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AUTORITRATTO

September 23, 2021 by luca galofaro in photography 2020

Luisa Lambri

AUTORITTATTO

Silvana editoriale 2021

Il titolo del libro di Gae Aulenti è casualmente anche la descrizione perfetta del lavoro della Lambri. Le sue fotografie infatti rivelano una grande sensibilità nello scovare frammenti che hanno il potere di sintetizzare alcune della caratteristiche degli spazi in cui l’artista si trova ad operare. Ci troviamo di fronte ad una modalità di lettura dello spazio fatta attraverso la fotografia il cui scopo non è quello di rappresentare, ma evocare il fatto che ogni spazio contiene al suo interno frammenti autonomi capaci di costruire una relazione tra il movimento dell’artista che li guarda e quelli del pubblico che gli osserva dopo nello spazio espositivo. La fotografia quindi come è stato in passato per alcuni artisti concettuali, non è il fine ma il mezzo attraverso il quale esercitare la capacità dello sguardo di produrre nuovi significati. L’architettura è nel lavoro della Lambri quello che per Ed Rusha è stato l’uso dell’automobile. Un dispositivo capace di guidare la visione. Le sequenze di immagini servono a rimontare il presente. Come sostiene Didi Huberman quando ha la necessità di leggere sequenze fotografiche è il contrasto, e la differenza ha rendere le cose vigili restituendole alla potenza critica della loro conoscibilità. Lambri isola elementi dagli spazi oggetto della sua investigazione per una restituzione poetica ed emozionale del frammento. Non si ferma alla pura estetica della visione, ma cerca di costruire una riflessione accurata su una serie di temi a lei cari che spaziano dalla lettura dell’architettura, alla storia della fotografia astratta, all’identità e la memoria.

La collocazione delle fotografie nello spazio produce un interferenza tra l’oggetto e lo spazio che lo ospita cercando di creare anche una sovrapposizione tra lo sguardo dell’artista e quello dello spettatore le mie fotografie sono per molti versi autoritratti privi della mia rappresentazione ma pieni delle mie esperienze. Il mio lavoro esiste dove storie, immagini personali e collettive si sovrappongono.

Lo spazio quindi è protagonista assoluto della sua arte, uno spazio che viene filtrato da una dimensione soggettiva. Le fotografie del taglio di fontana ad esempio creano uno spazio altro capace di creare connessioni inaspettate con lo spazio della tela, o le immagini di una delle finestre del Met di New York ci proiettano in una dimensione concettuale, nella quale la luce ci permette di comprendere la natura esponenziale della fotografia della Lambri. Immagini statiche che ci proiettano in un mondo in continuo movimento.



September 23, 2021 /luca galofaro
photography 2020
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THE UNIVERSITY IS NOW ON AIR, BROADCASTING MODERN ARCHITECTURE

August 17, 2020 by luca galofaro in photography 2020, ART 2018

A cura di Joaquim Moreno

THE UNIVERSITY IS NOW ON AIR, BROADCASTING MODERN ARCHITECTURE

CCA-Jap Sam Books - 2018


A multi-part book edited and narrated through 8 episodes by Joaquim Moreno, which analyzes the experience and the birth of the Open University, in particular the pioneering course in History of Architecture and Design. The Open University through radio and television broadcasts between 1975 and 1982, outlines the portrait of an era, a teaching method that today seems to be very topical again.An important story, something more than a simple distance education initiative. A school that does not want to replace traditional systems but wants to integrate them with the media.The Open University is linked to the concept of teaching on a large scale, and is based on three post-war educational trends, the desire to teach an adult audience, the need to create a media-related industry, the spread of education as a system capable of levelling out class differences. Education moves beyond the physical spaces of traditional universities and reaches a wide audience. The lessons were the result of teamwork and were constructed in a completely different way from traditional didactics.A book of great actuality capable from a certain distance of talking about the present, about the many questions that the University is asking itself. What does it mean to teach in a world dominated by the media and where distance will continue to transform the space of the community? And what is the space of knowledge. Moreno tells us through his careful research, that tools in every age must be understood and exploited to amplify the meaning of physical space.

Un libro a più voci curato e narrato attraverso 8 episodi da Joaquim Moreno, analizza l’esperienza e la nascita della Open University in particolare del pionieristico corso di Storia dell’architettura e del design. L’Open University attraverso trasmissioni radiofoniche e televisive tra il 1975 e il 1982, delinea il ritratto di un’epoca, un metodo di insegnamento che oggi sembra di nuovo di grande attualità. Una storia importante, qualcosa di più di una semplice iniziativa di istruzione a distanza. Una scuola che non vuole sostituire i sistemi tradizionali ma li vuole integrare con i media. L’Open University è legata al concetto di insegnamento su grande scala, e si basa su tre tendenze educative del dopoguerra, la volontà di insegnare ad un pubblico adulto, l’esigenza di creare un’industria legata ai media, la diffusione dell’educazione come sistema capace di livellare le differenze di classe. L’educazione si sposta oltre gli spazi fisici delle università tradizionali ed arriva ad un vasto pubblico. Le lezioni erano il frutto di un lavoro di equipe ed erano costruite in modo completamente diverso rispetto alla didattica tradizionale. Un libro di grande attualità capace da una certa distanza di parlare del presente, delle tante domande che l’Università si sta ponendo. Cosa significa insegnare in un mondo dominato dai media e in cui la distanza continuerà a trasformare lo spazio della collettività? E cosa è lo spazio della conoscenza. Moreno ci dice attraverso la sua ricerca attenta, che gli strumenti in ogni epoca devono essere capiti e sfruttati per amplificare il significato dello spazio fisico.




August 17, 2020 /luca galofaro
photography 2020, ART 2018
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EPICS IN THE EVERYDAYPHOTOGRAPHY ARCHITECTURE AND THE PROBLEM OF REALISM

July 28, 2020 by luca galofaro in photography 2020, Architecture 2020

Jesús Vassallo

EPICS IN THE EVERYDAYPHOTOGRAPHY ARCHITECTURE AND THE PROBLEM OF REALISM

Park books - 2020



There is a thin thread that binds architecture to photography as well as the fact that both disciplines investigate the forms of reality. And this thread often links photographers, their work on the image, to architects who, when they build their architecture, have in their memory the photographs taken by photographers, their gaze on the world.Jesus Vassallo investigates this faint boundary between disciplines and to do so, he studies couples of architects and photographers who during their careers have shared an Imaginary, a mental space of experimentation that sometimes seems to define an enlarged field of action where the real is a field of comparison.These dialectical couples use the image as a ground for comparison, on the one hand the photographers who use their technique to reinvent places and spaces, on the other hand the architects who use images to build their projects. In this book Jesús Vassallo explores a particular condition over a long period of time from the post-war period to the present day. The reality observed is always that of the city and the architecture of everyday life, an often anonymous architecture that builds urban places and that in the hands of architects reinvents itself through language. It is a book on the history of the image but also a book on the history of architecture, realism emerges from the intersection between these two natures.Page after page we ask ourselves if Vassallo is interested in reality or its representation, if he considers these dialectical couples a single thought or if he is interested in architecture as a form of narration and photography as a tool to achieve it.But it doesn't matter because this journey is first of all a journey about abstraction and about how reality is always born from something we have to discover by looking through the eyes of others, in order to be able to modify it. The Smithsons discover the city of London through the eyes of Nigel Henderson. Venturi and Dennis Scott Brown can learn from Las Vegas by studying it through the instrument that Ed Ruscha uses to narrate Los Angeles, the photographs taken by a moving camera.Herzog & de Meuron reinvent their architecture through Thomas Ruff's way of looking at it, which for an instant gives the photographic medium the materiality of architecture itself. Or we can follow Caruso St John and Thomas Demand in their mutual mirroring of each other, in an immaterial world that then, as if by magic, becomes real, only to return to being a simple representation of a state of mind.As it already happened when conceptual art discovered photography, we find ourselves at a turning point, a new beginning, where architecture appears not as a form but as a shadow of the collective imagination. A really important book.



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Esiste un sottile filo che lega l’architettura alla fotografia oltre al fatto che entrambe le discipline indagano le forme del reale. E questo filo spesso lega i fotografi, il loro lavoro sull’immagine agli architetti che quando costruiscono le loro architetture hanno nella loro memoria impressi gli scatti dei fotografi, il loro sguardo sul mondo.Jesus Vassallo indaga questo confine labile tra le discipline e per farlo, studia coppie di architetti e fotografi che nel corso della loro carriera hanno condiviso un’Immaginario, uno spazio mentale di sperimentazione che sembra a volte definire un campo d’azione allargato dove il reale è un terreno di confronto.Queste coppie dialettiche usano l’immagine come terreno di confronto, da una parte i fotografi che sfruttano la loro tecnica per reinventare luoghi e spazi, dall’altro gli architetti che usano le immagini per costruire i loro progetti. In questo libro Jesús Vassallo esplora una condizione particolare nel corso di un tempo lungo che va dal dopoguerra fino ai giorni nostri. La realtà osservata è sempre quella della città e dell’architettura del quotidiano, un’ architettura spesso anonima, che costruisce i luoghi urbani e che in mano agli architetti si reinventa attraverso il linguaggio. E’ un libro di storia dell’immagine ma anche un libro di storia dell’architettura, il realismo emerge dall’intersezione tra queste due nature.Pagina dopo pagina ci chiediamo se Vassallo è interessato al reale o alla sua rappresentazione, se considera queste coppie dialettiche un’unico pensiero oppure se sia interessato all’architettura come forma di narrazione e alla fotografia come strumento per raggiungerla.Ma non importa perché questo viaggio è prima di tutto un viaggio sull’astrazione e su come la realtà nasce sempre da qualcosa che dobbiamo scoprire guardando attraverso gli occhi degli altri, per poi poterla modificare. Gli Smithsons scoprono la città di Londra attraverso lo sguardo di Nigel Henderson. Venturi e Dennis Scott Brown possono imparare da Las Vegas studiandola attraverso lo strumento che Ed Ruscha usa per raccontare Los Angeles, le fotografie scattate da una macchina in movimento.Herzog & de Meuron reinventano la loro architettura attraverso il modo di guardarla di Thomas Ruff, che per un istante è in grado di dare al medium fotografico la materialità propria dell’architettura stessa. Oppure possiamo seguire Caruso St John e Thomas Demand il loro specchiarsi reciproco, in un mondo immateriale che poi come per magia diventa reale, per poi tornare ad essere semplice rappresentazione di uno stato mentale.Come è già successo quando l’arte concettuale ha scoperto la fotografia, ci troviamo ad un punto di svolta, un nuovo inizio, in cui l’architettura appare non come forma ma come ombra dell’immaginario collettivo. Un libro davvero importante.







July 28, 2020 /luca galofaro
photography 2020, Architecture 2020

Mr. BAWA I PRESUME

July 21, 2020 by luca galofaro in photography 2020, Architecture 2020

Giovanna Silva

Mr. Bawa I presume

Hatje Cantz - 2020



Guardando le foto di Giovanna Silva mi chiedo: si può fotografare il racconto dell’architettura?
Nel senso non fotografare l’architettura come oggetto e forma ma come struttura narrativa, come sequenza di sensazioni fisiche legate allo spazio e alla natura dei luoghi.
La risposta è custodita in questo libro, basta saperla guardare.
Giovanna Silva, prima di cominciare un progetto, individua sempre una storia, che sia legata ad un opera specifica di architettura, ad un architetto come nel caso di Jeffrey Bawa ad una città o a un intero paese, poi pianifica il viaggio seguendo uno script essenziale, sceglie il percorso, alcuni dati che ne orientino il movimento, sceglie sempre di non approfondire troppo prima del viaggio. Lo fa per rimanere lontana dal soggetto, per non farsi coinvolgere dai dati raccolti, non vuole costruire nessuna certezza prima di posare il suo sguardo. Attraverso il viaggio, ricostruisce il percorso conoscitivo tra memoria e interpretazione.
Scriveva Baudrillard, che uno dei piaceri del viaggiare consiste nell’immergersi dove altri sono destinati a vivere, e forse è proprio la ricerca dello sguardo abituale sui luoghi distanti è uno dei desideri della Silva.
Il viaggio diventa per lei il medium attraverso il quale costruire la propria visione e
fotografare un’operazione di puro e semplice montaggio. Costruire immagini è lo strumento attraverso il quale sovrascrivere la storia che ha ispirato il viaggio senza sostituirsi ad essa.
in favore di una ricerca dei luoghi nascosti nella memoria di chi li ha costruiti,
Silva non posa semplicemente il suo sguardo sull’architettura, si ferma ad osservare e studiare quel confine labile in cui si incontrano mondi diversi, su questa linea di collisione accidentale si innesca un processo di annullamento del linguaggio dell’architettura la visione della ricerca dei luoghi che prendono forma lentamente nella nostra memoria attraverso la visione. Le sequenze fotografiche sono una scrittura lenta capace di svelare una narrazione alternativa alla storia ufficiale. Il suo non è un lavoro che vuole svelare la verità, vuole sottolineare prima di tutto la costruzione di un’ idea di spazio, indagare l’immaginario visivo che è alla base di ogni forma di costruzione.
La sua fotografia offre sempre una prospettiva inusuale sull’architettura e il paesaggio che la circonda concentrandosi sugli effetti che questa collisione produce. E’ una forma di ricerca sulle origini del mondo, un movimento capace di generare altre forme. Un lavoro di scavo della visione e al tempo stesso un esercitarsi allo sguardo che ci fa accedere alla dimensione dell’invisibile.
Inizio a scattare mentre il mondo ancora dorme, riesco a immergere gli edifici in una dimensione sospesa. Sembrano disabitati, non fosse per le tracce lasciate dagli uomini il giorno prima. Il risultato è una fotografia di architettura sporca, apparentemente inanimata ma costellata di oggetti che testimoniano la vita segreta dell’architettura.
Quella vita segreta è tutto quello che oggi abbiamo perso, e vale la pena soffermarsi a cercarla nei dettagli apparentemente più insignificanti.
Amo guardare le cose più banali ha detto una volta Robert Frank. Le immagini della Silva sono apparentemente così casuali che difficilmente sembra valga la pena di soffermarcisi. Ma seguendo le sue interminabili sequenze, quando decidiamo di osservarle con più attenzione, scopriamo che gli scatti pagina dopo pagina costruiscono un’unica immagine ripetuta che cerca attraverso la visione soggettiva di raccontare qualcosa di diverso.



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La fotografia della Silva non è mai duplicazione della realtà, perché la realtà non è mai raffigurata per intero, il taglio dell’immagine consueta costringe l’osservatore a guardarla in modo diverso, progetta non il risultato ma sicuramente l’intenzione del vedere criticamente.
Ogni lavoro alla fine è una scrittura per immagini, pensata in forma di libro.
I suoi libri vanno letti come atlanti. Fare un atlante significa creare dei tagli, comporre diverse inquadrature, accumularle e montarle. La lettura del reale, attraverso l’atlante si trasforma così in un vero e proprio atto inventivo. Allo stesso modo, colui che legge un atlante crea un proprio percorso interpretativo, operando a sua volta delle scelte. La scelta di inquadrare un singolo particolare costringe l’autore, ma anche l’osservatore a porsi delle domande, mette in moto un discorso che altrimenti non sarebbe mai emerso in superficie.
Ed è proprio sfogliare le pagine di questo libro che ci fa ripercorrere il percorso mentale dell’autore, che dopo aver riflettuto sull’immagine e lo spazio che raffigura, torna sui suoi passi per un’altra inquadratura che serve a comprendere meglio. La forma del dittico è utilizzata per farci muovere nello spazio e nel tempo, per mettere a fuoco qualcosa attraverso il movimento. In sintesi, ogni inquadratura porta all’assunzione di una posizione che a sua volta chiama nuove inquadrature che compongono l’intero lavoro.
L’architettura è decostruita attraverso una visione cinematica, che di volta in volta mostra oggetti, colori e paesaggi ibridi, nessun dettaglio si impone sull’altro, l’architettura e la natura danzano assieme, sia quando ci troviamo all’esterno che quando siamo in un interno. E’ in questa danza immobile che affiora la personalità dell’architetto che costruendo cerca sempre di rispettare e nutrire il proprio immaginario.

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Penso che Il muoversi per la Silva sia indistinguibile dal guardare, e non è facile decifrare perché riesce a fermarsi solo per il tempo necessario dello scatto, per poi ripartire.
E’ questa breve pausa ad essere importante nel suo narrare.
Se ancora state cercando la risposta alla domanda con cui ho cominciato questo breve testo, avrete capito che in questo lavoro specifico Giovanna Silva non ha fotografato l’architettura di Mr Bawa, ma ha viaggiato all’interno della sua immaginazione, ed ha provato a raccontarci un’altra storia.















July 21, 2020 /luca galofaro
photography 2020, Architecture 2020