro
Architecture 2017, Catalog 2017
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WALKING THROUGH SOMEONE ELSE'S DREAM

June 04, 2018 by luca galofaro in Architecture 2017, Catalog 2017

Abdelkader Damani - Luca Galofaro
Marcher dans le reve d'un autre
Les Presses du réel 2017
 

Una premessa necessaria è spiegare la necessità di un'altra  Biennale d'architettura, la risposta è semplice, ad organizzarla è un museo d'architettura.
Dal 1991, il FRAC Centre-Val de Loire si afferma attraverso la sua collezione come luogo dedicato al rapporto tra arte e architettura nella loro dimensione più sperimentale.
 Il lavoro sulla costruzione della collezione,  ha riunito un patrimonio unico, un corpus di opere e progetti che rappresentano sessanta anni di innovazione. Grazie alle diverse edizioni del festival Archilab (laboratorio Internazionale di architettura), il Frac Centre-Val de Loire è diventato un attore importante nel network internazionale dei musei d'architettura.
Forte di questa eredità, la prima edizione della Biennale d’Architecture d’Orléans  dal titolo Camminare nel sogno degli altri (marcher dans le reve d'un autre) presenterà i punti di vista di oltre cinquanta architetti e artisti contemporanei, il loro sguardo sul mondo che cambia, attraverso la metafora del sogno, inteso come viaggio nella memoria e nel futuro.
Attraverso la biennale questi architetti ci racconteranno il loro modo di camminare nei nostri sogni, che delle volte quasi per caso coincidono con i loro, ci faranno viaggiare senza aver paura di tornare a raccontare la nostra storia in modi sempre diversi.
Una biennale laboratorio
La Biennale si sostituisce al laboratorio Archilab, e lo fa cominciando a riflettere su una condizione molto particolare, la ricerca fatta attraverso un dialogo costante con la memoria personale degli autori, e la memoria collettiva rappresentata dalla collezione.
Con molta curiosità con il direttore del museo Abdelkader Damani abbiamo cercato di instaurare un dialogo tra noi, gli architetti e gli artisti invitati sulla costruzione del progetto.
Una mostra infatti non è molto differente da un progetto di architettura, è qualcosa da vivere ed abitare, di questo siamo convinti entrambi.La fine del progetto moderno sulla "costruzione del mondo" ha ceduto il passo a un'epoca che invalida tutti i modelli normativi e le visioni unificanti. In un sistema di prossimità in cui non persiste nessun luogo, ma dove qualsiasi località - perfettamente collegata e visibile - si iscrive istantaneamente e senza filtri in un tutto. Ci siamo chiesti se in questa condizione è possibile sviluppare storie comuni e costruire la prossimità.  

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Collezioni
Questa è una biennale di collezioni che rifiuta di presentare l'architettura in un modo tradizionale, attraverso oggetti finiti, gli edifici. Vogliamo raccontare l'inizio del processo di costruzione e non la fine di questo processo. Costruire un'idea di mondo a volte mette a disposizione del pubblico qualcosa di diverso, la reale possibilità di condividere un percorso di costruzione di senso. Gli architetti e gli artisti invitati nel loro procedere verso la costruzione del progetto seguono pratiche diverse, il progetto infatti è prima di tutto per loro un percorso mentale di costruzione di un luogo allo stesso tempo immaginario e reale. Infatti nel progettare come nel sognare non si segue mai una narrativa lineare, entrambi i processi sono caratterizzati da un' esigenza  del vagabondare.
Abdelkader Damani insiste molto su quest'idea del vagabondare nell'architettura contemporanea, un vagabondare tra tempi e luoghi diversi, spesso uscendo da ciò che apparentemente non viene considerato necessario nella costruzione fisica dell'architettura, ma che invece accomuna il processo creativo di tutti gli architetti, e non solo.
 La presenza della collezione in questa biennale ci permette di avere nello stesso tempo e sullo stesso piano di lettura  temporalità lontane: memoria e attualità. Solo attraverso la collezione del museo infatti, siamo in grado di conoscere la nostra contemporaneità. Sono le narrazioni diverse a  trasformare l'archivio del museo in uno spazio nel quale il visitatore sarà il produttore di significati. Guardiamo all'archivio in modo differente, lo consideriamo un Atlante.
Con questa mostra inizieremo un viaggio che ci aiuterà nella ridefinizione della nostra destinazione. Vogliamo infatti far rivivere la collezione trasformandola in un laboratorio di pensieri, uno spazio eterotopico in cui prendono forma collezioni dentro collezioni. E' difficile conoscere con precisione il punto d'arrivo perché questa mostra è un modo per guardare il  mondo mentre lo si attraversa.La fine dell'utopiaLa collezione del Frac è spesso presentata come un viaggio attraverso l'utopia che nel corso del tempo ha avuto la capacità di creare le basi teoriche di ciò che realmente veniva costruito. Ma l'utopia così rappresentata ci dice poco sul futuro, o su quello che rappresenta un'idea di futuro. E' invece estremamente utile per capire il presente dei cosiddetti architetti dell'utopia, i loro mondi, e ancora più importante per misurare il tempo che stiamo vivendo. L'utopia descrive luoghi inesistenti tanto quanto desiderabili, il desiderio di un futuro richiamato sempre a riscattare il presente. Ma che resta oggi dell'utopia? Se non la consapevolezza del fatto che le utopie non si realizzano, e che forse è meglio così. Perché l'utopia è il limite estremo del nostro presente che si sposta di continuo, è la realtà che non ha più bisogno di prefigurare un futuro. Il futuro, come la crisi del sistema che rappresenta, è oggi uno dei principali dispositivi del potere, utilizzato per manipolare le nostre azioni e i nostri pensieri. Crediamo che il futuro si possa sempre cambiare mentre il passato no, è semplicemente fermo in un punto della nostra memoria. Niente di più sbagliato, Benjamin ha osservato che attraverso il ricordo noi agiamo sul passato lo rendiamo nuovamente possibile e per questo attraverso la lettura del passato riusciamo ad accedere  al presente. L'immaginazione deve dare ordine alle sequenze di immagini che invadono il nostro spazio mentale, costretto di continuo a selezionare frammenti. E' il primo strumento attraverso il quale costruire l'architettura. A questo punto dobbiamo stare attenti perché la parola immaginazione, può essere una parola pericolosa. Rischia infatti di giustificare ogni atto arbitrario interpretativo e di costruzione di pensiero di un individuo se non si fissa come punto di partenza che l’immaginazione non ha niente a che vedere con una fantasia personale o gratuita. Al contrario, essa ci fa dono di una conoscenza trasversale grazie alla sua forza intrinseca di montaggio  che consiste nello scoprire, la  dove essa rigetta i legami suscitati dalle ovvie somiglianze, dei legami che l’osservazione diretta non è in grado di discernere.
L’immaginazione è in realtà la capacità di orientarsi, di creare connessioni tra realtà diverse, quella capacità che Walter Benjamin descrive molto bene nel suo saggio sulla facoltà mimetica. Una lettura anteriore a ogni linguaggio, leggere ciò che non è mai stato scritto. Se le immagini viaggiano nel tempo, territorialmente e culturalmente come frammenti, secondo i canali ufficiali, libri, musei, opere, in tutti questi trasferimenti  subiscono delle trasformazioni, non sempre fisiche, dovute al variare del sentire  di chi le guarda.

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Metafore
Questa Biennale costruisce metafore e riflessioni sulle quali è possibile ripensare il ruolo dell'architettura, Black Square fa un'attenta ed ironica riflessione sul ruolo dell'Immagine, 2a+p camminano sul confine che separa i propri sogni da quelli di un altro architetto che in un piccolo disegno descrive la sua idea di Architettura Monumentale, Ettore Sottsass,  e loro hanno il coraggio di trasformarlo in un Architettura viva.
Dalla collezione appaiono le Metafore di Ettore Sottsass, costruzioni ideali realizzate tra 1972 e il 1979. Semplici immagini che contengono al loro interno una stratificazione di significati,  mettono in discussione l'architettura e il design. Sottsass era alla ricerca di un'alternativa, da costruire fisicamente attraverso tutto quello che ha sedimentato nel corso della sua vita trascorsa fino a quel momento attorno al design e all'architettura. Lo ha fatto costruendo velocemente gli spazi con quello che trovava, senza un progetto preciso ma forse attraverso la costruzione diretta di un immagine fragile, poi accompagnata da testi brevi.
La nostra biennale inconsciamente, ne raccoglie tante altre, e con la stessa curiosità cerca di fare lo stesso lavoro fatto da Sottsass dare  valore e significato alle immagini fragili.

Aristide Antonas riflette sul senso dell'abitare contemporaneo. L'abitare è per Antonas concepito come un rifugio, luogo dell'isolamento e allo stesso tempo spazio sociale.  L'oggetto sospeso, è un luogo da abitare e definisce con estrema chiarezza la condizione del ritiro, del trovare una distanza dalla realtà, restando immersi al suo interno, lo spazio domestico è un nodo della rete, che costruisce il palinsesto di una nuova urbanità, qui la distanza tra la condizione individuale e quella collettiva è difficile da stabilire.  Didier Faustino pensa a un futuro nemmeno troppo lontano in cui sarà necessario proteggersi ad ogni costo da tutto quello che ci circonda e apparentemente ci minaccia. Le sue gabbie metalliche rivisitano l'architettura dei Bunker, un'archeologia del futuro di cui oggi è visibile solo la parte più nascosta, l'armatura del cemento. La temporaneità della Palestina è raccontata da Saba Innab that gradually transforms or deforms into permanence...dove la distanza prende forma lentamente attraverso frammenti ed oggetti instabili.
Alla base di questo percorso di riscoperta del tempo e dei luoghi l'esperienza personale si sovrappone il desiderio di trasformare l'architettura in una storia alternativa dove l'uomo si confronta sempre con il paesaggio, sfondo immutabile ed eterno alle costruzioni. La metafora è lo strumento di connessione tra due mondi quello interiore e quello della natura. è la forma di lettura del tempo e della storia, la stessa forma che in modi diversi e con strumenti diversi da vita alle sequenze di spazi ed immagini narrate da Alexander Brodsky, uno dei maggiori esponenti del movimento Bumazhnaja Architektura (Architettura di carta). I suoi progetti sono la sintesi di elementi architettonici, grafici, letterari, umani e naturali, che  si propongono come fenomeno culturale autonomo.

Per Brodsky e gli altri architetti invitati l'architettura è prima di tutto un luogo mentale, lo spazio della conoscenza.Uno spazio del dialogo
La Biennale esce dagli spazi del museo, penetra i territori della regione e della città, attraversando i sogni e le diversità degli architetti e degli artisti invitati. Per farlo utilizza l'architettura come un dispositivo per far dialogare finzione e realtà, trasformando la disciplina in uno spazio di dialogo e confronto: il visitatore sarà accolto da un luogo dell'ospitalità concepito da Patrick Bouchain e dal gruppo PEROU. Qui si scoprirà un "rifugio della scrittura" per una storia dell'architettura ri-scritta con l'architetto e sociologo Jean-Pierre Frey, un'università popolare, un'isola per i bambini.
La strada di fronte alla Cattedrale, diventerà nel periodo della Biennale una mostra a cielo aperto, in cui artisti ed architetti ridisegnano le bandiere che di solito decorano il fronte urbano.
La chiesa Collégiale Saint-Pierre-le-Puellier ospiterà il lavoro di Aristide Antonas, Dider Faustino, Obra, Black Square, Nikola Jankovic, che guardano al futuro in modo molto particolare. Infine, la Biennale sarà il primo evento a riaprire la Vinaigrerie Dessaux, di proprietà della città di Orleans lasciata a riposo per diversi anni prima che l'edificio diventi sede di un nuovo luogo dedicato alla creazione contemporanea con una sezione dedicata ai Video di architettura.
Nella Regione il centro d'arte le Tanneries à Amilly ospiterà parte degli architetti invitati, Manthey Kula e Thomas Reynould  ed una monografica sull'architettura di Guy Rotier, che per primo ha anticipato tanti temi dell'architettura contemporanea.
Questa prima edizione della Biennale d’architecture d’Orléans che inaugura ad ottobre e resterà aperta fino ad Aprile, è sostenuta dalla speranza che il visitatore possa entrare in sintonia con i progetti esposti quando attraverserà i diversi spazi e luoghi investiti da questo evento , leggendo l'architettura in modo diverso da come è abituato a fare.

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June 04, 2018 /luca galofaro
Architecture 2017, Catalog 2017
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UNA NUOVA OGGETTIVITA'

April 05, 2017 by luca galofaro in Catalog 2017

 

Questo catalogo della mostra sections of autonomy racconta il tentativo di una generazione di ripensare il rapporto tra architettura e luogo urbano, questi sei architetti cercano infatti di definire la città come spazio di vita collettivo. Ogni edificio definisce una precisa forma urbana in cui il limite tra publico e privato sembra svanire.
Se da una parte cercano l'autonomia dalla tradizione, dall'altra dimostrano come la tradizione sia assimilata in un processo di contestualizzazione del progetto.
La reciprocità tra edifici e spazio aperto è una caratteristica ricorrente di queste architetture che dimostrano come in soli sessant'anni un paese provato dalla guerra e dalla crisi economica, può essere ricostruito. Oggi è difficile immaginare che negli anni ‘50 del XX secolo la Corea era uno degli Stati più poveri al mondo.
L'Asia continua ad attrarre l'attenzione, ma sono sempre la Cina dei grandi progetti e il Giappone della sperimentazione sull'architettura domestica al centro dello sguardo dell'occidente.
La Corea non cerca di stupire con grandi progetti, e non trasforma la ricerca in un'esigenza dell'individuo ad esprimere i propri desideri, ma definisce i limiti di una nuova oggettività.
Mettere in mostra l'architettura Coreana è molto importantein un paese come l'Italia che ha bisogno di comprendere che l'architettura è una condizione necessaria non solo perla crescita economica di un paese ma anche per la sua crescita culturale.
La mostra è costruita per frammenti, modelli, libri, disegni e fotografie definiscono un'idea di architettura che non cerca nel linguaggio la sua forma espressiva, ma nella qualità dei luoghi urbani che quest'architettura produce.

 

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April 05, 2017 /luca galofaro
Catalog 2017
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THE FORM OF FORM

April 05, 2017 by luca galofaro in Catalog 2017

André Tavares
Diogo Seixas Lopes
The Form of Form
Lars Muller Publisher 2016

 

What is architectural form? What does architectural form mean? And why is it so significant today?

 

Queste erano le questioni principali della Triennale di Lisbona. La forma, come base di dialogo tra gli architetti, per discutere sull’ architettura. Il dialogo è la forma narrativa scelta per il catalogo. Ospiti e curatori si affrontano sull'unica base comune possibile, l'idea che l'architettura nasce principalmente dalla forma dello spazio e da tutte le sue declinazioni.
Esaurita la premessa il catalogo assume un significato nuovo se considerato come un vero e proprio libro sul tema, che non necessità di una mostra per trovare completezza.
Curatori ed ospiti aprono il loro dialogo che scorre, su posizioni diverse, dove tempi e teorie si confrontano, sempre sul progetto, guardato da angoli diversi, accumulando discorsi, tempi e luoghi diversi. Dal dialogo emerge che l'estetica, così come la tecnica sono importanti, ma ancora più importanti sono le problematichesociali e politiche che le forme producono.  André Tavares rivendica l'esigenza degli architetti di comunicare tra di loro di confrontarsi, per questo ha scelto come curatori di una delle sezioni della mostra, la più onirica,  gli Autori di Socks, sharing your own visual archive generated many kinds of conversations. Il libro segue le tracce della memoria così come le trasformazioni sociali, ma quel che resta alla fine è una forma costruita, che assume significato nel momento esatto che entra in collisione con la memoria dei luoghi. Solo così la forma riuscirà discostarsi dal linguaggio che troppo spesso costruisce letture errate. Agli architetti sopravvivono gli altri che non lo sono, abituati da sempre a vivere tra le forme del passato che forse rappresentano il punto di partenza per quelle del futuro.

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Sono tre le parti riconoscibili del libro che rispecchiano i contributi degli autori, Socks ragiona sull'archiviocostruito negli anni dai suoi autori, Fosco Lucarelli e Maria Bruna Fabrizi, una struttura che «esplora la nozione di autorialità in relazione all’universo delle immagini originato dalle forme architettoniche». Un vero e proprio Atlante di segni che delineano una geografia emozionale provocata da progetti e ricerche pensate e realizzate in tempi diversi, che una volta accostate tra di loro creano significati inaspettati.

Our archive allows architecture to speack its own language. There are all the things behind an image: social, political, aesthetic issues.....but in the end, there is the image itself, so it's the form which...a sort of invisible structure.La forma per Socks è una continua variazione interdisciplinare di tracce da seguire.

The World in Our Eyes  di FIG Projects presenta un altro atlante ragionato di forme urbane e territoriali divergenti, un catalogo che disegna una città immaginaria ma reale, uso e ri-uso dei luoghi, quello che per Socks è una cosa mentale, qui appare come struttura degli spazi che percorriamo quotidianamente nelle nostre città, non solo realmente ma anche attraverso un immaginario collettivo prodotto dalle visioni di artisti ed architetti.

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Ed infine lacostruzione Obra, la sezione curata da André Tavares che presenta il lato anonimo, professionale e collettivo dell’architettura come produzione: annotazioni, disegni, materiali si fondono assieme attorno all'idea che la vera forma è, e sarà sempre, una costruzione della nostra immaginazione, che poi viene riprodotta costruendo la forma concreta delmondo.
Un libro bello e denso che sarebbe riduttivo definire come un semplice catalogo di una mostra.

April 05, 2017 /luca galofaro
Catalog 2017