LA MEMORIA DELLO SPAZIO INTERNO

QUI

Richard McGuire

Rizzoli Lizard 2015

Leggere la storia di una casa nel momento in cui stiamo vivendo come mai le nostre case. Qui e ora.

Immaginate una stanza magari proprio la stanza in cui state leggendo questa storia,  questo luogo ha un passato, un presente ed un futuro. Il luogo esiste prima che lo spazio prenda forma. Ora immaginate di raccontare una storia e nel farlo decidete di usare un unico punto di vista. Da questo preciso punto di vista, la vita di questo luogo rende gli istanti tutti diversi uno da l'altro. Si sovrappongono tempi paesaggi e uomini, cambiano i colori, le storie si intrecciano la memoria rimane sospesa, il racconto di Richard McGuire è trasparente, non ha bisogno di invenzioni è semplicemente realtà.

Il libro ha forse la più bella copertina che io ho nella mia biblioteca, una finestra aperta, non ci sono autori parole se non il titolo QUI, HERE, ICI', che in tutte le lingue suona perfetto, perchè ti da la posizione, individua un punto preciso nel tempo e nello spazio. Ma la cosa migliore è nell'inversione del punto di vista. Non più dentro la narazione ma fuori, esattamente come deve essere lo sguardo prima di entrare in un luogo, in uno spazio reale, e quindi anche in un libro, siamo fuori della storia la possiamo soltanto immaginare in trasparenza dalla finestra. Lo stesso senso di spaesamento, curiosità ed appartenenza che provo ogni volta che sfoglio i libri di fotografie di Micheal Wolf, che guarda la vita delle nostre città. Ma in questo libro non guardiamo da fuori siamo dentro lo spazio e la sua storia.

Se poi avete modo di visitare anche la mostra prorogata di qualche giorno a Parigi nella Galerie Martel vi renderete conto di come la vita stessa può essere raccontata attraverso una sovapposizione di frammenti, gli sfondi anno per anno sono autonomi, i personaggi invece hanno bisogno del tempo per organizzarsi in una narrazione fluida.

Una prima bozza di Qui di Richard McGuire è stata realizzata nel 1989 sulla rivista  “Raw” ed è diventata una delle storie più importanti del genere a fumetti. Venticinque anni dopo, McGuire realizza lo stesso volume arricchito di centinaia di anni di annenodoti.

“Ici” is a panorama of life unthreading, with events echoing from one another. all the dated strips show the evolution of life and the inoccupants of space through time.

La prima tavola di Qui mostra un angolo disadorno di una stanza in una casa. La casa non si vede c'è sempre e solo la stessa stanza, o la sua assenza, lo sguardo è sempre diretto verso un unico punto.

Le trentacinque tavole che seguono continuano a mostrare lo stesso spazio, in diversi momenti persi nel tempo, senza un ordine apparente dal 1400, passando per il 1906 fino al 2005 e poi ancora più indietro 80.000.000 avanti cristo per poi proiettarsi fino al 2213. In un' incessante incrociarsi di tempi e personaggi. Nessun ordine cronologico dunque e molte tavole sono la somma di frammenti e personaggi diversi, ogni frammento spesso è antecedente a quello che gli sta accanto e condivide solo lo spazio. Ci sono tanti personaggi, alcuni li vediamo invecchiare, ci sono mobili ed animali, alcuni  compiono la stessa azione ripetuta negli anni 1973,1983,1993,1994,1995,1996.

L'angolo stesso della stanza è l'unica presenza costante e continua della storia, la stanza viene costruita nel 1902, brucia nel 2029 e viene demolita nel 2030. Lo spazio viene mostrato diverse volte prima che la casa venga costruita, ma anche prima, nel mezzo della natura, con animali selvaggi, cerchiamo le linee della stanza che ormai conosciamo così bene, perchè anche noi siamo Qui, siamo entrati nella storia, questa stanza è la nostra stanza o forse no è semplicemente uno spazio che ci sembra di riconoscere.

Walt Withman scrive Se questa è la vita che senso ha viverla, è solo uno spreco, nulla di buono o di nuovo, meglio sarebbe andare via su un’isola lontana, farla finita.  No ! La vita ha un senso perché tu sei qui  ed è la tua esistenza a contribuire al suo spettacolo.

Come nella poesia di Withman i frammenti costruiscono una storia più ampia, che è la storia stessa dell'umanità raccontata attraverso l'immagine dello spazio domestico, e noi siamo QUI soli ad osservarla.

In mostra un metodo di lavoro che mette assieme in un unico sguardo frammenti e vite, luoghi e colori attraverso i quali i momenti si riconoscono. Una messa in scena che rafforza il desiderio di sperimentare l'idea stessa di narrazione  che porta il fumetto sullo stesso piano della letteratura, e il disegno un passo più avanti della scrittura tradizionale. Forse McGuire ha reinventato un genere, senza nemmeno volerlo, immaginando e dando forma alla memoria di un luogo. 

ABSALON

Absalon

Catalogo mostra 

KW Institute for Contemporary Art

Ed. by Susanne Pfeffer Foreword by Hortensia Völckers; Lecture by Absalon; Texts by Bernard Marcadé, Nina Möntmann, Moshe Ninio, Beate Söntgen, Philip Ursprung and a conversation between Ute Meta Bauer, Hans Ulrich Obrist and Susanne Pfeffer. 

Verlag der Buchhandlung Walther König, 2011

The Cell is a mechanism that conditions my movements. With time and habit, this mechanism will become my comfort … The project’s necessity springs from the constraints imposed … by an aesthetic universe wherein things are standardized, average … I would like to make these Cells my homes, where I define my sensations, cultivate my behaviours. These homes will be a means of resistance to a society that keeps me from becoming what I must become. (Absalon, Cellules, 1993)

Volumi bianchi formati dall’accostamento di solidi fondamentali, creano una complessità che prende forma dai movimenti del corpo. Cellule autosufficienti da installare in diverse città, anche se distanti tra di loro formano un unico spazio per l’artista nomade che li abiterà, spazi di resistenza ai cambiamenti sociali.

 Un rifugio per l'artista, ma anche una possibilità diversa di abitare la contemporaneità. Eravamo agli inizi degli anni novanta e lo scultore israeliano che si firmava con il nome Absalon dava forma ad una sua idea di mondo che nasceva dalla volontà di creare un alternativa di vita per l'artista nomade, spazi in cui la relazione tra interno ed esterno crea la condizione per la costruzione dello spazio. Un progetto il suo che produce una  formalizzazione del rapporto  mente e corpo.

Absalon dopo una rapida formazione in storia dell’arte contemporanea, partecipa ad importanti mostre imponendosi come uno dei più interessanti giovani artisti a livello internazionale della sua generazione. Le sue installazioni, si avvicinano molto alle modulazioni spaziali tipiche delle architetture moderne fra anni '20 e '30 (da Le Corbusier all’immaginario Bauhaus), e definiscono un nuovo spazio a cavallo tra i modelli d’architettura e la scultura. Il suo lavoro racchiude, nella sua complessità anche suggestioni urbanistiche, senza però dar vita a forme immediatamente riconoscibili di strutture ripetute all'interno di uno stesso spazio urbano.

L'intenso lavoro attorno ai modelli, la grande precisione dei disegni, trasformano le sue opere in sculture abitabili che attraverso la serialitá e la localizzazione sempre diversa, producono una struttura fisica capace di relazionarsi allo spazio urbano in cui vengono localizzate.

Il tema dello spazio fisico inteso come metafora dello spazio mentale dimostra l'ossessione nei confronti di un ordine e di una regola costruttiva che è quasi esercizio spirituale. Nei suoi padiglioni esiste anche un rapporto diretto tra la funzione e l’estetica, la vita e il guscio che la contiene.

Tutto questo è articolato e ben spiegato nel catalogo della mostra tenutasi al KW Institute di Berlino. Catalogo che riporta tutti i padiglioni ma anche gli appunti, le annotazioni e i disegni dell'artista scomparso troppo prematuramente.

Un' architettura idealizzata che riscopre nel suo farsi, purtroppo solo un padiglione è stato realizzato, gli altri sono tutti modelli in scala reale, una propria autonomia rispetto all'architettura moderna. Un netto rifiuto dei valori sociali della disciplina ed un esaltazione della componente soggettiva, non più macchine per l' abitare collettivo, ma cellule per l'individuo che mettono in scena una visione anti-sociale dell'abitare.

These homes will be a means of resistance to a society that keeps me from becoming what i must be come.

Le cellule sono sculture minimaliste pensate e realizzate per ospitare un solo individuo, disegnate per svolgere le attività base, dormire, lavarsi mangiare, alcune sono organizzate su due livelli, ma lo spazio resta legato al corpo e ai movimenti, pensati per città.

Gli spazi si modificano di continuo quasi a reagire al cambio di luogo e forse a modalità di vita diverse per ogni città.

Un nuovo ascetismo il suo, e un desiderio di vivere comunque lo spazio della città attraverso il limite definito dalla superficie degli involucri.

Esiste ad una lettura di insieme la volontà di una narrazione che cerca di elencare, non solo le esigenze dell'abitare ma anche la decisione di costruire uno spazio altro, un luogo di resistenza  alle trasformazioni sociali e urbane. Sembra di essere immersi in uno spazio metafisico capace di evocare un futuro attraverso la narrazione del passato, ed in questo futuro non esiste lo spazio comune, non c'è posto per le relazioni umane.

La volontà ad isolarsi dell'artista è in un certo senso l'antitesi degli artisti che in quegli anni si occupavano di un estetica relazionale, ma Absalon sembra cogliere come loro la coscienza ecologica che inizia a svilupparsi in quegli anni.

The relation of interior space to exterior form was a constant fixation for Absalon, both in terms of his objects’ shapes and the insurmountable disconnect between an individual’s mind and body. In this definitive exhibition, the comprehensive selection of works and generous use of space allowed the works to articulate their own contradictory take on the interdependence of function and aesthetics, the life and the shell.

I lavori di Absalon colpiscono per la capacità dell'artista di associare forme, comporre e sperimentare, lontano dalle logiche funzionaliste, la sua ergonomia non è una scienza esatta ma una matrice spaziale attraverso la quale posizionare forme liberamente, con l'innocenza  di un bambino. Lo spazio è  progetto, ma anche  un rifugio.  Un piano è l'occasione per strutturare un attività primaria ma anche la cerniera su cui agganciare volumi concavi e convessi a seconda del tipo di sensazione fisica che si vuole creare.

Il lavoro sui padiglioni è possibile grazie al lavoro compositivo e di assemblaggio fatto prima sulle cellule, create per riempire lo spazio o meglio per costruirlo aggiungendo invece che togliendo come invece si fa con l'architettura. Una tecnica di addizione la sua capace di generare un continuo riprodursi dello spazio da vivere.

Sarebbe stato bello vedere l'evolversi di questa ricerca che seppur breve ha lasciato un segno indelebile, anche se poco conosciuto, nella storia dell'arte contemporanea.

IL CACCIATORE DI IMMAGINI

Charles Simic

Il Cacciatore di Immagini

Adelphi 2005 - 2013

Joseph Cornell non sapeva disegnare, dipingere o scolpire, eppure era un grande artista americano.

Vagò per le strade di New York dai tardi anni Venti fino alla sua morte, nel 1972, rovistando nei negozi di libri usati e dai rigattieri.

Il mio lavoro è solo la conseguenza naturale

del mio amore per la città diceva. Un giorno del 1931 vide alcune bussole nella vetrina di un negozio e delle scatole in quello accanto, così gli venne in mente di metterle assieme…

Io non so che tipo di artista era Joseph Cornell, ma il suo mettere assieme piccoli pezzi di mondo lo ha reso ai miei occhi esattamente così: un collezionista di frammenti. In questo piccolo libro Charles Simic, si inventa un incontro mai avvenuto, ma molto reale, perché anche Simic ama perdersi nelle strade di New York, e come Cornell ama collezionare oggetti inutili, ma invece di chiuderli all’interno di scatole, usa le parole e la scrittura per fissarle tra le pagine di un libro.

Simic e Cornell sono entrambi cacciatori di immagini, e rendono  due espressioni artistiche scrittura e montaggio totalmente complementari.

Vi invito a guardare un catalogo delle opere di Cornell e leggere allo stesso tempo Hotel Insonnia di Simic per capire come con estrema leggerezza e semplicità, attraverso un tono discorsivo essere capace di esplorare tutto ciò che lo circonda. Il suo sguardo è sempre attratto da limite tra visibile ed invisibile, questo limite lascia il lettore spaesato. Le sue parole sono fotografie, frammenti del reale, che nascondono però sempre qualcosa di inaspettato. Anche Whitman vedeva la poesia ovunque. Nel 1912 Apollinaire parlava di una fonte d’ispirazione: depliant, cataloghi, poster, avvisi pubblicitari di ogni tipo… che racchiudono la poesia del nostro tempo.

Simic oltre a percorrere le stesse strade e trascorrere tempo nella biblioteca di New York non incrocia mai Cornell, ma poi incontra il suo lavoro se ne innamora e cerca di tradurlo, in qualche modo cerca di capirlo per parecchio tempo ho desiderato avvicinarmi al suo metodo, fare poesia con sparsi frammenti di linguaggio.

Un esempio della possibilità di traduzione di ciò che ci affascina in un altra lingua.

Ecco due artisti che usano a loro modo la tecnica del collage l’arte di assemblare frammenti di immagini preesistenti in modo tale da far nascere una nuova immagine, la più importante innovazione artistica di questo secolo. Cose rinvenute, creazioni casuali, confezioni (articoli prodotti in serie che vengono promossi a oggetti d’arte) aboliscono la separazione tra arte e vita. La banalità è miracolosa se vista nel modo giusto, se riconosciuta.

Il problema non è ciò che si guarda, ma ciò che si vede scrive Thoreau nel suo diario. E Cornell mi fa pensare poi al significato di ciò che inseguo ogni giorno … essere immerso in un mondo di totale felicità in cui ogni cosa insignificante si impregna di significato….