QUESTO NON E' UN MANIFESTO
Luca Galofaro
QUESTO NON E’ UN MANIFESTO
LetteraVentidue - 2021
La scrittura è la premessa necessaria di un lavoro costante sul progetto. La narrazione parte sempre dalla storia, la trasfigura, portando il discorso su campi diversi. In questo racconto sul progettare appaiono e scompaiono rapidamente luoghi, si attraversano discipline, libri, città e film mai raccontati completamente, immagini assenti eppure presenti perché parti essenziali della mia memoria: un labirinto di parole in cui sono raccolti testi scritti negli anni, seguendo un nuovo montaggio di senso. Alcuni descrivono il lavoro di ricerca svolto con lo studio IaN+ (1997-2015), in particolare sono riflessioni condivise negli anni con Carmelo Baglivo, altri si soffermano sulla costruzione mentale del progetto attraverso modelli di diverso tipo. È un viaggio nella memoria che vuole riscoprire tracce utili a definire le radici di un’idea di architettura non per forza legata alla sua costruzione fisica. Il racconto dei progetti costruiti non a caso è omesso.
Come il protagonista del film La jetée[1](1962) di Chris Marker, ho provato a viaggiare tra tempi diversi della mia ricerca per ricostruire un processo immaginativo. La Jetée è una pellicola fatta di immagini statiche accompagnate da una voce narrante, un’unica sequenza al centro del film è animata. Inizia con il volto di una donna sulla terrazza dell’aeroporto di Orly e la contemporanea uccisione di un uomo, unica immagine sopravvissuta a una misteriosa guerra. Parigi è distrutta. Il mondo è inabitabile, perché invaso da radiazioni letali. Chi è scampato al conflitto vive sottoterra tentando in tutti modi di trovare una soluzione ai problemi di sopravvivenza. C’è bisogno di cibo, medicine e risorse di energia per continuare a vivere. Sotto la supervisione di inquietanti scienziati, alcuni prigionieri vengono usati come cavie per esperimenti di viaggi nel tempo per sapere dalle generazioni future come sono riuscite a sopravvivere. La memoria del protagonista funzionerà da carburante per l’esperimento degli scienziati.
Esiste una relazione tra questo film e il fare architettura che va oltre il titolo. La Jetée è la grande terrazza panoramica dell’aeroporto di Orly dal quale si guardavano gli aerei decollare e atterrare al tempo della sua apertura. L’architetto, attraverso l’accumulazione, il montaggio e la selezione delle informazioni custodite nella memoria, crea delle strutture logiche che lo aiutano a comprendere (esattamente come nel film). Diverse poetiche si combinano tra loro e cercano attraverso il dialogo nuove forme d’espressione, che cambiano di continuo perché, cercando di definire un'unica forma, si corre il rischio di creare un linguaggio che toglie significato al progetto. Il linguaggio, infatti, definisce un punto di vista alternativo che impedisce all’architettura di crescere.
La teoria è forse il limite tra queste forme in continuo divenire. In questo testo ho cercato di ricomporre una riflessione, ripercorrendo le tracce di un’idea di architettura che non sempre ha trovato una sintesi tra le diverse forme del progettare.
[1] Marker Chris, La jetée: ciné-roman, Zone Books, Princeton, 2008