The booklist

  • BOOKS
  • STORIES
  • IMAGES
  • About
low2-jpg.png

#2 Orleans Biennale_ YEARS OF SOLITUDE

January 22, 2020 by luca galofaro in Architecture 2017, Catalog 2017

Abdelkader Damani - Luca Galofaro
Years of Solitude
Les Presses du réel 2019
 

«Dove sono gli uomini?» riprese poi il piccolo principe. «Si è un po' soli nel deserto...» «Si è soli anche fra gli uomini» disse il serpente. (Antoine de Saint-Exupéry)

“Tutta l’infelicità degli uomini deriva da una sola causa: dal non saper restarsene tranquilli in una camera.” (PAUL AUSTER_ l’invenzione della solitudine)

Prima di arrivare al verso finale, aveva già compreso che non sarebbe mai più uscito da quella stanza, perché era previsto che la città degli specchi (o degli specchietti) sarebbe stata spianata dal vento e bandita dalla memoria degli uomini nell'istante in cui Aureliano Buèndia avesse terminato di decifrare le pergamene, e che tutto quello che vi era scritto era irripetibile da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent'anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra.
[Gabriel García Márquez, Cent'anni di solitudine, traduzione di Enrico Cicogna, Mondadori, 1982.]


Se pensiamo alla città di Macondo, dove la realtà si confonde con la fantasia. E se consideriamo questa città, frutto dell’invenzione di Garcia Marquez, come una metafora dell’architettura, una reinvenzione senza fine dello spazio e del tempo della memoria, allora Macondo ci appare come uno spazio vissuto che racconta di noi, della nostra solitudine nel mondo che cambia.
È una storia che si ripete ogni volta che un architetto disegna sulla carta, sullo schermo di un computer, la forma di un edificio che verrà costruito; ogni volta che un urbanista traccia il piano di una città. Il disegno è una testimonianza del futuro che sarà.
Mettere in mostra disegni idee e scritture che raccontano il tempo che è stato o quello che sarà, e non progetti finiti e realizzati, è secondo noi lo scopo principale di un curatore di architettura.
Significa in un certo senso trasformare il museo in un progetto, un luogo della finzione che in realtà ci permette d’intervenire sul reale. Questo è ciò che abbiamo tentato di fare pensando questa Biennale di architettura. Ancora una volta abbiamo cercato di scrivere un racconto senza compilare una lista.
La prima biennale di Orleans è stata una mostra di frammenti in questa nuova edizione mettiamo a confronto paesaggi, fisici e mentali. La mostra è un punto di osservazione privilegiato per capire il mondo che cambia.
Nella prima biennale era la relazione tra i pezzi a costruire il significato oggi è la relazione tra i diverse modi di guardare dei curatori invitati a costruire il paesaggio della solitudine.
La solitudine è una condizione mentale prima che fisica, che si riflette sull’abitare. Un passaggio obbligato prima di arrivare ad affrontare il prossimo capitolo.
L’ultimo di questa trilogia di esposizioni, la Biennale del 2021 che si occuperà del mondo reale. Cercheremo di guardare il reale così come lo ha osservato Courbet.
L’autore dell’Origine del mondo è un osservatore della natura sedotto dal buio in cui appaiono gli oggetti. Guardare un suo quadro è come guardare un pozzo. Il contrario della pittura naturalista (John Berger)


Museo come progetto

Ogni mostra espone se stessa ai visitatori, espone se stessa al tempo e alle immagini che è capace di produrre.
Secondo questa nostra concezione una mostra di Architettura è un’Architettura e viceversa.
Un progetto di architettura mette in scena spazi, oggetti e vita. Una mostra trasforma questi spazi in opportunità di immaginare altri spazi. Senza soluzione di continuità dobbiamo essere capaci di indagare la città, la casa dell’uomo e alla fine la casa dell’anima. In questo modo l’architettura diventa interpretazione del senso della vita.
Questa mostra è un addensarsi di sguardi diversi che definiscono attitudini di ricerca.
Attraverso le opere raccolte creiamo un percorso di senso, costruiamo un’architettura che riflette su se stessa. Ogni progetto, ogni immagine apre un dialogo a distanza con il visitatore.
L’ordine non è importante ognuno costruisce il suo attraverso la dialettica delle immagini.
Con Camminare nel sogno degli altri abbiamo inaugurato un ciclo di esposizioni in cui Il museo cessa di essere una forma di intrattenimento e diventa un esperimento di pensiero.
Il sogno è stato il momento esatto in cui è avvenuto l'incontro metaforico con l'altro e l’architettura è stata rappresentata come l'insieme di luoghi in cui avevamo la possibilità di riconoscere l'altro.
La solitudine è una nuova metafora attraverso la quale cercare di definire il paesaggio che definisce l’ambito in cui l’architettura diventa forma, una forma instabile fatta di una moltitudine di idee e pensieri prima che di linguaggi da sempre in contrasto tra loro. Una costruzione di una nuova mitologia dell’abitare. Se l’architettura non può più essere lo strumento della costruzione di un nuovo futuro, dovrà essere intesa come dispositivo attraverso il quale rivelare la condizione umana.
Il primo fine di una spiegazione è di rendere giustizia al proprio oggetto, di non ridurne la portata, non sminuirlo o mutilarlo col pretesto di renderlo più facilmente comprensibile, la questione che si pone qui non è di sapere quale visione debba assumere del fenomeno per poterlo spiegare conformemente ad una filosofia, ma inversamente quale filosofia si richieda per essere a livello dell’oggetto, alla sua altezza.
Non è questione di come il fenomeno debba essere girato, rigirato, semplificato o ridotto per potere, all’occorrenza, spiegarlo ancora a partire dei principi che ci siamo prima prefissi di non violare, bensì: fino a che punto i nostri pensieri devono ampliarsi per tenerci in relazione con il fenomeno?...( F.W.j. Schelling, filosofia della mitologia, trad ita Milano, Mursia, 1999, p. 9)
Il museo è lo spazio della solitudine il luogo attraverso il quale restituire importanza alle immagini della memoria ... chiamiamo luoghi quelli che... possiamo facilmente con la naturale memoria afferrare e abbracciare ... Le immagini sono certe figure e segni e sembianze di quella cosa, che vogliamo ricordare. Un museo non serve a raccontare il passato, ma serve a custodire le immagini che vogliamo ricordare di quel passato, da quest’esigenza si crea un nuovo futuro.
In questa mostra convivono architetture, tempi e luoghi diversi e convivono le due memorie individuate dal filosofo francese Henri Bergson, la memoria volontaria e quella spontanea.
La prima recupera al momento più opportuno la serie delle immagini sedimentate, generalmente per esigenze pratiche direttamente all’ambiente. La seconda invece sfugge al controllo dell’intelligenza e porta all’emergere di associazioni mentali involontarie, simili a quelle dell’immaginazione e del sogno. Le immagini evocate dalla memoria spontanea sono solitamente immagini del passato sulle quali l’individuo ha riposto un particolare importanza emotiva.
Ci troviamo a seguire una narrazione non lineare, come il protagonista del film la Jetée (1962) che è stato scelto per viaggiare tra passato e futuro.
Il volto di una donna sulla rampa di lancio dell’aeroporto di Orly e la contemporanea uccisione di un uomo è l’unica immagine sopravvissuta ad una misteriosa guerra. Parigi è distrutta. Il mondo è inabitabile, invaso da radiazioni mortali. Coloro che sono scampati alla guerra vivono sottoterra e tentano in tutti modi di trovare una soluzione ai loro problemi di sopravvivenza. Hanno bisogno di cibo, medicine e risorse di energia per continuare a vivere. Sotto la supervisione di inquietanti scienziati alcuni prigionieri vengono usati come cavie per esperimenti di viaggi nel tempo con lo scopo di ottenere delle generazioni future il mezzo che ha permesso la loro sopravvivenza.
La memoria del protagonista funzionerà da carburante per l’esperimento degli scienziati.
La Jetée è un film anomalo perché costruito attraverso immagini statiche accompagnate da una voce narrante, un unico fotogramma, al centro del film, è animato. La sua visione costringe l’osservatore a guardare in uno specchio la propria solitudine. Ma nonostante tutto gli spettatori cercano di trovare traccia della loro storia.
E’ esattamente quello che ci piacerebbe facessero i visitatori di questa Biennale, muoversi tra architetture, tempi e luoghi, immagini utili per ricomporre un’ idea di architettura.
Le sale e le forme d’arte sono solo un contenitore. Il vero contenuto di un museo sono i visitatori. ...Il museo è come un polmone per la città: le folle vi scorrono come il sangue e ne escono fresche e purificate. I quadri sono superfici morte e il senso del gioco, le grida e i fiotti di luce che i critici ufficiali si affannano a descrivere nel loro linguaggio tecnico, traggono sempre origine da quelle folle. ( georges bataille )





Solitude

Un lamento ricorrente nell’espressione della sofferenza quotidiana è legato alla solitudine.
La denuncia della solitudine si ritrova in tutte le democrazie occidentali avanzate e rimanda a una realtà sociale comune. Nelle sofferenze postmoderne, una vita virtuale viene sempre di più a sostituire una supposta vita reale.
Il filosofo Miguel Benasayag definisce il momento in cui stiamo vivendo l’epoca delle passioni tristi, il suo sguardo descrive un paesaggio sociale devastato dal neoliberalismo, dominato dall’individualismo sfrenato, dal mito della prestazione e dalla competizione serrata tra individui.
Tutto questo crea una frattura tra gli individui che pur restando assieme sono soli.
Un intero mondo costruisce sistematicamente la nostra solitudine, l’ossessione di superare la solitudine ci spinge a cercare l’altro attraverso l’ibridazione della cultura e del vivente con la tecnologia, che provoca la dissoluzione dello spazio dell’architettura.
La solitudine è anche un incubo perché siamo stati educati a temerla. La solitudine è un paradosso e l’architettura organizza questo paradosso.

Scrive Roland Barthes Se dovessi immaginare un nuovo Robinsou Crusoe, non lo ambienterei in un isola deserta, ma in una città di dodici milioni di abitanti, di cui non saprebbe decifrare né la parola né la scrittura: sarebbe questo, credo, la forma moderna del mito.
Vista da questo punto di vista la solitudine è uno spazio, una condizione intermedia tra il dentro e il fuori. La relazione tra questi due luoghi fisici e mentali rappresenta la relazione con il mondo. Chiusura o apertura derivano dalla lettura del reale e dal reagire ad esso.
Esistono due modi per comprendere la solitudine. Da un lato la solitudine come isolamento, chiusura al mondo reale, dall’altra una solitudine dal mondo reale in cui l’individuo si trova per necessità ad attendere di trovare un contatto con il mondo, un rifugio diverso dall’ideale a cui si tende. Un incidente.



Architettura

Oggi l’architetto ha cambiato il suo ruolo all’interno della società, non è più colui che è capace di rappresentare il mondo. Si trova al margine, anche se gli si riconosce un ruolo di inventore di costruzioni, come narratore il suo potere è sempre più limitato. La politica e l’economia hanno azzerato le sue visioni. L’architetto è strumentalizzato, relegato ad una competenza specifica in un quadro più vasto di competenze.
Uno specialista di lusso, un prodotto da commercializzare. Nella sempre più frequente assimilazione a un’ artista, l’architetto perde la sua tradizionale capacità di prefigurare società, e mondi, oltreché edifici. Ma forse potrebbe essere anche l’esatto opposto: nella perdita della sua tradizionale capacità di prefigurare società, e mondi, limitandosi ai soli edifici, l’architetto finisce per assimilarsi a un artista, o a uno stilista. Ad semplice produttore di creatività artificiale.

Oggi quella dell’architetto è una figura solitaria.
La sua solitudine, specchio della solitudine dell’uomo contemporaneo è un dato preoccupante, inquietante, su cui varrebbe la pena di riflettere.
La solitudine è un assenza di tempo. Il suo raggiungimento coincide forse con l’istante della creazione artistica, oppure con il rapporto vita e lavoro. la solitudine oggi è la condizione permanente in cui viviamo anche quando non siamo soli.
Nel 1965 Alvin Toffler parla della nascita di una nuova specie umana nomadica nello spazio, vorace di media, consumatrice d’arte, contraddistinta dalla sua automobilità. Toffler raccontava ieri, il nostro presente con una lucidità impressionante.
Pensate ora a come questo pensiero negli anni è stato tradotto in architettura. Distruggendo ogni utopia ed esaltando il valore del reale, ed è proprio la lettura del reale che può dare nuovo significato all’architettura. Dalla morte dell’utopia vista come prospettiva (promessa mai mantenuta) del futuro nasce un’ architettura specchio della società in trasformazione, nessuna prefigurazione ma un attenta e continua riscrittura del reale. Una finta Utopia. E sono proprio gli architetti che resistono a prefigurare il futuro a raccontare la solitudine dell’uomo ipermoderno.



Figure

La nostra riflessione comincia dalla figura eroica di John Hejduk, architetto solitario, scomparso all’alba del nuovo secolo capace di trasfigurare la propria condizione in un’architettura simbolica che sembra rispecchiare il suo desiderio di resistere alle trasformazioni del mondo.
Per Hejduk le architetture sono contenitori di pensieri, che raccontano la vita dopo che il pensiero le abbandonate. L’architettura infatti è il risultato di un percorso di conoscenza che si manifesta attraverso la forma. E da quella di un artista Absalon, la cui proposta può definirsi come una vera e propria ricerca sulla riduzione estrema dello spazio architettonico al fine di ottenere la costruzione della solitudine come forma di resistenza.
Hejduk inventa simboli e forme per re immaginare il mondo, Absalon usa la forma per resistere al mondo. Per l'artista, la solitudine non è uno stato di privazione, ma una condizione necessaria per resistere, un confine capace di proteggere l’individuo dalla standardizzazione della vita. Da questo stato di separazione dal mondo fortemente desiderato, nasce una nuova condizione di vita. É la rottura con il mondo che crea una solitudine, fisica ed mentale, che non deve essere letta come una rinuncia, ma come una nuova di vita che consente all'artista di creare le condizioni per costruire territori di libertà.

John Hejduk, per parlare di solitudine sceglie Venezia, per mettere in scena un dialogo tra due progetti. Il cimitero delle ceneri del pensiero e la Wall house 3.
Il cimitero è pensato per grandi scrittori Proust, Dante, Milton, Melville, è il luogo del pensiero e della memoria, forse possiamo considerarlo metafora del museo. La casa invece si trova nella laguna, su un isola artificiale. Solo una persona, il visitatore, per un tempo prestabilito di tempo può abitarla, e non sarà permesso ad altri di restare sull’isola durante il suo soggiorno.
Il solitario, attraverso la laguna, guarda al cimitero delle ceneri del pensiero. Questo guardare è il momento esatto in cui l’architettura si mette in mostra e si trasforma in una costruzione di senso, e costruisce il suo futuro nella memoria del visitatore.





Schermata 2020-01-21 alle 09.46.29.png

 

Le cellule di Absalon sono spazi diversi che incapsulano un solo corpo. Ma al contrario della casa di Hejduk, pensata per un isolamento temporaneo, e per un attività di osservazione del mondo le cellule di Absalon sono la matrice per la costruzione di una solitudine necessaria per relazionarsi al mondo contemporaneo.
Absalon immaginava le sue cellule come modelli per un modo diverso di vivere. Non sono solo modelli per un individuo che ha deciso di vivere in modo diverso, lo sono per un'intera civiltà.
Mi piacerebbe rendere queste cellule le mie case, in cui definire i miei sentimenti, coltivare i miei comportamenti. Queste case saranno meccanismi di resistenza a una società che mi impedisce di diventare ciò che devo diventare .

La scelta della solitudine per Absalon favorisce l'emarginazione dalla nostra cultura attuale, così come il rifiuto di tutte le norme standardizzate. Una marginalità che è accentuata dalla localizzazione delle celle nelle periferie delle città scelte, per un esistenza nomade.
Ognuna delle sei celle è un'unità vivente pienamente funzionale, designata per diventare il suo habitat personale in una città specifica. Come asserisce Absalon, Queste case saranno un mezzo di resistenza per una società che mi impedisce di diventare ciò che devo diventare.


A mechanism that conditions the movements. With time and habit, this mechanism will become my comfort … The project’s necessity springs from the constraints imposed … by an aesthetic universe where things are standardized… I would like to make these Cells my homes, where I define my sensations, cultivate my behaviours. These homes will be a means of resistance to a society that keeps me from becoming what I must become.

Heiduk, Absalon, raccontano condizioni diverse, il primo definisce un pensiero utopico in cui la solitudine e l’isolamento sono una scelta, riferendosi alla condizione dell’individuo che cerca di isolarsi dal mondo osservando il mondo stesso, il secondo decreta la morte di ogni utopia, racconta la società, il vivere assieme ma isolati.
La solitudine è una condizione imposta dal mondo una situazione sociale ed urbana. Ognuno di loro da forma alla solitudine pensando l’abitare.

Tra questi due estremi ci accorgiamo che sono tanti gli architetti e gli uomini che indagano o hanno indagato con presupposti diversi questa condizione, noi cerchiamo di seguirne alcuni:

Keisuke Oka un danzatore di Tokyo abbandona il suo lavoro, per costruirsi da solo una casa utilizzando il cemento armato, la ButoHouse, Ila Beka & Louise Lemoine lo osservano per una giornata seguendone i movimenti lenti, cercando di capire se la sua dedizione alla costruzione sia prima di tutto un’esigenza spirituale.
Sergio Ferro, da esule continua a riflettere sul ruolo dell’architettura sotto il capitalismo. La sua teoria, sviluppata con il gruppo Architettura Nova tra il 1950 e il 1960 dimostra come il progetto di architettura debba essere considerato come un processo attraverso il quale il plusvalore è estratto dal sistema di produzione. Il suo pensiero nasce e reagisce di fronte alla costruzione dell’architettura iconica di Brasilia.
La figura di Fernand Pouillon è segnata dall’emarginazione da un profondo anticonformismo rispetto alla generazione dei padri, aristocratica, ribelle e soprattutto romantica, simile a quella di un Don Chisciotte, che decide di combattere i propri fantasmi. Figura ambigua, dotato di un’immensa cultura architettonica, fu un uomo insoddisfatto, indotto a giudicare con eccessiva severa lucidità le proprie realizzazioni, avrebbe forse voluto essere considerato come l’ anonimo capomastro dell’abazia di Thoronet che aveva tentato di resuscitare nel suo romanzo Le pietre selvagge nelle cui pagine forse è nascosta la chiave di lettura della sua architettura.
Tutti questi architetti hanno provato in modi diversi a prefigurare luoghi e spazi mentre oggi sembra che un’altra figura si sia impossessata dello spazio dell’immaginazione, La Bestia proposta da Hernan Diaz Alonso ci dimostra come ogni singola individualità viene cancellata dall’algoritmo che sostituendosi alla nostra memoria sta decretando la fine dell’autore così come siamo abituati ad immaginarlo. L’architettura forse sarà, sempre di più, esposta ad un perpetuo stato di trasformazione generata dalla macchina. E noi resteremo soli con la nostra memoria.



 

 

 

January 22, 2020 /luca galofaro
Architecture 2017, Catalog 2017
Cover_clean.jpg

ARCHIVIO

June 07, 2018 by luca galofaro in Architecture 2017, Magazine 2017

Promemoria Group
Archivio N01
Dec 2017-June 2018

www.archiviomagazine.com

 

ARCHIVIO, è un nuovo progetto editoriale indipendente ideato da Promemoria.

_MG_05.jpg

Il magazine analizza diversi temi della contemporaneità, rileggendoli attraverso una chiave inedita, il grande patrimonio della memoria collettiva rappresentato dagli Archivi. Ogni numero, tematico, attraverserà infatti cultura, arte, design, scienza, musica, moda, cinema, fotografia, ricontestualizzando ognuno di questi mondi attraverso la lente speciale della memoria, coinvolgendo il patrimonio degli archivi storici delle istituzioni e degli enti pubblici di tutto il mondo. L’editoriale del primo numero è un vero e proprio Manifesto programmatico, celebra il primo archivio della storia, il nostro cervello, che dalla nascita comincia a incamerare dati da ripescare nel momento esatto in cui ne abbiamo bisogno. Gli archivi raccontano e allo stesso tempo nascondo storie, interpretazioni e mondi sempre nuovi da esplorare. Gli archivi di cui si parla sono luoghi reali, spazi fisici in cui sono organizzati materiali di ogni tipo. I loro custodi diventano i veri protagonisti delle storie raccontate.

_MG_010.jpg

Non è un caso che il film Blade Runner 2049, prefigura un futuro nel quale tutte le informazioni della rete sono andate perse dopo un colossale black out che ha investito il mondo intero. Ogni informazione è andata perduta. Quello che resta, sono gli archivi materiali, sono le uniche informazioni che abbiamo sul nostro passato, da questi frammenti sarà possibile ricostruire la nostra memoria.Attraversando la rivista, ci muoviamo tra l’archivio storico della fiera Milano per analizzare il boom economico oppure ci imbattiamo nel lavoro di Ugo La Pietra custodito nell’archivio storico della triennale di Milano. Per poi viaggiare nell’archivio della città di Stoccolma in cui possiamo guardare i Film di Bergman o il museo Ikea. Insomma una viaggio senza sosta nella memoria in cui troviamo sempre un riflesso della contemporaneità.

 

_MG_024.jpg
June 07, 2018 /luca galofaro
Architecture 2016
Architecture 2017, Magazine 2017
5a720c024100489c967630c3ac10015c.f5fb7444.jpg

PICTURES OF THE FLOATING MICROCOSM

June 04, 2018 by luca galofaro in Architecture 2017

Oliver Meystre
Pictures of the Floating Microcosm

Parks Books 2017


Il libro di  Olivier Meystre, Pictures of the Floating Microcosm: New Representations of Japanese Architecture, è un saggio accurato, sulla rappresentazione del progetto nell’architettura contemporanea giapponese. Assonometrie, modelli, disegni al tratto, dettagli, non sono solo metodi di rappresentazione ma una forma di narrazione che accompagna i progetti di architettura dalla fase iniziale fino alla realizzazione finale dell’opera. Una grammatica di linee e forme caratterizza i disegni  di Junya Ishigami, Ryue Nishizawa, Kazuyo Sejima, e tanti altri architetti giapponesi. La loro leggerezza ha raggiunto il grande pubblico superando di gran lunga paesi dove l’architettura disegnata ha sempre fatto parte della tradizione storica, pensate all’Italia del dopoguerra. L’architettura radicale, la Tendenza, la Scuola Romana, momenti diversi in cui l’idea della rappresentazione formava un unicum con la teoria del progetto.

MEYSTRE IMAGES.jpg

La ragione è nascosta nella capacità dei progettisti giapponesi di riuscire a fondere pensiero e spazio in una forma di rappresentazione che non è lingua ma esigenza espressiva. Quasi non esiste differenza tra progetto e sua rappresentazione, entrambe raffigurazioni di spazi da abitare oggi,  senza nessuna rinuncia alla tradizione e alla memoria. Come gli architetti giapponesi progettano e disegnano e il fulcro centrale del libro di Meystre’, che combina immagini e dialoghi con gli autori, la sua infatti non è tanto la voglia di dare forma ad una teoria ma aiutarci a capire attraverso le parole dei protagonisti un metodo.

Meystre disegna con le parole una serie di sezioni tematiche, che sulla base della rappresentazione definiscono i metodi di costruzione del progetto. Il dialogo tra architettura e paesaggio, la semplicità di forme e concetti sono sempre una rappresentazione di soluzioni spaziali.  La corrispondenza tra realtà ed immaginario è la caratteristica di una forma espressiva che è essa stessa architettura. Un libro coinvolgente e poetico, che invece di mettere in scena l’architettura segna una mappa dell’immaginario di un’intera generazione, raccontando lo spazio nel suo lento prendere forma.

 

June 04, 2018 /luca galofaro
Architecture 2017
LOT-EK-object+operations-cover-3D-p-630x630.jpg

LOT-EK: OBJECTS+OPERATIONS

June 04, 2018 by luca galofaro in Architecture 2017

Ada Tolla - Giuseppe Lignano con  Thomas de Monchaux
LOT-EK
Monacelli Press, New York 2017
 

Ada Tolla e Giuseppe Lignano fondano lo studio LOT-EK nel 1993 a New York. Da quel momento nasce una sperimentazione coerente e incessante fatta attraverso un’ architettura incapace di scendere a compromessi. I loro progetti sono antimoderni per costituzione, non esiste nessun compiacimento formale, nessuna tentazione a seguire i paradigmi alla moda del contemporaneo.  Una coerenza che genera un’architettura unica ed imitabile, che utilizza la cellula modificabile all’infinito.

03_1000.jpg

Scuole, residenze, installazioni, spazi pubblici nascono dall’interpretazione e dal montaggio messo in opera sempre attraverso lo stesso elemento, il container, che viene utilizzato come superficie o volume, scavato, tagliato e piegato, distrutto per poi essere riparato. Anche qui come nelle opere di Attia la riparazione non è nascosta ma mostrata. Quello che nasce dalla decostruzione del singolo elemento è sempre uno spazio. Nessuna ripetizione ma una reinvenzione continua. Il libro scritto in collaborazione con  Thomas de Monchaux usa la fotografia come un sistema di scrittura. Foto utilizzate come modelli spaziali su cui costruire la complessità, vengono accostate alle immagini dei progetti, da questi accostamenti scaturiscono significati e strategie operative. In un momento in cui le monografie perdono di significato per la presenza in rete di una grande quantità dei progetti degli architetti. Il libro monografico acquista per LOT-EK  un nuovo significato, è esso stesso progetto e manifesto.

 

 

 

June 04, 2018 /luca galofaro
Architecture 2017
1473088229.jpg

CEDRIC PRICE WORKS

June 04, 2018 by luca galofaro in Architecture 2017

Samantha Hardingham
Cedric Price Works 1952-2003
AA\CCA 2017

Una monumentale opera completa in due volumi dedicata al lavoro dell’architetto Britannico  Cedric Price, 1400 pagine, oltre 900 immagini fra disegni, modelli e fotografie, 112 progetti elaborati dall’architetto nel suo studio londinese. Nel primo dei due volumi, i progetti presentati attraverso schizzi, note a margine e montaggi. Nel secondo articoli, conferenze e relazioni di concorsi, mettono in scena un altro aspetto fondamentale della sua architettura, la componente narrativa. Cedric Price era un visionario, che non ha mai voluto perdere di vista il reale, sono convinto che per tutta la vita abbia lavorato ad uno stesso progetto, che entrando in contatto con contesti diversi, cambia di volta in volta. Ogni contesto ha trasformato l’architettura, modificandola formalmente ma mai dal punto di vista concettuale. Macchine per il divertimento, Fun Palace, o per l’apprendimento, Potteries Thinkbelt, mettono a sistema territorio, economia e programma. La parte più interessante del libro è rappresentata dai   progetti meno noti, e dai  testi che raccontano un lavoro coerente in cui l’attenzione per il reale supera di gran lunga la componente radicale. Price ha influenzato con il suo lavoro teorico intere generazioni di architetti. Lontano dal glamour degli architetti radicali della sua generazione, ha saputo coniugare professione, insegnamento e sperimentazione.

03_CP_Works_spread.jpg

Nella sua carriera Price ha fatto pochi libri, solo una monografia nel senso tradizionale del termine. Ma attraverso i suoi interventi pubblici ha  raccontato una storia molto personale, fatta di idee sulla città e per la città. L’architettura è stata lo strumento attraverso il quale realizzare queste idee. La forma finale del progetto aveva un importanza secondaria, la coerenza di pensiero invece è rimasta intatta lungo tutta la sua attività progettuale. Per questo motivo la scelta di utilizzare il libro come fosse un archivio, ordinato secondo la cronologia dei progetti, mi sembra perfetta. Difficile infatti pensare un organizzazione diversa, le parole e le immagini assumono così un senso nuovo, creano una sorta di grammatica attraverso la quale costruire un discorso di senso sulla città contemporanea. Questo libro è uno straordinario strumento di consultazione, che libera l’immaginazione del lettore accompagnandolo in un viaggio  in un mondo tutto ancora da esplorare.

08_CP_Works_spread.jpg

 

Cedric Price Works 1952–2003: A Forward-Minded Retrospective by Samantha Hardingham is a two-volume anthology, co-published by the Architectural Association (AA) and the Canadian Centre for Architecture (CCA), and is supported by the Graham Foundation and the Cedric Price Estate. The books bring together for the first time all of the projects, articles and talks of British architect Cedric Price, aiming to present his munificence as thinker, philosopher and designer. A student at the AA in the 1950s, Price established his office in London in 1960 and went on to produce some of architecture’s most intensely imaginative and experimental projects of the latter half of the 20th century. His work is central in defining architectural discourse around the emerging postwar themes of mobility and indeterminacy in design.

 

443682.jpg
June 04, 2018 /luca galofaro
Architecture 2016
Architecture 2017
marcher-dans-le-reve-dun-autre_F.jpg

WALKING THROUGH SOMEONE ELSE'S DREAM

June 04, 2018 by luca galofaro in Architecture 2017, Catalog 2017

Abdelkader Damani - Luca Galofaro
Marcher dans le reve d'un autre
Les Presses du réel 2017
 

Una premessa necessaria è spiegare la necessità di un'altra  Biennale d'architettura, la risposta è semplice, ad organizzarla è un museo d'architettura.
Dal 1991, il FRAC Centre-Val de Loire si afferma attraverso la sua collezione come luogo dedicato al rapporto tra arte e architettura nella loro dimensione più sperimentale.
 Il lavoro sulla costruzione della collezione,  ha riunito un patrimonio unico, un corpus di opere e progetti che rappresentano sessanta anni di innovazione. Grazie alle diverse edizioni del festival Archilab (laboratorio Internazionale di architettura), il Frac Centre-Val de Loire è diventato un attore importante nel network internazionale dei musei d'architettura.
Forte di questa eredità, la prima edizione della Biennale d’Architecture d’Orléans  dal titolo Camminare nel sogno degli altri (marcher dans le reve d'un autre) presenterà i punti di vista di oltre cinquanta architetti e artisti contemporanei, il loro sguardo sul mondo che cambia, attraverso la metafora del sogno, inteso come viaggio nella memoria e nel futuro.
Attraverso la biennale questi architetti ci racconteranno il loro modo di camminare nei nostri sogni, che delle volte quasi per caso coincidono con i loro, ci faranno viaggiare senza aver paura di tornare a raccontare la nostra storia in modi sempre diversi.
Una biennale laboratorio
La Biennale si sostituisce al laboratorio Archilab, e lo fa cominciando a riflettere su una condizione molto particolare, la ricerca fatta attraverso un dialogo costante con la memoria personale degli autori, e la memoria collettiva rappresentata dalla collezione.
Con molta curiosità con il direttore del museo Abdelkader Damani abbiamo cercato di instaurare un dialogo tra noi, gli architetti e gli artisti invitati sulla costruzione del progetto.
Una mostra infatti non è molto differente da un progetto di architettura, è qualcosa da vivere ed abitare, di questo siamo convinti entrambi.La fine del progetto moderno sulla "costruzione del mondo" ha ceduto il passo a un'epoca che invalida tutti i modelli normativi e le visioni unificanti. In un sistema di prossimità in cui non persiste nessun luogo, ma dove qualsiasi località - perfettamente collegata e visibile - si iscrive istantaneamente e senza filtri in un tutto. Ci siamo chiesti se in questa condizione è possibile sviluppare storie comuni e costruire la prossimità.  

Schermata 2018-06-04 alle 11.47.53.png



Collezioni
Questa è una biennale di collezioni che rifiuta di presentare l'architettura in un modo tradizionale, attraverso oggetti finiti, gli edifici. Vogliamo raccontare l'inizio del processo di costruzione e non la fine di questo processo. Costruire un'idea di mondo a volte mette a disposizione del pubblico qualcosa di diverso, la reale possibilità di condividere un percorso di costruzione di senso. Gli architetti e gli artisti invitati nel loro procedere verso la costruzione del progetto seguono pratiche diverse, il progetto infatti è prima di tutto per loro un percorso mentale di costruzione di un luogo allo stesso tempo immaginario e reale. Infatti nel progettare come nel sognare non si segue mai una narrativa lineare, entrambi i processi sono caratterizzati da un' esigenza  del vagabondare.
Abdelkader Damani insiste molto su quest'idea del vagabondare nell'architettura contemporanea, un vagabondare tra tempi e luoghi diversi, spesso uscendo da ciò che apparentemente non viene considerato necessario nella costruzione fisica dell'architettura, ma che invece accomuna il processo creativo di tutti gli architetti, e non solo.
 La presenza della collezione in questa biennale ci permette di avere nello stesso tempo e sullo stesso piano di lettura  temporalità lontane: memoria e attualità. Solo attraverso la collezione del museo infatti, siamo in grado di conoscere la nostra contemporaneità. Sono le narrazioni diverse a  trasformare l'archivio del museo in uno spazio nel quale il visitatore sarà il produttore di significati. Guardiamo all'archivio in modo differente, lo consideriamo un Atlante.
Con questa mostra inizieremo un viaggio che ci aiuterà nella ridefinizione della nostra destinazione. Vogliamo infatti far rivivere la collezione trasformandola in un laboratorio di pensieri, uno spazio eterotopico in cui prendono forma collezioni dentro collezioni. E' difficile conoscere con precisione il punto d'arrivo perché questa mostra è un modo per guardare il  mondo mentre lo si attraversa.La fine dell'utopiaLa collezione del Frac è spesso presentata come un viaggio attraverso l'utopia che nel corso del tempo ha avuto la capacità di creare le basi teoriche di ciò che realmente veniva costruito. Ma l'utopia così rappresentata ci dice poco sul futuro, o su quello che rappresenta un'idea di futuro. E' invece estremamente utile per capire il presente dei cosiddetti architetti dell'utopia, i loro mondi, e ancora più importante per misurare il tempo che stiamo vivendo. L'utopia descrive luoghi inesistenti tanto quanto desiderabili, il desiderio di un futuro richiamato sempre a riscattare il presente. Ma che resta oggi dell'utopia? Se non la consapevolezza del fatto che le utopie non si realizzano, e che forse è meglio così. Perché l'utopia è il limite estremo del nostro presente che si sposta di continuo, è la realtà che non ha più bisogno di prefigurare un futuro. Il futuro, come la crisi del sistema che rappresenta, è oggi uno dei principali dispositivi del potere, utilizzato per manipolare le nostre azioni e i nostri pensieri. Crediamo che il futuro si possa sempre cambiare mentre il passato no, è semplicemente fermo in un punto della nostra memoria. Niente di più sbagliato, Benjamin ha osservato che attraverso il ricordo noi agiamo sul passato lo rendiamo nuovamente possibile e per questo attraverso la lettura del passato riusciamo ad accedere  al presente. L'immaginazione deve dare ordine alle sequenze di immagini che invadono il nostro spazio mentale, costretto di continuo a selezionare frammenti. E' il primo strumento attraverso il quale costruire l'architettura. A questo punto dobbiamo stare attenti perché la parola immaginazione, può essere una parola pericolosa. Rischia infatti di giustificare ogni atto arbitrario interpretativo e di costruzione di pensiero di un individuo se non si fissa come punto di partenza che l’immaginazione non ha niente a che vedere con una fantasia personale o gratuita. Al contrario, essa ci fa dono di una conoscenza trasversale grazie alla sua forza intrinseca di montaggio  che consiste nello scoprire, la  dove essa rigetta i legami suscitati dalle ovvie somiglianze, dei legami che l’osservazione diretta non è in grado di discernere.
L’immaginazione è in realtà la capacità di orientarsi, di creare connessioni tra realtà diverse, quella capacità che Walter Benjamin descrive molto bene nel suo saggio sulla facoltà mimetica. Una lettura anteriore a ogni linguaggio, leggere ciò che non è mai stato scritto. Se le immagini viaggiano nel tempo, territorialmente e culturalmente come frammenti, secondo i canali ufficiali, libri, musei, opere, in tutti questi trasferimenti  subiscono delle trasformazioni, non sempre fisiche, dovute al variare del sentire  di chi le guarda.

Schermata 2018-06-04 alle 11.46.54.png


Metafore
Questa Biennale costruisce metafore e riflessioni sulle quali è possibile ripensare il ruolo dell'architettura, Black Square fa un'attenta ed ironica riflessione sul ruolo dell'Immagine, 2a+p camminano sul confine che separa i propri sogni da quelli di un altro architetto che in un piccolo disegno descrive la sua idea di Architettura Monumentale, Ettore Sottsass,  e loro hanno il coraggio di trasformarlo in un Architettura viva.
Dalla collezione appaiono le Metafore di Ettore Sottsass, costruzioni ideali realizzate tra 1972 e il 1979. Semplici immagini che contengono al loro interno una stratificazione di significati,  mettono in discussione l'architettura e il design. Sottsass era alla ricerca di un'alternativa, da costruire fisicamente attraverso tutto quello che ha sedimentato nel corso della sua vita trascorsa fino a quel momento attorno al design e all'architettura. Lo ha fatto costruendo velocemente gli spazi con quello che trovava, senza un progetto preciso ma forse attraverso la costruzione diretta di un immagine fragile, poi accompagnata da testi brevi.
La nostra biennale inconsciamente, ne raccoglie tante altre, e con la stessa curiosità cerca di fare lo stesso lavoro fatto da Sottsass dare  valore e significato alle immagini fragili.

Aristide Antonas riflette sul senso dell'abitare contemporaneo. L'abitare è per Antonas concepito come un rifugio, luogo dell'isolamento e allo stesso tempo spazio sociale.  L'oggetto sospeso, è un luogo da abitare e definisce con estrema chiarezza la condizione del ritiro, del trovare una distanza dalla realtà, restando immersi al suo interno, lo spazio domestico è un nodo della rete, che costruisce il palinsesto di una nuova urbanità, qui la distanza tra la condizione individuale e quella collettiva è difficile da stabilire.  Didier Faustino pensa a un futuro nemmeno troppo lontano in cui sarà necessario proteggersi ad ogni costo da tutto quello che ci circonda e apparentemente ci minaccia. Le sue gabbie metalliche rivisitano l'architettura dei Bunker, un'archeologia del futuro di cui oggi è visibile solo la parte più nascosta, l'armatura del cemento. La temporaneità della Palestina è raccontata da Saba Innab that gradually transforms or deforms into permanence...dove la distanza prende forma lentamente attraverso frammenti ed oggetti instabili.
Alla base di questo percorso di riscoperta del tempo e dei luoghi l'esperienza personale si sovrappone il desiderio di trasformare l'architettura in una storia alternativa dove l'uomo si confronta sempre con il paesaggio, sfondo immutabile ed eterno alle costruzioni. La metafora è lo strumento di connessione tra due mondi quello interiore e quello della natura. è la forma di lettura del tempo e della storia, la stessa forma che in modi diversi e con strumenti diversi da vita alle sequenze di spazi ed immagini narrate da Alexander Brodsky, uno dei maggiori esponenti del movimento Bumazhnaja Architektura (Architettura di carta). I suoi progetti sono la sintesi di elementi architettonici, grafici, letterari, umani e naturali, che  si propongono come fenomeno culturale autonomo.

Per Brodsky e gli altri architetti invitati l'architettura è prima di tutto un luogo mentale, lo spazio della conoscenza.Uno spazio del dialogo
La Biennale esce dagli spazi del museo, penetra i territori della regione e della città, attraversando i sogni e le diversità degli architetti e degli artisti invitati. Per farlo utilizza l'architettura come un dispositivo per far dialogare finzione e realtà, trasformando la disciplina in uno spazio di dialogo e confronto: il visitatore sarà accolto da un luogo dell'ospitalità concepito da Patrick Bouchain e dal gruppo PEROU. Qui si scoprirà un "rifugio della scrittura" per una storia dell'architettura ri-scritta con l'architetto e sociologo Jean-Pierre Frey, un'università popolare, un'isola per i bambini.
La strada di fronte alla Cattedrale, diventerà nel periodo della Biennale una mostra a cielo aperto, in cui artisti ed architetti ridisegnano le bandiere che di solito decorano il fronte urbano.
La chiesa Collégiale Saint-Pierre-le-Puellier ospiterà il lavoro di Aristide Antonas, Dider Faustino, Obra, Black Square, Nikola Jankovic, che guardano al futuro in modo molto particolare. Infine, la Biennale sarà il primo evento a riaprire la Vinaigrerie Dessaux, di proprietà della città di Orleans lasciata a riposo per diversi anni prima che l'edificio diventi sede di un nuovo luogo dedicato alla creazione contemporanea con una sezione dedicata ai Video di architettura.
Nella Regione il centro d'arte le Tanneries à Amilly ospiterà parte degli architetti invitati, Manthey Kula e Thomas Reynould  ed una monografica sull'architettura di Guy Rotier, che per primo ha anticipato tanti temi dell'architettura contemporanea.
Questa prima edizione della Biennale d’architecture d’Orléans che inaugura ad ottobre e resterà aperta fino ad Aprile, è sostenuta dalla speranza che il visitatore possa entrare in sintonia con i progetti esposti quando attraverserà i diversi spazi e luoghi investiti da questo evento , leggendo l'architettura in modo diverso da come è abituato a fare.

Schermata 2018-06-04 alle 11.50.06.png

 


 

 

 

June 04, 2018 /luca galofaro
Architecture 2017, Catalog 2017
morandi.jpeg

THE ROOM OF ONE'S OWN

June 04, 2018 by luca galofaro in Architecture 2017

Dogma
The room of one’s own
Black Square Press 2017

Se si consulta un saggio pubblicato oggi su una tema specialistico, si può facilmente rilevare che il più delle volte la bibliografia non va oltre una pagina e i riferimenti non vanno molto indietro negli anni. I saggi vengono costruiti senza consultare una biblioteca reale, le ricerche vengono per lo più sviluppate on line, ed in molti documenti fruibili sul web manca spesso una data di riferimento, mentre le date sono un punto di partenza necessario. Oggi infatti si è persa qualunque profondità temporale, e forse questo libro ci aiuta a ritrovarla. Per questo motivo per cominciare a parlare di The room of one’s own di DOGMA è necessario cominciare dalla fine. La bibliografia comincia a pag 124 e termina a pagina 130 poco meno di 280 libri di riferimento, necessari per tracciare la storia della stanza in architettura.Ma andiamo con ordine e ricominciamo dal principio, per costruire un libro non di storia come siamo abituati a leggere oggi, Dogma costruisce qualcosa a metà tra saggio e dizionario enciclopedico illustrato. Per farlo sovrappone  tre narrazioni diverse. Un testo critico che ripercorre in sette atti, la storia dell’architettura, descrive in principio la stanza come spazio dell’individualità, attraverso le considerazioni di scrittori e filosofi, per poi trasformarla in un concetto astratto e passare all’evoluzione della sua forma.Dallo  spazio circolare delle culture primitive a quello rettangolare che ha permesso di cominciare a pensare per sistemi aggregati. In ogni periodo storico la stanza assume significati diversi, tanto che una cultura viene caratterizzata da una stanza specifica; dal Megaron,  all’Oikos della cultura greca, dal Cubicola romano fino alla cella monastica per poi giungere alla grande varietà di stanze del Rinascimento.

melville.jpeg

Dogma prosegue seguendo un percorso logico preciso, legge ed interpreta la storia come progetto, traccia una mappa mai scritta per portarci fino al  XX secolo, e al significato politico della cellula base dell’architettura. Nella seconda parte 64 piante ripercorrono, attraverso un atlante ridisegnato per l’occasione, le tracce segnate dal testo principale.  Le tavole atlante sono capaci di mettere in sequenza diagrammi planimetrici delle stanze, sistemi aggregativi, definizioni e motivazioni degli esempi scelti.

L’ultima parte è composta da 48 tavole, una sorta di ricostruzione archeologica di immagini perdute o disperse nelle pagine di romanzi, biografie e fotografie d’epoca o frutto esclusivo dell’interpretazione degli autori. Le tavole rappresentano le stanze di personaggi famosi. Queste Immagini raccolte come dittici in modo da amplificarne il significato, formano una sequenza temporale non lineare. Ogni  dittico produce attraverso la contrapposizione delle due parti una dichiarazione. Troviamo lo studiolo di Francesco I con la stanza di Joel Orton e Kenneth Halliwell, a segnare il tempo delle sopravvivenze. La camera da letto di Virginia Woolf e il Cabanon di Le Corbusier, lo spazio del pensiero e dell’emancipazione. Lo studio di Sigmud Freud e il Mrzebau di Kurt Schwitter, lo spazio della memoria e dell’inconscio. Questa parte nasce e si sviluppa attorno ad un’analisi attenta di fonti iconografiche capaci di far produrre agli autori una serie di illustrazioni (disegni a fil di ferro) che guardano l’interno di queste stanze da punti di vista prestabiliti, in modo da permetterci un facile confronto tra i modelli scelti. Un lavoro sulla memoria, in cui il disegno diventa quasi magicamente progetto. Un aspetto importante è che molte delle stanze scelte sono state abitate da personaggi famosi, scrittori, architetti, artisti. Quasi a voler dimostrare che lo spazio interno si completa solo nel momento in cui viene abitato e quindi attraverso gli oggetti che contiene, prende la forma esatta del suo abitante.

proust.jpeg

Ecco se mettete assieme tutto questo e se poi diciamo che l’autore non è un singolo architetto, ne un insegnante con un gruppo di studenti ma uno studio di architettura, capiamo che oggi è ancora possibile pensare un libro come un vero e proprio strumento di ricerca. Riusciamo a comprendere come attraverso un libro uno studio di progettisti possa raccontare la sua idea di architettura senza mai usare  la parola teoria, ma usando la storia come strumento conoscitivo ed interpretativo.

In questo libro non è importante solo ciò che c’è ma anche ciò che è assente. Il lettore leggendo lo aggiunge mentalmente, diventando non solo fruitore ma anche produttore di contenuti. Nel processo mentale dei lettori è infatti nascosta la qualità di questo lavoro. Io continuo a disegnare mentalmente le stanze che ritengo importanti completando il percorso tracciato da Dogma. Qualcuno potrà dire, oggi è facile raccogliere tutte queste semplici informazioni, se interpelliamo il web abbiamo di fronte a noi la memoria del mondo e un incredibile quantità di siti web che ci mettono di fronte informazioni di ogni tipo, tempi e luoghi che si sovrappongono senza fine.

Ma come facciamo a selezionare solo quelle parti che ci interessano? Ecco per farlo dobbiamo fidarci di quegli autori capaci di trasformare la memoria in una narrazione fluida e senza interruzioni. Dobbiamo fidarci della loro logica, e seguendoli leggendo fino alla fine ci accorgeremo che potremo guardare lo spazio in cui viviamo in modo diverso. Ho cominciato questo breve testo dalla Bibliografia, mi sembra giusto quindi chiudere con il titolo per ristabilire un ordine naturale. Nel 1928 Virginia Woolf fu invitata a tenere una conferenza sul tema "Le donne e il romanzo". Il risultato è uno straordinario saggio, dal titolo The room of one’s own (Una stanza tutta per se) vero e proprio manifesto sulla condizione femminile. Come poteva una donna, si chiede la scrittrice inglese, dedicarsi alla letteratura se non possedeva "denaro e una stanza tutta per sé"? La stanza per scrivere è per la Woolf la metafora di una condizione di libertà, un simbolo di emancipazione, uno spazio necessario alla vita.

_Rooms_VIRGINIA WOOLF.jpg

Così anche per Dogma la stanza racchiude un significato preciso, è il luogo della libertà ma anche metafora di un mondo che cambia e un vincolo che ci costringe ad una vita in cui è sempre più difficile riuscire a riconoscere il limite tra pubblico e privato, tra lavoro e vita domestica, un luogo del dubbio. La stanza è lo spazio da cui ripartire e in cui ritrovare una dimensione comune. Una stanza tutta per se in cui accogliere le vite degli altri.

 

June 04, 2018 /luca galofaro
Architecture 2016
Architecture 2017

ATLAS OF ANOTHER AMERICA

April 07, 2017 by luca galofaro in Architecture 2017

Keith Krumwiede
Atlas of Another America
An Architectural Fiction
With an afterword by Albert Pope

Atlas: Atlante, nome di un titano del mito, condannato a reggere sulle spalle la volta celeste. Dal personaggio del mito una moltitudine di accezioni: dalla vertebra che sorregge il sacro peso del capo al volume che regge la conoscenza geografica del mondo intero. L'atlante acquista nelle mani degli architetti un valore preciso, è sinonimo di conoscenza visiva, narrazione non lineare costruita attraverso, segni, immagini e parole. Georges Didi Huberman ha scritto che l'Atlante non è solo una collezione di immagini, ma una forma di conoscenza visuale e un infinito archivio che produce significati diversi attraverso un operazione di montaggio di chi lo costruisce. Non delude il lavoro Keith Krumwiede, perchè con grande ironia scrive un saggio visuale,  una nuova storia della casa unifamiliare in america. Una geografia del futuro dove il sogno si contrappone al reale fondendo assieme critica di costume, e riflessione socio economica. La casa unifamiliare è diventata uno strumento che consuma il nostro territorio, l'America è solo il luogo in cui il fenomeno coincide con un sogno ben preciso. Che contrappone alla città altri luoghi, in cui è lo spazio privato a costruire un tessuto in cui non esiste alcun tipo di spazio condiviso. Krumwiede, conosce molto bene il fenomeno e ne traccia una serie di mappe che confondono i tempi e i luoghi, in cui il passato coincide, tragicamente aggiungo io, con un idea di futuro.  Un percorso, a ben guardare, estremamente simile all’oggetto-Atlante in sé, luogo programmatico di rottura e stravolgimento di qualsiasi immediata linearità tra le immagini. Al di là del suo statuto di oggetto, l’atlante può essere considerato allora come una vera e propria forma cognitiva e quindi narrazione perfetta del mondo che potrebbe essere. Un lavoro sull'interpretazione dei sogni che se organizzati attraverso un percorso critico, possono produrre un modo diverso di scrivere di architettura. Quello che emerge da questo atlante è anche la crisi del sogno, che nel momento in cui viene ripetuta all'infinito, diventa incubo.
La singola casa aggregata in modi sempre diversi ridisegna il territorio, utilizzando la griglia come matrice aggregativa.

La nota ironica è che la ricerca sul futuro viene presentata come fosse architettura storicizzata, e quest'ironia riesce in un certo senso a metterci in guardia di fronte al ciclico ritorno delle correnti del passato. Rileggere la storia infatti, non come operazione postmoderna, ma come forma di interpretazione e lettura della storia stessa in chiave critica.
Nessuno di noi vorrebbe che Freedomland diventi realtà.
Il libro è ricco di elaborati grafici e di una serie di immagini, che giocano in modo elegante con le forme del passato.

Freedomland” is a fictional utopia of communal superhomes constructed from the remains of the suburban metropolis.

978-3-03860-002-2_Atlas-of-another-America_3.jpg

 Chiude il libro un appendice, con cinque saggi sulle origini di  Freedomland. Tra tutti la reinterpretazione di Typical plan di Rem Koolhaas, Supermodel homes che ripercorre la storia del costruttore David Weekley, Notes on Freedomland che raccoglie i desideri degli abitanti, dei costruttori e dei possibili abitanti di queste case. Presenta il libro Albert Pope.

April 07, 2017 /luca galofaro
Architecture 2016
Architecture 2017
Terminal per traghetti tra i fiordi di Forvik

Terminal per traghetti tra i fiordi di Forvik

MANTHEY KULA

April 06, 2017 by luca galofaro in Architecture 2017

Manthey Kula
di Luca Galofaro
LIBRIA Melfi 2017

It is a place where speculation and risk is welcomed and where you are forced to formulate what values you have and what qualities you search for.

Un'architettura antimoderna quella del gruppo Manthey Kula, che non cerca di rifondare la disciplina, opponendosi alle dinamiche del moderno, come fa un certo tipo di avanguardia, ma che con il moderno cerca di innescare un dialogo.  Al loro lavoro calza alla perfezione la definizione usata in letteratura da Antoine Compagnon per definire gli Antimoderni, Sono moderni lacerati, carichi di dubbi su di sé, proprio in quanto moderni. Più correttamente, nei loro confronti, potremmo parlare di un «antimodernismo dei moderni» [2] Secondo Antoine Compagnon I cinque tratti caratteristici dell'arte moderna sono identificati in altrettanti momenti cruciali della tradizione moderna e si fondano sulla tradizione del nuovo. Lo svolgimento di questa "tradizione del nuovo" era basata sull'idea che in arte esistesse un progresso, che l'evoluzione delle forme artistiche avesse un fine. Il postmoderno rinnega questa tradizione. Gli Antimoderni sono gli unici capaci di resistere, perché capaci di ripartire da ciò che è stato il Moderno. Nella condizione che stiamo vivendo oggi in architettura, nel momento in cui ci rendiamo conto che non esiste un progresso e che il postmoderno ha bloccato ogni tipo di riappropriazione del classico. 
Il nuovo in architettura è un paradosso, non riusciamo più a definire il futuro, non siamo più in grado di affrontare la teoria, la cultura di massa ha invaso larealtà del quotidiano che si appropria delle nostre vite, non abbiamo più nulla da rinnegare ne da sognare. Ci troviamo in un momento molto particolare, in cui la critica non riesce a guidare le scelte degli architetti, manca ogni tipo di discussione profonda sulla disciplina, che naufraga tra paradigmi diversi, tra prese di posizione formali o pseudo teorie socio economiche. Ci siamo tutti dimenticati che l'architettura procede sempre in anticipo sulla critica, per la stessa ragione per cui un esploratore procede sempre davanti al cartografo, alla testa della spedizione, aprendo la strada, e che lo stesso incorruttibile individualismo che anima la ricerca dell'architetto gli consente di scoprire, in determinate opere, virtù nascoste dimenticate da tutti ma vitali per lui, per l'esplorazione che conduce con la propria opera. Il loro procedere alla scoperta di nuovi territori, non è una ricerca del nuovo a tutti i costi, ma un nuovo inizio per l'esplorazione lenta di ciò che si è stratificato nella nostra memoria. Gli edifici di Manthey Kula semplicemente prendono forma senza una ragione apparente è come se un sistema di forze già presenti nei luoghi diventi immediatamente visibile. Basta osservare I ponti per la pesca di Myrbaerholmen e i servizi igienici stradali di Akkarvik, I primi sono ponti pedonali e passerelle da cui si può pescare ed ammirare la vista sull'Oceano Atlantico, i ponti curvati isolano i movimenti pedonali dai flussi veicolari, queste aree sono collegate alla struttura principale da semplici scale, rampe e passerelle. Un elemento semplice come la ringhiera viene ridisegnato in modo tale da consentire e migliorare le attività di pesca per i disabili. Il secondo un piccolo padiglione che come un opera di land art segna il paesaggio. Ma oltre alla costruzione c’è una componente diversa nel lavoro dello studio norvegese, un esigenza narrativa, un percorso tra memoria e lettura del reale capace di innescare un processo di analisi quasi astratto sull’abitare lo spazio, su questo percorso si fondano le condizioni del progetto di architettura.

ponti per la pesca di Myrbaerholmen

ponti per la pesca di Myrbaerholmen

Lo scrittore Javier Cercas ha una teoria molto personale, che utilizza per costruire i suoi romanzi,  la teoria del punto cieco.  I nostri occhi hanno un punto cieco, un punto sfuggente, laterale e non facilmente localizzabile, situato nella retina, che è privo di recettori per la luce che lo attraversadal quale non si vede nulla. Questo accade per entrambi gli occhi, non ce ne accorgiamo perché durante la visione dinamica un occhio corregge l'altro, i punti ciechi destro e sinistro non coincidono mai. Javier Cercas sostiene che al centro dei suoi romanzi c'è sempre un punto cieco, attraverso il quale non è possibile vedere nulla, un punto in cui la realtà della narrazione acquista una nuova forma.

... Ora è proprio attraverso quel punto cieco che, in pratica, i romanzi vedono. E' proprio attraverso quell'oscurità che questi romanzi illuminano, è proprio attraverso quel silenzio che questi romanzi diventano eloquenti...L'enigma è il punto cieco, e il meglio che hanno da dire questi romanzi lo dicono attraverso di esso: attraverso quel silenzio pletorico di senso, quella cecità visionaria, quello oscurità luminosa, quell'ambiguità senza soluzione. Quel punto cieco è ciò che siamo.

Josabeth Sjoberg

Josabeth Sjoberg

A me sembra che la ricerca del punto cieco sia il modo inconsapevole attraverso il quale MK cercano di costruire la propria idea di architettura. Il punto cieco per loro è un punto di equilibrio tra teoria e pratica, tra costruzione fisica e produzione mentale di uno spazio. Lo spazio per loro è prima di tutto una cosa mentale. Siamo abituati a pensare la struttura come una parte essenziale del progetto di edificio, ciò che sostiene e ci permette di vivere lo spazio. Se osserviamo con attenzione il progetto Ode to Osaka, vediamo una membrana leggera che racchiude uno spazio, ma allo stesso tempo percepiamo una forza innaturale in questo ectoplasma, una presenza che non è solo struttura ma nel suo prendere forma sembra sostenere e resistere al peso del solaio in cemento del museo esistente. E' uno spazio effimero, un interno in un interno, omaggio all'architettura di Svern Fernh, un punto cieco attraverso il quale il moderno si trasforma evolve in qualcosa d'altro. Non è la prima volta che osserviamo un piccolo padiglione realizzato con una membrana leggera tenuta in forma dall'aria questo è certo. Ma qui lo stesso spazio ci invita a mettere assieme temi diversi. Forse una semplice riscrittura, che in un certo senso  è capace di decretare la fine del nuovo.

 

April 06, 2017 /luca galofaro
Architecture 2017