ARCHITECTURA IN NUCE
Bruno Zevi
Architectura in Nuce
Quodilibet 2018
«La critica architettonica, e perciò la storia dell’architettura, non serve soltanto a far rivivere il passato o a consacrare con un premio l’opera di questo o quell’artista contemporaneo: essa decide le sorti stesse dell’architettura antica e moderna».
Siamo nel centenario della nascita di Bruno Zevi, tra le iniziative che celebrano questo anniversario, la ristampa anastatica di Architectura in Nuce è un momento importante per due motivi. Il primo è legato alla speranza che questo libro rientri nelle scuole, per supportare la storia e la critica dell’architettura che negli ultimi anni non è più un momento fondamentale nella formazione degli studenti di architettura. Il lavoro degli storici purtroppo viaggia su un binario parallelo a quello degli architetti, nessuno guarda più il lavoro degli altri, spesso quella critica operativa e coinvolgente tanto amata da Zevi è passata nelle mani di architetti che affiancano alla loro attività di progettisti quella di studiosi della storia.
Una sperimentazione ed un azione di reinterpretazione la loro, utile allo sviluppo del progetto, che sarebbe piaciuta molto a Bruno Zevi. La seconda, la più importante perché a distanza di quasi sessant’anni questo libro è ancora di grande attualità per il modo in cui i testi si relazionano con le immagini per indagare e capire lo spazio.
247 pagine e circa 399 illustrazioni danno la dimensione di come Bruno Zevi sia stato capace di anticipare i tempi. Il suo discorso critico infatti non era costruito solo sulle parole ma sulla sequenza di immagini che diventavano un testo dentro il testo. Questo non significa che Zevi aveva bisogno di illustrare le sue parole, ma sentiva la necessità di procedere con il ragionamento facendo viaggiare il lettore tra le immagini. Zevi ha amato appassionatamente le fotografie, preferiva sequenze invece che immagini singole scelte unicamente per rappresentare l’oggetto architettonico. Cercava di restituire attraverso le sequenze create tra tempi e luoghi la complessità dello spazio. Sembrava interessarsi più all’opportunità che queste immagini offrivano all’osservatore, spesso le accompagnava con lunghe didascalie. L’uso dell’immagine è una forma di interpretazione non razionale che procede per associazioni di idee, analogie di forme e di senso, spesso focalizzandosi su un dettaglio dell’immagine, secondo un principio che per certi versi prefigura la teoria del Punctum di Roland Barthes.[1] L’immagine è per Zevi uno spazio aperto un supporto efficace per chi guarda. Il documento fotografico diventa un potente strumento di stimolo e di rigenerazione poetica.
Questo è il libro che forse meglio rappresenta la maturità di Bruno Zevi, Architettura in nuce è infatti tanto un omaggio all’estetica di Benedetto Croce quanto un’originale applicazione della dialettica all’architettura, la costruzione di un discorso di senso che ripercorre la storia secondo una logica non lineare, che segue il filo dell’interpretazione critica dell’autore. Il libro è diviso in tre parti, la prima la più teorica e quella forse più complessa, in cui Zevi attraverso una sovrapposizione di citazioni cerca di dare una definizione dell’architettura.
La sua scrittura cerca di definire il significato di spazio partendo dallo spazio interno vero e proprio centro del discorso; la seconda, si sofferma sul metodo e sui problemi della storiografia, Zevi rafforza la sua posizione personale rileggendo la storia che è stata già scritta; la terza, dimostra la necessità di far convergere nella sua idea di architettura altre discipline che fino a quel momento mantenevano una loro autonomia, ingegneria, urbanistica, design, scrivono lo spazio. Zevi non fa altro che cercare di tradurre in chiave architettonica la tripartizione crociana poesia, non poesia, anti poesia. Questa edizione è arricchita di una prefazione di Rafael Moneo che aveva tradotto il libro in spagnolo. L’architetto spagnolo sostiene che in Architettura in nuce troviamo «uno Zevi allo stato puro. Uno Zevi intelligente, perspicace, attento, entusiasta, sottile, con il senso dei tempi, mordace, ben informato, che domina con scioltezza le fonti… ma sempre dalla parte di ciò che intende come lo sforzo dei ribelli contro i potenti». Chiude questa nuova edizione un saggio di Manuel Orazi che ripercorre le tappe della carriera accademica di Zevi, la sua fascinazione per le teorie di Benedetto Croce, ma anche il suo rapporto con Tafuri e lo IUAV di Venezia. Un testo necessario dopo la rilettura del libro, perché con una necessaria distanza, riesce ad analizzare l’idea di critica operativa e la sua influenza sul dibattito nazionale, fino alla sua totale scomparsa. Sono d’accordo con Orazi quando scrive che l’eclissi della critica operativa ha portato la storia ad allontanarsi completamente dalla progettazione. Mentre un tempo i migliori progettisti temevano o almeno tenevano in considerazione i giudizi dei principali storici....
[1] Roland Barthes, La Camera chiara: nota sulla fotografia Einaudi Torino 1980